Ipertrofia dell’immaginazione

orrore

Se aveva ragione Gramsci a identificare nel romanzo il principale accessorio del fantasticare, e nel fantasticare una delle funzioni essenziali per l’essere umano, pochi altri personaggi riescono, meglio di Julien Sorel, il protagonista de Il Rosso e il Nero (1830), a mostrarci rischi, fortune e pericoli, che comporta l’asservimento all’immaginazione.
«Egli era tanto animato dalla sua ammirazione per i grandi meriti di Danton, di Mirabeu, di Carnot, che sono riusciti a non lasciarsi vincere, che i suoi occhi si fermarono sulla signorina, ma senza pensare a lei, senza salutarla, senza quasi vederla*» dice Stendhal, in una definizione del fantasticare quasi identica a quella data da Gramsci quando parla di: «Un vero sognare a occhi aperti».
Una mania: ecco cosa sono, e come funzionano le letture in certi casi. Sostanze invisibili che, pure, funzionano come certe droghe e, proprio come le droghe danno dipendenza, alterano la personalità, la modificano.
In realtà, il Sorel di Stendhal è solo uno dei tanti protagonisti dall’«immaginazione ipertrofica» (e dagli occhi persi nel vuoto) che ci rimettono le penne inseguendo fantasmi: pensiamo a Don Chisciotte e a Madame Bovary. Ma è sicuramente quello che, più e meglio di altri, ci permette di capire come non siano, quasi mai, le storie e i romanzi, i colpevoli di quell’ipertrofia. Tutt’altro.
Ed è, da questo punto di vista, molto moderno.
Il rosso e il nero, infatti, oltre che narrare le vicende di un giovane ambizioso, appassionato di Napoleone, che vuole farsi strada nei salotti buoni, e finisce decapitato per essere stato l’amante prima della signora de Rênal e poi della signorina de la Mole, è la storia di un lettore bulimico.
«Invece di sorvegliare attentamente l’opera del meccanismo (nella segheria paterna ndr), Julien leggeva. Nulla era più antipatico di ciò al vecchio Sorel: forse egli avrebbe perdonato a Julien la sua persona smilza, poco adatta ai lavori di forza e così diversa da quella dei fratelli maggiori, ma questa mania di leggere gli riusciva odiosa», ci dice Stendhal a inizio romanzo.
Non solo Julien, distratto dalla lettura, non ha visto il padre arrivare ma, pur di leggere, rischia di fare qualche guaio, e soprattutto, cosa che risulta odiosa al vecchio genitore, quando legge, sembra portato via da una «forza estranea», una sorta di «mania».
Libri e letteratura come attività ipnotica, allora. Una fascinazione da cui si salva solo chi tenga, come il vecchio Sorel, le mani ben attaccate alla «roba».
Se Il Rosso e il Nero è così interessante, però, lo è perché questa ipertrofia immaginativa, su cui l’autore tanto si sofferma, sembra aver colpito non solo il protagonista ma interi settori della società.
Vediamo allora, per quel che lo spazio ci consente, altri personaggi colpiti dalla medesima sindrome, e le loro dinamiche.
Madame de Rênal. Timidissima all’inizio della storia («Purché la lasciassero vagare sola nel suo giardino non si lamentava mai»), ha nella famiglia e nei figli le sue certezze: per lei i libri non sono altro che ornamenti della biblioteca. Si trasforma, dopo aver conosciuto Sorel (ma, soprattutto, la cattiveria della «pubblica opinione») in una che ha «mille sospetti», per diventare, in breve tempo, l’emblema della «sognatrice disgraziata», di quella che, vedendo pericoli dappertutto, anticipa la propria distruzione, e quella dell’amato, pur di non perderlo.
La stessa immaginazione ipertrofica, mista a vanità e arroganza, muove anche suo marito, Rênal. Desideroso di pavoneggiarsi con vicini di casa e concittadini, per il possesso del nuovo «precettore», e pur di non lasciarselo scappare, ne asseconderà i disturbi.
«Ecco», pensava, «va a Verrières per portare la risposta al Valenod; non ha promesso nulla – a noi, ndr – ma bisogna lasciar calmare i suoi bollori giovanili». Solo che Sorel non è mai stato in contatto con Valenod.
Proprio come un’amante gelosa e che non ha, del tradimento, alcuna prova, Rênal, pur di non perdere il precettore, ne accetterà tutte le condizioni.
