Io, sorvegliato speciale

No, il sorvegliato speciale non è l’autista del Suv ma quello inginocchiato con le braccia in alto

Il 3 gennaio, Simone era Roma, invitato a intervenire a una trasmissione di Rai Tre: di buon mattino è stato prelevato dalle forze dell’ordine dall’albergo in cui dormiva ed è stato rimesso su un treno. L’incredibile accanimento giudiziario contro chi protesta, che ha raggiunto vette spaventose con la resistenza No Tav, sembra dunque aver aperto una strada. Martedì 10 gennaio, mentre per il caldo in questi primi giorni dell’anno crollano decine di record in tutta Europa, Simone dovrà presentarsi al Tribunale di Milano. Lo abbiamo incontrato: un’intervista che merita molte attenzioni

intervista a cura di Leonardo Animali

Il complesso lavoro che occorre per passare dalle fonti tradizionali, inquinanti e dannose per salute e ambiente, alle energie rinnovabili, rappresenta la nuova frontiera dei nostri sistemi economici. Non è un caso se su questi temi, e in particolare per l’affermazione di una nuova cultura ecologista, registriamo la mobilitazione e la partecipazione da parte di tanti giovani(Sergio Mattarella, 31.12.2022)

Martedì 10 gennaio, Simone Ficicchia, vent’anni, di Voghera, è convocato alle 10 in Tribunale a Milano. È un attivista di Ultima Generazione, e ha partecipato a diverse azioni di disobbedienza civile non violenta negli ultimi mesi (ma non a quella davanti al Senato del 2 gennaio). La Procura di Pavia, ha chiesto per lui un anno di sorveglianza speciale.

La sorveglianza speciale è una misura di prevenzione regolata dal decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 e successive modifiche. Sia in Italia che in Europa si è più volte discusso della sua legittimità costituzionale e della conformità ai principi contenuti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in quanto può essere applicata anche solo sulla base di indizi e senza nessuna prova di commissione di illeciti. Consiste nell’obbligo di evitare che determinati soggetti, sospettati di avere contatti con la criminalità organizzata o, comunque, di essere frequentatori abituali di persone o ambienti dove si è soliti delinquere, abbiano contatti con altri pregiudicati oppure frequentino tali locali, nella presunzione che tale situazione possa ledere all’ordine pubblico.

Il 3 gennaio, Simone era Roma, invitato a intervenire alla trasmissione Agorà Extra di Rai Tre. Di buon mattino è stato prelevato dalle forze dell’ordine dall’albergo in cui dormiva, ed è stato forzosamente rimesso su un treno, per impedirgli così di poter partecipare al programma (ne ha dato subito notizia la stessa redazione televisiva). Un fatto, questo, che a chi ha qualche anno di più di Simone, riporta alla memoria l’Argentina di Jorge Videla.

Da molte parti, ed ancor più dopo l’azione di imbrattamento dell’ingresso del Senato della Repubblica del 2 gennaio, quello che si vorrebbe è una “punizione esemplare” per gli attivisti di Ultima Generazione (ma non solo loro), da poter essere blandita in maniera tale da scoraggiare e intimidire tutti gli altri. Un clima e un metodo, che ci riportano molto indietro nella Storia, al tempo della dinastia Han, che governò la Cina tra il 206 a.C. ed il 220 d.C.: “Unum castigabis, centum emendabis” (Ne castigherai uno, ne correggerai cento).

Un metodo che, in epoca Contemporanea, ha poco a che vedere con le democrazie. Lo praticò la Cina di Mao Tse-tung, e oggi l’attuale teocrazia iraniana (lo scorso 23 dicembre Majidreza Rahnavard, ventitré anni, reo di aver partecipato a un blocco stradale per protestare contro il governo, è stato impiccato dopo un “processo lampo”, giudicato colpevole di “aver dichiarato guerra a Dio”).

“Castigarne uno”, in questa stagione italiana, è la manifestazione, ancor prima che di un istinto repressivo e autoritario, di un modo sbrigativo per aggirare di fronte all’opinione pubblica, la propria incapacità a governare, o meglio per occultare la vera intenzione di non voler far niente per impedire che la catastrofe climatica, che sta già colpendo il nostro Paese (nel 2022, 29 morti per frane e alluvioni e oltre 2.300 morti dovuti alle ondate di calore ₁), possa essere, se non fermata, quantomeno rallentata o mitigata.

In questi giorni che precedono l’udienza del Tribunale di Milano, abbiamo intervistato Simone, che ringraziamo per la disponibilità.


