Israele davanti alla Corte Internazionale: aumenta il fronte che chiede la condanna per genocidio
Si è aperto ieri all’Aja, nei Paesi Bassi, il procedimento davanti alla Corte internazionale di giustizia – il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite -, sull’accusa di genocidio che il Sudafrica ha intentato contro Israele per il massacro di Gaza, in cui fino ad ora sono stati uccisi oltre 23mila palestinesi. Nella prima udienza di ieri i rappresentanti di Pretoria hanno organicamente allineato l’insieme delle accuse mosse contro lo Stato israeliano, mentre oggi in Aula va in scena la difesa di Tel Aviv. Nel frattempo, cresce in maniera esponenziale la lista dei Paesi che sostengono l’istanza sudafricana, che ad oggi, oltre ai membri dell’organizzazione dei Paesi Islamici e a quelli della Lega Araba, conta numerosi altri attori del Medio Oriente, dell’America Latina e del continente asiatico. E ora Tel Aviv – che è sempre più isolata a livello mondiale, ma può contare sul pesante appoggio degli Stati Uniti – è in guardia sulle conseguenze che un’eventuale condanna potrebbe comportare a livello politico, economico e, soprattutto, reputazionale.
“Israele ha commesso, sta commettendo e vuol continuare a commettere atti di genocidio contro il popolo palestinese a Gaza”, recita l’istanza, presentata dal Sudafrica lo scorso 29 dicembre, su cui i giudici della Corte dovranno pronunciarsi. Nello specifico, il Sudafrica ha accusato Tel Aviv di avere violato, con il massacro di Gaza, la Convenzione sul genocidio, trattato internazionale approvato nel ’48 dall’Assemblea generale dell’Onu e ratificato solo due anni dopo da Israele. Nel testo il genocidio viene identificato con “atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Proprio quello che, secondo il Sudafrica, Israele sta facendo con la popolazione palestinese. Riferendosi a “un continuum” di atti illegali da parte di Tel Aviv nei confronti del popolo palestinese – che non vengono perpetrati solo dallo scorso 7 ottobre, quando la situazione è tragicamente esplosa, ma fin dal 1948 –, davanti alla Corte i legali di Pretoria hanno sottoposto ai giudici tutti gli elementi che costituirebbero le prove della violazione della Convenzione sul genocidio da parte delle forze israeliane: dalle uccisioni di massa alla riduzione alla fame e alla sete della popolazione; dai bombardamenti sulle vie “di fuga” alla distruzione totale delle abitazioni di mezzo milione di palestinesi; dall’ordine di evacuazione entro 24 ore di un milione di persone dello scorso 13 ottobre al divieto di ingresso di una serie di aiuti umanitari.
“Gli atti e le omissioni di Israele rivestono carattere di genocidio perché accompagnano l’intento specifico richiesto di distruggere i palestinesi di Gaza in quanto parte del gruppo nazionale, razziale ed etnico più ampio dei palestinesi”, ha scritto il Sudafrica, che sostiene che lo Stato Ebraico non ha provveduto ad adempiere “ai suoi obblighi di prevenire il genocidio, né a quello di perseguirne i responsabili”. Un dato, più di tutti, parla chiaro: il 70 per cento delle vittime degli attacchi israeliani a Gaza sono donne e bambini. Pretoria chiede immediate misure cautelari: occorre sia permettere l’accesso di un maggior numero di aiuti umanitari a Gaza, devastata dal conflitto, sia ordinare a Tel Aviv lo stop dei bombardamenti. Oggi Israele si è difeso davanti alla Corte per bocca del legale Tal Becker, il quale ha accusato il Sudafrica di aver presentato «un quadro fattuale e giuridico profondamente distorto», basandosi l’intero caso «su una descrizione deliberatamente decontestualizzata e manipolatoria della realtà delle attuali ostilità». In merito all’accusa di genocidio avanzata dal Sudafrica, il legale ha sostenuto che «manca totalmente l’elemento chiave di questa denuncia, ovvero l’intenzione di distruggere un popolo in tutto o in parte». Becker ha aggiunto che, «se ci sono stati atti di genocidio, sono stati perpetrati contro Israele», descrivendo «il massacro, le mutilazioni, gli stupri e rapimenti su vasta scala» compiuti da Hamas il 7 ottobre.
Nel variegato teatro delle Nazioni Unite, in questa battaglia il Sudafrica può contare sull’appoggio di molti attori internazionali. In primis, a sostenere Pretoria sono i 57 componenti dei Paesi Islamici, tra cui spiccano Arabia Saudita, Iran, Marocco e Pakistan. Nei primi giorni dell’anno hanno ufficializzato l’accoglimento con favore dell’azione del Sudafrica anche Turchia, Giordania, Malesia e Bolivia, a cui si aggiungono Namibia, Maldive e Colombia. Sempre nell’ambito dell’America Latina, ieri è arrivato anche l’endorsement del presidente brasiliano Lula. Silenzio totale, invece, dai Paesi dell’Unione Europea. Come era facile ipotizzare, invece, gli Stati Uniti si sono schierati contro il Sudafrica: il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale John Kirby ha giudicato l’azione di Pretoria «priva di merito, controproducente e completamente priva di fondamento», mentre il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Matt Miller, ha dichiarato che gli Stati Uniti «non stanno assistendo ad alcun atto che costituisca genocidio» da parte di Israele nell’ambito del conflitto in Medio Oriente.
Ci si interroga, dunque, su quali siano effettivamente gli spazi di manovra della Corte internazionale di giustizia. Tre le possibili strade: l’accoglimento dell’istanza sudafricana, il suo rifiuto o un non pronunciamento per mancanza di giurisdizione. La Corte potrebbe però intraprendere misure d’urgenza anche in tempi brevi, chiedendo alle autorità israeliane l’immediato e totale cessate il fuoco o l’entrata di un maggior numero di aiuti umanitari nell’enclave colpita dai bombardamenti israeliani. Funzionari del ministero della Giustizia israeliano, citati da Haaretz, hanno dichiarato che la Corte potrà «indurre Israele a consentire gli aiuti umanitari nella Striscia, avviare un’inchiesta indipendente o consentire ai palestinesi sfollati di tornare nel nord di Gaza», mentre esiste «una reale possibilità che la Corte concordi con le richieste del Sud Africa ed emetta una sorta di ingiunzione contro Israele». Un verdetto di condanna nei confronti di Israele sarebbe, sulla carta, vincolante, ma nei fatti potrebbe non essere preso in considerazione da Tel Aviv. Se Israele non desse seguito alle statuizioni della Corte, della questione potrebbe essere investito direttamente il Consiglio di Sicurezza dell’Onu. In cui, però, gli Stati Uniti hanno potere di veto. Gli effetti di una potenziale condanna potrebbero comunque essere estremamente compromettenti per Israele sul piano della sua reputazione a livello internazionale, su cui verrebbe impressa una gigantesca macchia mai più cancellabile, nonché sul rafforzamento di quei movimenti di protesta contro i massacri a Gaza che, in tutto il mondo, stanno proliferando.
Stefano Baudino
12/1/2024 https://www.lindipendente.online/
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