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IO, “BIANCA ” IN TOGO E “NERA” IN ITALIA. MA IO CI RIDO SU!

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Occhiali da sole, abbigliamento coloratissimo, minuta, arriva all’appuntamento decisa e quando alza lo sguardo per salutarmi sfodera uno di quei magnifici sorrisi che illuminano tutto il viso. Se dovessi scegliere tre aggettivi per definirla sarebbero solare, curiosa e sensibile. Durante questa intervista ci sono stati tanti sorrisi, qualche abbraccio e anche un momento di sincera commozione. Dede Sonya Agbodan è giovane ma è nata almeno tre volte. E non è detto, data la sua determinazione, che non ricapiti.

Sonya, tu hai molti interessi, partiamo da quello per la moda. Mi hai detto di aver intrapreso un progetto insieme al tuo fidanzato, ci racconti?

Sì, è un progetto al quale tengo molto. Insieme al mio fidanzato abbiamo dato vita a quello che fino a poco tempo fa era solo un sogno. Ne parlavamo quando ancora eravamo solo amici ma non concretizzavamo mai. Poi quest’anno abbiamo deciso di buttarci a capofitto dando vita a un brand artigianale di moda, l’abbiamo chiamato BB Style. É il connubio perfetto tra l’espressione della cultura e tradizione attraverso forme, colori e stoffe afro mixate all’eccellenza sartoriale e al buon gusto italiano nel campo della moda. Con questo brand vogliamo unire, raggiungere persone di diverse culture con diversi stili di vita, che hanno sogni e passioni come noi e farle sentire sé stesse.

Oltre alla moda ti sei lanciata in un progetto musicale. Recentemente hai girato un video con il cantautore Luca Bassanese. Com’è nata questa idea?

La collaborazione con Luca – che è un grandissimo cantautore – è nata da un’amicizia di vecchia data. Ci conoscemmo nel 2013 a una festa Multietnica vicino a Padova, dove presentavo l’apertura di un suo concerto e da allora non ci siamo mai persi di vista. Poi nel 2018 mi contattò perché voleva fare un brano diverso dal solito, che trasmettesse un messaggio concreto, di fratellanza, che mettesse a tacere l’odio.

La canzone si chiama “Colori della stessa natura”. Il video è molto bello! Dove l’avete girato?

Abbiamo girato in un quartiere fuori dal centro di Padova. Il brano Luca l’ha voluto dedicare a noi figli di seconda generazione. A noi che siamo figli di quest’Italia che però a volte non sembra volerci riconoscere.

Parliamo un po’ della tua storia. Sei nata in Togo ma ti sei trasferita con la famiglia in Italia che eri piccolissima. Poi ad un certo punto, insieme a mamma, siete rientrate in Togo. Ti ricordi com’è stato quel primo approccio?

Sì. Sono arrivata in Italia nel 1990 quando avevo solo cinque mesi. All’età di dieci anni però, a causa di una serie di eventi, sono dovuta rientrare in Togo con la mamma e i miei fratelli. Devo dire che il primo approccio è stato un po’ difficoltoso. Ero una bimba che aveva lasciato i suoi affetti più cari, le migliori amiche, le comodità e le abitudini tipiche di una bimba cresciuta in Europa e non sapevo cosa aspettarmi da quel trasferimento. Poi, in quella terra per me nuova, pian piano ho cominciato a integrarmi. Sembra strano, ma anch’io ho dovuto farmi accettare seppure fossi africana. Arrivavo da un’altra parte del mondo con un background diverso e mi si chiedeva di vivere e comprendere un contesto nuovo. Ad oggi posso dire che è stata una grande esperienza di vita che non potrò mai dimenticare.

Poi arriva un altro trasferimento. Poco più che adolescente torni in Italia. Qui però mi raccontavi di aver trovato una situazione completamente diversa da quella che ricordavi di aver lasciato.

Già. Il mio rientro in Italia dopo quattro anni vissuti in Togo è stato abbastanza scombussolante per non dire traumatico. Di nuovo mi ritrovavo catapultata in una realtà che non ricordavo. Quando sono partita ero una bambina, ero rimasta aggrappata ai ricordi dell’infanzia. Al mio rientro mi sono trovata a vivere un conflitto interiore. Sai, c’era stato un distacco dalle amicizie d’infanzia, ormai eravamo tutti adolescenti e ognuno iniziava a scegliersi le amicizie e le persone da frequentare. Sino ad allora non avevo mai vissuto il razzismo. Da piccola mi sono sempre sentita a casa in Italia, ero parte di tutto ciò che mi circondava, non mi ero mai sentita diversa da nessuno. Invece, al mio rientro, questo essere “diversa ” dagli altri per il fatto di essere nera mi ha travolto come un’onda che ti travolge in mare.

É un racconto che purtroppo non mi giunge nuovo: anche a giudicare dalle notizie dei giornali per qualcuno il colore della pelle pare essere ancora un problema che blocca l’inclusione. Come possiamo migliorare la situazione? Che cosa non va qui in Italia?

