Invisibli. Come il mondo ignora le donne

Come reagireste se scopriste che il 90% dei medici che vi hanno curato erano in realtà specializzati in veterinaria? E cosa direste se scopriste che le soglie di sostanze tossiche negli alimenti sono tarate sugli organismi dei cammelli o degli orsi polari?

Invisible women, recentemente tradotto e pubblicato in Italia da Einaudi con il titolo Invisibili. Come il nostro mondo ignora le donne in ogni campo. Dati alla mano, ci disvela un mondo non troppo distante da questi esempi distopici. Il saggio di Caroline Criado Perez offre diverse riflessioni e chiavi di lettura sulla discriminazione di genere, fa i conti con le sue radici e delinea delle direttrici di azione. Ma nessuno di questi aspetti potrebbe di per sé giustificare il paragone con libri-spartiacque per le conquiste civili come No Logo, o Il secondo sesso, che pure il saggio merita. La rivoluzionarietà del libro risiede nel coraggio dei dati, nella mole e nel dettaglio dei riferimenti bibliografici (70 pagine) e nella loro copertura geografica, che spazia dai paesi Ocse a quelli meno sviluppati. Una summa di articoli scientifici, interviste, riferimenti a saggi e report autorevoli, di piacevolissima lettura. A Criado Perez il merito di averli raccolti e cuciti insieme con rigore, senza forzature, rifuggendo tesi complottiste e lasciando invece che siano le evidenze a parlare.

I dati raccolti ci parlano di un mondo istituzionale, scientifico, tecnologico e culturale che ignora con sistematicità le donne. La storia del mondo che ci circonda – dalla medicina ai bagni pubblici, dai dispositivi di protezione individuale alle automobili – si è rinnovata per secoli  ignorando sostanzialmente metà della popolazione mondiale, senza porsi il problema dell’esistenza di specificità che potessero comportare la necessità di condurre studi specialistici.

Quel che forse è più grave, tuttavia, è che l’emergere – fortuito o a opera di piccoli pensatori indipendenti – di queste specificità non ha comunque innescato lo sviluppo di ricerche per colmare il vuoto di conoscenze. Ad esempio i crash test lato conducente continuano a essere eseguiti esclusivamente su manichini maschili, quindi con una distribuzione della massa muscolare maschile, oltre che con un peso e un’altezza compatibili con l’uomo medio caucasico, malgrado siano state accertate conseguenze rilevanti sulle donne in termini di incolumità. A mancare è stata anche l’azione di iniziative specifiche per la tutela della categoria ignorata – campagne di informazione diversificate per l’infarto nelle donne, che si presenta con sintomi diversi rispetto a quelli maschili, o posologie dei farmaci diversificate per il genere.

L’arbitrarietà o l’ottusità di queste discriminazioni, peraltro, preclude la possibilità di perseguire risultati migliori non solo per le donne, ma per la collettività. Il saggio abbonda, infatti, anche di esempi che dimostrano risparmi e benefici che ottenuti quando le istituzioni hanno cambiato approccio, aumentando l’offerta di asili, o semplicemente riorganizzando la pulizia delle strade dalla neve partendo dai marciapiedi (e quindi dalle donne con i “loro” passeggini e genitori sottobraccio, che evitavano così di intasare le sale del pronto soccorso nei mesi invernali) anziché dalle carreggiate delle strade.

Il saggio documenta come l’ostinarsi a ignorare il corpo femminile nel disegno dei processi e delle soluzioni in ambito medico, tecnologico e architettonico, produce un mondo meno ospitale e più pericoloso per le donne che lo vivono. Porta ad esempio a infortuni sul lavoro a causa di dispositivi di protezione che non sono stati disegnati per il corpo femminile, o uccide le donne a causa di medicine che non funzionano.

Tutto questo è paradossale, se si considera che un corpo apparentemente così invisibile – quando si tratta di raccogliere dati e agire di conseguenza – è invece visibilissimo nel caso della violenza sulle donne, o meglio, come giustamente specifica l’autrice, la violenza degli uomini sulle donne. Ogni volta che non misuriamo quel corpo e che non disegniamo il nostro mondo tenendone conto (migliorando la sicurezza dei trasporti pubblici per le donne, o la possibilità di denunciare le molestie sul posto di lavoro), finiamo col limitarne la libertà. Eppure non è la biologia femminile la ragione per la quale le donne vengono intimidite o violate nel loro vivere gli spazi pubblici, tutto ciò non accade a causa del sesso ma a causa del genere, dei significati sociali che abbiamo imposto sui corpi femminili e maschili.

Il terzo tema affrontato nel libro, dopo l’invisibilità del corpo e la violenza, è forse quello più significativo in termini di impatto sulle vite: il lavoro di cura non retribuito. E come la biologia femminile non è la radice della violenza maschile contro le donne, così non è neanche la ragione per la quale le donne sono le spazzine dell’universo. Essere una donna non può essere la ragione per cui ci si attende che si venga pagate meno, e che si scelga il part-time per prendersi cura di figli, anziani e ammalati. 