Parlami di te. C’è chi dice che sei un pericoloso eversore, il capo di un’organizzazione capace di destabilizzare lo Stato, uno “stipendiato” da qualche lobby internazionale. Quando “ti va bene”, un ambientalista estremista e sentimentale. Ma in realtà chi è Simone Ficicchia?

Magari fossi tutto questo… La prima risposta che mi viene dal cuore è che sono un musicista. La passione per la musica è profonda, dura da quando sono nato, e mi ha portato a studiare per diversi anni chitarra e sax, quest’ultimo anche come studente del Conservatorio di Padova, che ho cominciato a frequentare dopo la maturità con 100 e lode al liceo musicale di Pavia. In seconda battuta, un aspirante studioso di materie umanistiche, iscritto al corso di Storia dell’Università di Padova.

“Un ragazzo, sì, molto politicizzato e attivo in associazioni e movimenti, eppure tranquillo, assennato, estremamente rispettoso delle regole e delle persone”, questi sono i commenti che immagino essere stati pronunciati dalle persone che mi conoscono e, sbigottite, mi hanno visto per la prima volta sbombolettare il muro di un ministero o incollarmi al vetro protettivo di un quadro. Cosa spiega la mia adesione alle richieste e ai metodi di Ultima Generazione? Un cambiamento repentino della personalità? Un momento di sfogo dopo anni di repressione? Per me no. Io vedo la mia coerenza nell’agire in tutti i modi che posso mettere in pratica per garantirmi un futuro: se prima non ero consapevole, o lo ero troppo parzialmente, rispetto al collasso ecoclimatico, una volta che una domenica sera del dicembre 2021 un gruppetto di ragazzǝ sconclusionatǝ in una presentazione online della campagna mi ha messo di fronte all’evidenza non ho più trovato scuse per agire, a costo di mettere “in pausa” le mie altre passioni, senza mai davvero lasciarle, e alcune relazioni interpersonali. Si tratta solo di agire proporzionatamente alla situazione.

Perché un ragazzo di vent’anni che, come direbbe un adulto, “ha tutta la vita davanti”, si mette in gioco per chiedere giustizia climatica, fino al punto di veder compromesso gravemente il proprio futuro dai possibili risvolti giudiziari?

Il Manifesto del Partito Comunista è uno dei primi libri che ho letto da piccolo: occupava un posto d’onore nella libreria dei miei. Marx invitando i proletari di tutto il mondo a unirsi dice che non abbiamo nulla da perdere fuorché le nostre catene. Ritengo che questo possa bastare per trovare le ragioni che ci spingano a ribellarci a un governo criminale, salvo aggiungere che Marx non era stato messo di fronte all’evidenza scientifica di essere in un momento storico in cui l’umanità si trova a dover affrontare la più grande catastrofe con cui la vita abbia mai avuto a che fare e che, dunque, da perdere non abbiamo solo delle catene “di classe” ma anche un avvenire di fame, guerre, violenze, stupri e morte diffusa causati dalla miopia degli investimenti in combustibili fossili. Infine, non ci sentiamo enormemente privilegiati a farci questa domanda? Non vediamo succedere a decine ogni giorno in giro per il mondo arresti arbitrari, esecuzioni sommarie, omicidi politici, insabbiamenti, persecuzioni nei confronti di chi lotta per la libertà di regimi ben più autoritari, per ora, di quello in cui viviamo? Ai movimenti nonviolenti che c’erano un tempo in Occidente e che c’erano e ci sono nel Sud del Mondo devo la mia umiltà e la mia scelta, che non considero un sacrificio.

Cosa diresti a un adulto, che magari ha una spiccata sensibilità democratica, ed è impegnato in qualche associazione per l’ambiente, ma che ritiene che quello che fa Ultima Generazione, ma vale anche per altri come Friday For Future, sia addirittura controproducente alla causa dei movimenti ambientalisti?

