Israele cerca di riscrivere le leggi di guerra

Palestinesi che esaminano i resti delle tende dopo un bombardamento israeliano del campo di al-Mawasi che ha ucciso più di 90 persone, nella Striscia di Gaza, il 13 luglio 2024. [Bashar Taleb/AFP].

di Neve Gordon,

Al Jazeera, 15 luglio 2024.   

Se il mondo accetta il modo in cui Israele interpreta ora il principio di proporzionalità, allora il genocidio diventerà una cosa ammissibile.

La maggior parte delle persone probabilmente non lo sa, ma Wikipedia ha una pagina intitolata “Elenco degli assassinii israeliani“. Inizia nel luglio 1956 e si estende per 68 anni fino ad oggi. La maggior parte degli assassinati sono palestinesi, tra cui famosi leader palestinesi come Ghassan Kanafani del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, Khalil Ibrahim al-Wazir di Fatah, noto anche come Abu Jihad, lo sceicco Ahmed Yassin di Hamas e Fathi Shaqaqi della Jihad Islamica Palestinese.

Osservando il lungo elenco, è impossibile non notare che il numero di assassinii e tentativi di assassinio che Israele ha compiuto nel corso degli anni è aumentato in modo esponenziale: da 14 negli anni ’70 a ben oltre 150 nel primo decennio del nuovo millennio; dal gennaio 2020 sono 24.

Mi è tornato in mente questo elenco quando il 13 luglio scorso il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato una conferenza stampa per celebrare il tentativo di Israele di uccidere il comandante militare di Hamas Mohammed Deif a Gaza. I jet da combattimento e i droni israeliani avevano appena colpito il campo di al-Mawasi, che ora ospita circa 80.000 sfollati palestinesi che vivono in tende densamente popolate.

Nel giro di pochi minuti di sparatoria, i piloti hanno massacrato almeno 90 palestinesi, tra cui decine di donne e bambini, e ferito altre 300 persone. Tutto questo è avvenuto in un’area che Israele aveva precedentemente designato come “zona sicura“. Mentre le immagini raccapriccianti di cadaveri carbonizzati e fatti a pezzi riempivano i social media, sono emerse notizie secondo cui Israele avrebbe utilizzato diverse bombe guidate da mezza tonnellata, di fabbricazione statunitense.

Nella sua conferenza stampa presso la sede del Ministero della Difesa a Tel Aviv, poche ore dopo questo bagno di sangue, Netanyahu ha ammesso di non essere “assolutamente certo” che Deif sia stato ucciso, ma ha sostenuto che “il solo tentativo di assassinare i comandanti di Hamas trasmette un messaggio al mondo, il messaggio che i giorni di Hamas sono contati”.

Eppure, anche solo una rapida lettura della “Lista degli assassinii israeliani” rende chiaro che Netanyahu stava parlando con una lingua biforcuta. Sa fin troppo bene che l’assassinio da parte di Israele dei leader politici di Hamas, lo sceicco Yassin e Abdel Aziz al-Rantisi, o dei leader militari, Yahya Ayyash e Salah Shehade, ha fatto ben poco per indebolire il movimento e forse ne ha aumentato il seguito.

Semmai, anni e anni di assassinii israeliani dimostrano che essi sono usati principalmente dai leader israeliani per assecondare e incitare i loro elettori. La recente conferenza stampa di Netanyahu non fa eccezione.

Ma per quanto macabro sia l’elenco di Wikipedia, i nomi in esso contenuti raccontano solo una parte della storia.  Questo perché l’elenco non include il numero di civili uccisi durante ogni singolo tentativo di assassinio, riuscito o fallito.

Ad esempio, quello del 13 luglio scorso è stato l’ottavo attentato alla vita di Deif, ed è difficile calcolare il numero totale di civili che Israele ha ucciso nella sua smania di assassinarlo. L’elenco di Wikipedia non da conto del fatto che l’aumento degli assassinii ha portato a un aumento esponenziale delle morti di civili.

Ciò diventa chiaro se si confronta l’attuale politica di assassinio di Israele con quella adottata durante la seconda Intifada palestinese. Quando, nel 2002, Israele assassinò il capo delle Brigate Qassam di Hamas Salah Shehade, furono uccise 15 persone, tra cui Shehade, sua moglie, la figlia quindicenne e altri otto bambini.

Dopo l’attacco, in Israele si scatenò un putiferio per questa perdita di vite civili, e 27 piloti israeliani firmarono una lettera in cui si rifiutavano di fare incursioni di assassinio su Gaza. Quasi un decennio dopo, una commissione d’inchiesta israeliana scoprì che, a causa di un “errore nella raccolta di informazioni”, i comandanti non sapevano che al momento dell’attacco a Shehade c’erano dei civili negli edifici adiacenti e che se lo avessero saputo avrebbero annullato l’attacco.