Il libro supera inoltre brillantemente la “prova Covid”: contribuisce infatti a spiegare, almeno in buona misura, il motivo per il quale nel 2020 ci si possa permettere di affermare impunemente che “non sappiamo come mai le donne, soprattutto le più anziane, abbiano dimostrato maggiore resilienza”. Lo dice bene Criado Perez in una recente intervista, il motivo di questo stupore: il corpo femminile è infatti un territorio sconosciuto, sul quale non vale la pena investire né per conoscenza né per finalità di prevenzione o cura.  

Un’ulteriore conferma della centralità del libro per la comprensione della realtà, anche in tempi di Covid, è data dalla sostanziale seraficità con cui le nostre case sono state trasformate in luoghi di sfruttamento e violenza: se i bambini, insieme agli anziani, sono stati le vittime più inermi, le madri sono state le più sfruttate, e le donne vittime di violenza abbandonate al proprio destino.

Altro aspetto che la scrittrice segnala come ricorrente durante il suo lavoro di ricerca sono le scuse: ogni volta che provava a chiedere conto dell’assenza di dati e di prospettive di genere, le veniva risposto che le donne sono troppo complicate per essere misurate. Dagli esperti di mobilità ai ricercatori medici agli sviluppatori delle tecnologie, scuotevano tutti la testa riguardo all’impossibilità di razionalizzare il femminile: i corpi delle donne sono troppo ormonali, troppo mestruali, i loro tragitti troppo complicati, il loro modo di lavorare troppo caotico. Quando arriverà il momento giusto per rivendicare il diritto a esistere, e il dovere dell’altra metà del mondo di prendere atto del fatto che no, non siamo, non possiamo e non vogliamo essere come gli uomini?

Se ci ostiniamo a non raccogliere dati sulle donne, sul loro vissuto e sulle loro esperienze, continueremo a normalizzare la discriminazione di genere non consentendole di emergere nella sua pervasività.

Ma come passare dall’analisi all’azione? Secondo Criado, il nodo da cui partire è la rappresentanza: non sono i produttori di automobili i primi a doverci vedere, né le imprese farmaceutiche, questo compito spetta innanzitutto a coloro i quali sono stati eletti e retribuiti per tutelare la nostra salute e la nostra incolumità. Sono i nostri rappresentanti a dovere operare un cambio di passo nell’eliminazione dei differenziali salariali, nell’assunzione delle responsabilità di cura da parte degli uomini e nella definizione degli standard di salute e sicurezza.

Come entrare nella stanza dei bottoni, se le norme sociali ci tengono fuori? Se gli elettori trovano le candidate troppo assertive, aggressive, ambiziose e immorali? Il primo passo potrebbe essere la presa di coscienza dei meccanismi alla base delle difficoltà che le donne sperimentano nel fare valere la propria voce.

Secondo uno studio riportato nel saggio, il contesto in cui le donne lavorano e si esprimono incide profondamente su quanto donne e uomini siano considerati assertivi: in un ambiente tipicamente maschile, come ad esempio la politica, una donna è considerata più assertiva di un uomo pur dicendo esattamente la stessa cosa. E mentre per un uomo è considerato positivo assumere un atteggiamento assertivo in un ambiente “femminile” (ad esempio nella scelta di complementi di arredo o nell’organizzazione della festa del figlio), non lo è decisamente per una donna, in nessun contesto.

Le donne assertive sono aggressive. Lo stigma sociale che le donne subiscono è dovuto al fatto che il successo sociale, l’essere cioè viste come accudenti e affettuose, è il premio di consolazione che ricevono in cambio della rinuncia alla competizione con gli uomini. Il successo sociale, per le donne, è quindi intrinsecamente incompatibile con il potere professionale: se una donna vuole essere vista come competente, deve rinunciare a essere vista come empatica. È per questo motivo che una donna che si propone per una promozione o che si candida alle elezioni ha forti probabilità di generare biasimo e diffidenza: essere giudicati non accudenti è immorale, costituisce cioè una violazione di una norma sociale per le donne, ma non per gli uomini.

Per cambiare la rappresentanza, pertanto, dovremmo lavorare sul riconoscimento di come questi meccanismi funzionano dentro di noi e poi allenare gli altri, soprattutto i più giovani, a identificarli e disinnescarli. Dovremmo smetterla di avere paura di essere viste come troppo deboli se reclamiamo politiche attive e quote. Dovremmo capire che, quando si parla di governo, il “meglio” non deve necessariamente significare “coloro che hanno i soldi, il tempo e la sicurezza di sé”, come dice Criado. Il meglio, quando si parla di governo, significa il meglio per la collettività e in questo caso il meglio significa diversità, perché la prospettiva con cui si guardano le cose ha un impatto. Quando le donne sono coinvolte nei processi decisionali, nella ricerca e nella produzione del sapere, le vite delle donne e le loro prospettive sono portate fuori dall’ombra, a beneficio dell’umanità intera.

Maria Belmusto

28/7/2020 http://www.ingenere.it

Caroline Criado Perez, Invisibili, Einaudi, 2020

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