Stendhal è talmente affascinato dalla potenza della funzione immaginativa negli esseri umani, dal fatto che essa prenda forme così grottescamente maniacali, da sondarne possibilità, modi e luoghi in cui si manifesta.
Prende in prestito la geografia, fa confronti, mappe, diagrammi: «A Parigi, la condizione di Julien di fronte alla signora Rênal sarebbe in breve divenuta molto semplice; ma a Parigi l’amore è figlio dei romanzi. Il giovane precettore e la sua timida padrona avrebbero trovato in tre o quattro romanzi, e persino nelle strofe dell’operetta una guida. I romanzi avrebbero segnato loro la strada, mostrato il modello da imitare; e, presto o tardi, sia pure senza alcun piacere e anche a suo dispetto, Julien sarebbe stato dalla vanità obbligato a seguire quel modello».
Una cosa è perdere la testa per amore a Verrières e un’altra, completamente diversa è perderla a Parigi, ci dice, e, soprattutto, ci insegna che l’amore è una condizione tutt’altro che «naturale».
«Guida», «modello», ecco le parole che usa, quando parla di romanzi. Sta a vedere che ipertrofia per ipertrofia, meglio quella prodotta dalle letture, anche quelle cosiddette «dannose»?
Pare proprio di sì.
In provincia, ci dice, non è come a Parigi. «Ogni cosa va avanti lentamente, tutto avviene grado grado in provincia: ciò è più secondo natura.». Una delle cose più importanti nei romanzi, come si sa, è il tono, la voce dell’autore. Qui, Stendhal fa di tutto per tenere assieme elementi tragici e elementi comici. Una cosa che, per incantare il lettore, si rivela spesso fondamentale.
Vediamo. «Ogni cosa va avanti lentamente», dice. Ci pare di aver appena letto una cosa assennata. E subito dopo, però, prende in giro la Rênal: «Spesso pensando alla povertà del giovane precettore, la signora Rênal s’inteneriva sino alle lacrime. Julien la sorprese un giorno che piangeva veramente.». Anche a non essere dei «lettori (lettrici ndr) forti» si corre, quindi, il rischio di essere infettati dall’ «ipertrofia immaginativa»?
E se sì, sembra chiederci l’autore, chi l’ha detto che l’ «intenerimento» provato da «un’ingenua», una che non conosce «trame» né «scaltrezze», faccia meno danni?
Caso mai è il contrario.
Chi segue solo l’istinto, e non ha un piano ereditato da qualche romanzo precedente (una «guida», un «modello», appunto, un «metro di misura»), avrà un’andatura necessariamente provvisoria, inaffidabile, perché determinata, di volta in volta, dal piacere, o dalla paura.
Così sarà per Madame de Rênal che, sin dall’inizio sbanda, «ipotizza storie», mentalmente le crea, alterna felicità a pensieri di morte: tutto senza che mai un metro di misura (nessun romanzo, cioè) venga in suo soccorso.
Il risultato? Una continua destabilizzazione di se stessa, un lasciare Julien ai suoi fantasmi («Alla domanda lusingatrice il nostro eroe non seppe che rispondere. Questa circostanza non era prevista nel suo piano»). Una mancanza di risposte che lascia presagire il finale.
Tutto il contrario di Mathilde de la Mole, si potrebbe dire.
«Che disgrazia per me che non ci sia una vera corte come quella di Caterina de’ Medici o di Louis XIII! Mi sento all’altezza di tutto ciò che v’è di più ardito e di più grande», recita l’aristocratica.
Lei, lettrice bulimica proprio come Julien, sarà quella che alzerà il tono della sfida, non lasciando, al protagonista altra scelta che quella «eroica».
Una cosa è certa: se chi soffre di ipertrofia immaginativa «da romanzi» (vedi Julien Sorel, e Mathilde de la Mole) ha una determinazione talmente eccessiva da rasentare l’irresponsabilità, chi, invece, ha letto troppo poco (Madame de Renal, suo marito), soffrirà dell’eccesso contrario: la paura. La storia di una comunità (e di una società) che, proprio come la nostra, implode, sommersa dall’immaginazione. E meno male che restano i romanzi, a raccontarcelo.

Traduzione di Massimo Bontempelli

Angela Scarparo

scrittrice

 

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Articolo pubblicato sul numero di novembre 2019 del periodico cartaceo Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

Questo pezzo è uscito sul numero X (Ottobre 2019) della rivista letteraria Achab, che ringraziamo. www.isoladellevoci.it/achab

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