Le conclusioni della commissione sono in linea con le leggi sui conflitti armati, che consentono, o almeno tollerano, l’uccisione di civili che non partecipano direttamente alle ostilità, purché queste uccisioni non siano “eccessive” rispetto al vantaggio militare “concreto e diretto” che il belligerante si aspetta di ottenere dall’attacco.

Questa regola, nota come principio di proporzionalità, è concepita per garantire che i fini di un’operazione militare giustifichino i mezzi, soppesando i vantaggi militari previsti con i danni civili attesi.

Oggi, tuttavia, siamo lontani anni luce dalle ammissioni fatte da quella commissione d’inchiesta, sia per quanto riguarda i repertori di violenza adottati da Israele sia per le giustificazioni legali che ora fornisce.

In primo luogo, le forme di guerra di Israele sono cambiate drasticamente dal 2002. Secondo l’organizzazione israeliana Breaking the Silence, composta da veterani dell’esercito, dal 2008 due dottrine hanno guidato gli assalti israeliani a Gaza. La prima è la “dottrina del non subire perdite”, secondo la quale, per proteggere i soldati israeliani, i civili palestinesi possano essere uccisi impunemente; la seconda dottrina raccomanda di attaccare intenzionalmente siti civili per scoraggiare Hamas.

Queste dottrine hanno portato, come era prevedibile, ad attacchi con grandi numeri di vittime, attacchi che, secondo le leggi sui conflitti armati, costituiscono crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Di conseguenza, i giuristi militari israeliani hanno dovuto modificare il modo in cui interpretano le leggi sui conflitti armati per allinearle alle nuove strategie di guerra.

Se due decenni fa l’uccisione di 14 civili per l’assassinio di un leader di Hamas era stata considerata sproporzionata e quindi un crimine di guerra dalla commissione d’inchiesta israeliana, nelle prime settimane dopo il 7 ottobre l’esercito ha deciso che per ogni giovane operativo di Hamas ucciso era lecito uccidere fino a 15 o 20 civili. Se l’obiettivo era un alto funzionario di Hamas, l’esercito “autorizzava l’uccisione di più di 100 civili nell’assassinio di un singolo comandante”.

Questo potrebbe sembrare scandaloso, ma un ufficiale del Dipartimento di Diritto Internazionale dell’esercito israeliano è stato molto schietto su questi cambiamenti in un’intervista del 2009 per il quotidiano Haaretz: “Il nostro obiettivo militare non è quello di porre degli ostacoli all’esercito, ma di dargli gli strumenti per vincere in modo legale”.

Anche l’ex capo del dipartimento, il colonnello Daniel Reisner, ha dichiarato pubblicamente che questa strategia è stata perseguita “operando una revisione del diritto internazionale”.

“Se fai qualcosa per un periodo abbastanza lungo, il mondo lo accetterà”, ha detto. “L’intero diritto internazionale è ora basato sul concetto che un atto che oggi è proibito diventa lecito se eseguito da un numero sufficiente di paesi”.

In altre parole, il modo in cui calcoliamo la proporzionalità non è determinato da un qualche editto morale a priori, ma piuttosto dalle norme e dalle consuetudini create dai militari quando adottano nuove e spesso più letali forme di fare la guerra.

Ancora una volta, Netanyahu lo sa fin troppo bene. Ha dichiarato di aver approvato personalmente l’attacco ad al-Mawasi dopo aver ricevuto informazioni adeguate sui potenziali “danni collaterali” e sul tipo di munizioni che sarebbero state utilizzate.

È chiaro che, mentre Israele decima Gaza e uccide decine di migliaia di persone, sta anche cercando di ricreare le norme su come fare la guerra e di trasformare in modo significativo le interpretazioni delle leggi sui conflitti armati.

Se Netanyahu e il suo governo riusciranno a rendere accettabile agli altri stati la versione israeliana della proporzionalità, le leggi sui conflitti armati finiranno per giustificare anziché prevenire la violenza genocida. In realtà, l’architettura stessa dell’intero ordinamento giuridico internazionale è ora in bilico.

Neve Gordon è professore di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra. È anche autore di Israel’s Occupation e coautore di The Human Right to Dominate.

https://www.aljazeera.com/opinions/2024/7/15/israel-seeks-to-rewrite-the-laws-of-war

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

16/7/2024 https://www.assopacepalestina.org

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