É così triste! Sicuramente c’è chi mi dirà che sono o siamo esagerati ma, come hai ben detto, ancora oggi – e non stiamo parlando del tempo in cui c’era l’Apartheid ma di tempi così detti moderni – il colore della pelle è un problema. Che poi il problema, se ci pensi, sta solo in una caratteristica fisica dovuta ad un’alta percentuale di melanina nella pelle, e questo viene visto come una minaccia. Credo che in Italia bisognerebbe innanzitutto istruire le persone, parlo di istruzione perchè c’è tanta ignoranza. Studiare di più, informarsi, approfondire ciò che non si conosce, soprattutto la storia perché quella insegna molto. É facile confondere la mente delle masse più deboli ed ignoranti, specie quando loro stesse non si danno la possibilità di conoscere e comprendere chi hanno davanti. Bisognerebbe evitare di fare di tutta l’erba un fascio. 

Per restare all’attualità e in merito alla questione dell’immigrazione verso l’Europa, il Togo ha poco piu di 7 milioni di abitanti, è grande due volte la Lombardia, eppure negli ultimi anni sono arrivati molti migranti che chiedono asilo. Ti sei fatta un’idea dei motivi che determinano questi spostamenti?

É una tematica molto delicata sulla quale c’è molta strumentalizzazione. Credo che se una persona lascia il suo paese d’origine per intraprendere un viaggio così pericoloso conoscendo i rischi ai quali va incontro di sicuro non viene da una situazione di benessere e serenità. Uno dei motivi principali che spinge le persone a lasciare i propri paesi nativi per muoversi verso l’Europa sono le guerre e i conflitti politici. Le condizioni miserabili nelle quali certi paesi si trovano a causa della corruzione e dei capi di stato è un’altra motivazione. Alcuni, seppur consapevoli di essere corrotti dai paesi occidentali che hanno rubato e depredato ricchezze, godono del proprio agio lasciando la loro popolazione in condizioni disastrose. Poi c’è chi tenta la sorte per vedere cosa può offrire la vita oltreoceano; è un mondo che fa parte dell’immaginario ma che non si sa bene nel concreto cosa riservi. Questo porta a immigrazioni di massa che negli ultimi anni hanno creato uno scombussolamento mediatico sul quale tanti poi ne approfittano.

Facendo un parallelo con l’Africa, in molti paesi del continente si è visto un aumento nella vendita di creme sbiancanti. Questo sbiancamento artificiale dell’epidermide denota un’interiorizzazione che la pelle scura non sia bella. Mi pare che invece qui ci sia un ritorno alla rivalutazione della propria identità, alla bellezza del singolo, in particolare tra le seconde generazioni…

Qui parliamo di un fenomeno che veramente sta rovinando tante persone. Il fenomeno delle creme sbiancanti all’inizio sembrava una moda, introdotta dagli occidentali stessi con la motivazione che migliorava le imperfezioni della pelle dando “luminosità”. Ma pian piano ha finito per plagiare molte donne portandole, come dici tu, ad una interiorizzazione che la pelle nera non sia bella. Su questo hanno giocato molto le pubblicità televisive e i cartelloni pubblicitari sparsi nelle grandi capitali africane che raffigurano queste donne bellissime, sorridenti e ben vestite dalla pelle chiara, che però non sono altro che figlie di coppie miste o di origine latina. Queste immagini trasmettono un messaggio ingannevole. La stessa cosa succede con le creme liscianti per capelli. Purtroppo bisognerebbe scavare indietro, fare un viaggio nel tempo fino all’epoca della schiavitù quando all’uomo nero indirettamente si diceva che la sua pelle era brutta rispetto a quella bianca candida. A conferma di quanto dici, e a differenza di quanto succede in Africa, noi figli di seconda generazione abbiamo intrapreso una lotta identitaria e introspettiva che ci ha portato a mettere in risalto e a valorizzare le nostre radici e ciò che siamo con orgoglio. Questa può essere una risposta alle discriminazioni e al razzismo odierno.

É molto interessante l’origine del tuo nome: Dede.

Dede è identificativo della mia etnia e area geografica d’origine. Il popolo Adangbé dal quale proviene la mia famiglia è originario dal Ghana ed émigrò verso il Togo nel 17esimo secolo durante la seconda guerra degli Akwamu contro i Gè. Quella degli AgbodanKopé, che porta il mio cognome, era una dinastia di re e principesse e Dede sta ad indicare il nome della primogenita femmina della famiglia. A questi nominativi è associata la festa tradizionale e il rituale di iniziazione per le ragazze in età di pubertà. Per cui quando arrivo in Togo e mi presento come Dede solitamente le persone sanno già collocarmi in un’area geografica di appartenenza, ad un’etnia e ad un villaggio specifico.

Ho letto di recente in un’intervista che a un africano o a un’afro discendente che vive in Occidente spesso capita di essere definito straniero due volte: “nero” in Italia e “bianco” in Africa. É successo anche a te?

Sì! Questo fatto che descrivi è successo anche a me. La prima volta quando mi sono trasferita in Togo. Come ti dicevo prima, anche se ero nel mio paese d’origine, ho dovuto integrarmi e dimostrare che ero all’altezza: ero considerata una straniera, per loro ero un’italiana che arrivava dall’Europa! La stessa cosa è accaduta successivamente in Italia dove venivo etichettata come “straniera” in quanto nera. Ti dirò di più, spesso mi hanno definita “extracomunitaria”. Ma io, dal momento che vivo e sono cresciuta qui, che abbia o meno la cittadinanza, sono e mi sento italiana: è questo il paese nel quale vivo e che chiamo casa.

Agatha Orrico

Collaboratrice redazionale del periodico cartaceo Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

Luglio 2019

I numeri precedenti sul periodico di gennaio e marzo 2019

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