La base comune dev’essere la verità, ovvero che stiamo andando verso un aumento medio della temperatura globale di 2°C con la conseguenza, per farla breve, saltando i punti di non ritorno, il collasso degli ecosistemi, l’estinzione delle specie non umane, le migrazioni climatiche…, di centinaia di milioni fra morti e sfollati che si porterà dietro, e fuori da questi dati difficilmente ci può essere dialogo. Posto questo, non crediamo certo di avere la soluzione in tasca: il punto è che non ci sono tattiche in sé giuste o sbagliate, ma coalizioni che funzionano, che portano il giusto equilibrio fra radicalità e partecipazione, fra disturbo e rispetto. Se noi abbiamo portato quel fianco radicale e nonviolento che ci sembrava in Italia mancasse, non ci aspettiamo che chiunque appoggi le nostre azioni e non permettiamo che l’inseguimento spasmodico del consenso, strada politica che ha portato i partiti, specie di sinistra, alla rovina, freni la nostra presenza sul dibattito pubblico, il quale comunque si è spostato in positivo da quando sono avvenuti i primi blocchi di tangenziali. Quello che stiamo facendo è coagulare persone dietro alle nostre richieste precise, circoscritte, assennate, in linea con gli accordi internazionali sul clima. D’altronde Martin Luther King non vinse le sue battaglie chiedendo da un giorno con l’altro la fine delle segregazione razziale, bensì accrescendo il movimento con il susseguirsi di piccole vittorie… Anche se non tutte queste persone utilizzeranno identici metodi di lotta, pur sempre mantenendo ferma una disciplina nonviolenta. Per inciso, le richieste per il governo sono di fermare la riapertura delle centrali a carbone e rispettarne la chiusura totale già fissata per il 2025; vietare ogni nuova estrazione di gas fossile su territorio italiano; sbloccare almeno 20 GW di rinnovabili, in particolare eolico e fotovoltaico.

L’appello che faccio è a uscire dalla propria zona di comfort, dal mito della sensibilizzazione che cambia il mondo, e accettare che il disturbo e il conflitto orizzontale sono i più grandi motori di cambiamento sociale: detto questo, ogni “questo non è il modo giusto” è ben accetto, purché seguito da un “io, in prima persona, sono dispostǝ a fare questo…”; altrimenti non c’è costruzione condivisa di un bel niente.

L’esperienza di Ultima Generazione, al di là della sua specificità di impegno, rimette al centro, drammaticamente, una questione più generale di questo tempo, una sorta di riproposizione contemporanea del mito antico di Re Kronos; ovvero un mondo adulto, che per timore di essere spodestato, ma fondamentalmente per paura della morte, “divora” i propri figli. Tu quali pensi siano le ragioni?

Non saprei rispondere se non indicando questa tendenza come strutturale del sistema in cui viviamo, basato sulla rapina ad altri esseri umani e agli ecosistemi; in particolare la sua efficacia credo si basi sul disconnettere completamente la parte emotiva di ognunǝ di noi dalla dimensione comunitaria. Parcellizzatǝ e svuotatǝ abbiamo spezzato la continuità fra le generazioni passate e quelle future già da tempo: una delle prime domande che ci si pone abbracciando la disobbedienza civile nonviolenta è proprio se si debba la nostra lealtà a governi e aziende criminali o, piuttosto, ai sacrifici compiuti da migliaia di generazioni passate per permettere il prosperare delle generazioni future. È, in sostanza, amore per la vita che sconfigge il meccanismo di Kronos.

C’è, tuttavia, un altro elemento che in parte smonta questa visione: vero che siamo “l’ultima generazione che può cambiare le cose”, ma abbiamo dai sedici ai sessantaquattro anni. Diversamente da altre realtà, siamo assolutamente intergenerazionali e credo che contribuiamo a sfatare il mito di un mondo adulto che condanna alla fame i suoi figli per avidità. Di nuovo, trovo più corretto parlare di una politica mostruosamente corrotta e di una macchina dagli ingranaggi mortiferi che ci stanno togliendo il futuro: indipendentemente dalla propria età anagrafica, si può decidere se usare il proprio corpo per fermarla o restare passivǝ a guardare.

Che cos’è per Simone Ficicchia, vent’anni, l’Antifascismo nel 2023?

Nel 2023 per me l’Antifascismo è lettera morta se non si occupa primariamente della sopravvivenza della specie umana. Per un motivo molto semplice: in questo momento storico il rischio di derive autoritarie in tutto il mondo vede nell’aumento dei prezzi, nell’aumento degli eventi climatici estremi, nella fame le sue potenziali cause principali. La cosa più fascista che vedo fare è voltare le spalle a questa situazione o derubricarla ad “ambientalismo”. Con la consapevolezza che, sì, l’obiettivo è il sovvertimento sia del singolo governo fascista sia delle strutture socio-economiche che l’hanno portato alla ribalta, ma che i risultati arrivano quando si cerca il dialogo e con il conflitto nonviolento si fa uscire il proprio opponente allo scoperto (vedi l’azione al Senato del 2/01, che ha suscitato reazioni indignate da ogni parte nella politica pro-sistema, e l’ha esposta a una sempre più crescente critica da diversi fianchi per il fatto di reprimere il singolo episodio “vandalico”, ma non trattare il tema della transizione ecologica), piuttosto che tuonando con distinguo e accuse reciproche dalla pagine di giornali e blog.

Nota

₁ dati dal rapporto Città Clima 2022 di Legambiente e del Ministero della Salute

7/1/2023 https://comune-info.net

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