Israele: nazifascismo sionista

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Nazifascismo e politica israeliana: un fraintendimento frequente

Nel commentare la violenza del governo israeliano é ricorrente che questo venga associato in qualche modo al nazifascismo europeo novecentesco. Pur essendo ciò ben comprensibile sul piano emotivo, in realtà questa associazione è fortemente distorsiva e riduce la comprensione del ruolo che Israele svolge nella regione medio-orientale, inoltre, non permette di capire fino in fondo le finalità delle politiche di violenza inaudita che questo governo israeliano perpetua, così come non permette di comprendere fino in fondo la continuità di fondo tra i governi precedenti e l’attuale.
Il nazifascismo è innanzitutto caratterizzato dalla costituzione di una società corporativa, dall’assolutismo a-democratico, dal razzismo e dall’alto livello di violenza di classe. Lo Stato di Israele non corrisponde a questa descrizione: è una democrazia (limitata e vedremo come) e non ha carattere corporativo. Esclusi questi due fattori (assolutismo e corporativismo), diventa improprio ed errato parlare di stato nazifascista.
Quanto sopra non vuole essere in alcun modo un tentativo di sminuizione del giudizio pesantemente negativo su Israele ma pone la premessa per un’analisi critica delle caratteristiche potenzialmente persino peggiori dei vari governi israeliani rispetto al nazifascismo storico.
In sintesi: Israele è nazista? No! E’ peggio!

Che in Israele viga la democrazia non è un dato confutabile, così come è pienamente coerente parlare di democrazia fortemente limitata. Questo per almeno tre fattori: a) non tutti gli abitanti di Israele hanno diritto di voto; b) la definizione dei confini dello Stato è arbitraria, di conseguenza è arbitraria l’assegnazione del diritto di voto ai cittadini dei territori occupati e delle colonie; c) nelle elezioni a carattere politico (nazionali), l’intero territorio dello stato costituisce un unico collegio elettorale, causa che permette la prevalenza di voti all’estrema destra da parte dei coloni a danno dei voti cittadini. Il combinato disposto dei tre punti non appena descritti pone la democrazia israeliana su un piano di falsità reale, pur lasciando all’esterno (e all’interno, per quanti si riconoscano nelle politiche governative) l’idea di stato democratico. Naturalmente questo capitolo meriterebbe un’analisi più approfondita che qui non è dato poter sviluppare.
Israele non è uno Stato corporativo: i sindacati non sono corporativi e il conflitto sindacale tra lavoro e capitale costituisce una realtà dimostrata e solida. Tuttavia, anche questo ambito necessiterebbe di una ben più corposa analisi per dimostrarne gli oggettivi limiti in termini di democrazia effettiva.

L’assunto che Israele sia uno Stato democratico e non corporativo permette a Tel Aviv di assodare rapporti internazionali che altrimenti (come nel caso che fosse uno Stato di tipo fascista) non sarebbero oggi possibili, con un riconoscimento di fatto pieno da parte della comunità internazionale, in particolare da parte dell’Occidente (USA ed Europa). Solo in forza di questo riconoscimento Israele può permettersi storicamente ogni possibile politica, anche inauditamente violenta, verso tutto ciò che israeliano non è: territori vicini, popolazioni nemiche facilmente etichettabili come “terroriste”. In realtà, la pratica della violenza militare finisce per premiare gli interessi anche delle grandi corporations occidentali, visto che ciò ampia il controllo del mercato e instaura rapporti di forza verso le nazioni confinanti.

Alla base dell’espansionismo costante dello Stato israeliano vi sono due fattori fondamentali: 1) – la necessità di consolidare l’economia; 2) – la composizione della società riconosciuta come “israeliana”. Il secondo elemento è costituito prevalentemente dall’ideologia sionista come giustificazione etica.

L’economia di Israele vede come protagonista la ricerca e la produzione di tecnologie particolarmente avanzate, questo specifico settore è anche il motore principale della finanza israeliana. Sia nella produzione come nella ricerca e nell’ambito finanziario non c’è posto per lavoratori a basso gradiente specialistico, in pratica: non c’è alcun bisogno di palestinesi ma occorre favorire l’ingresso nel paese di personale portatore di elevato know-how, da ogni parte del mondo.

L’ideologia sionista, già apertamente razzista nel suo enunciato(1), ha spalancato le porte etico-morali ad ogni possibile giustificazione di prevaricazione finalizzata all’acquisizione dell’intero territorio palestinese, senza alcuno spazio per chi “ebreo” non sia. L’assenza di una vera e propria costituzione dello Stato di Israele(2) ha favorito i processi di appropriazione di territori al di fuori dei confini (già storicamente arbitrari) sia attraverso l’insediamento di colonie che con invasioni militari (Alture del Golan, Striscia di Gaza, Penisola del Sinai, Libano meridionale, Cisgiordania). Si ha così un duplice aspetto del razzismo segregazionista sionista: all’interno dei territori riconosciuti il misconoscimento di diritti alla popolazione araba, all’esterno con occupazioni indebite in cui solo i cittadini “ebrei” godono di tutti i diritti. Questo stato di cose, mentre è indispensabile per l’economia israeliana, costituisce inevitabilmente un elemento di scontro tra esigenze dell’economia israeliana e diritti dei palestinesi (compreso il diritto all’esistenza), da sempre residenti nell’intera regione.
L’alleanza strategica tra Israele e USA si basa sul riconoscimento del sionismo e fa di Israele la testa di ponte nel medio-oriente degli interessi dell’imperialismo americano. Tuttavia, il controllo della regione mediorientale non può che avere carattere di aggressività verso ogni aspirazione di indipendenza e sovranità delle nazioni dell’area. Lo stato di guerra permanente non è così dato da una astrusa e folle volontà perversa ma dalla necessità di tutela degli interessi di Israele, degli USA e dei diversi enti occidentali (società multinazionali, lobbies, organismi sovranazionali). Interessi che possono essere garantiti solamente da una condizione di guerra permanente. A sua volta questo stato di cose è il volano di un’economia che trova nella spesa militare la sua spinta maggiore alla crescita.

Ritornando al rapporto tra nazifascismo storico e politiche del governo di Israele, si può affermare che è proprio l’idea sionista che funge da ente trasferente le proprietà tra il primo e le seconde. Pur essendo del tutto improprio definire Israele fascista o nazista, occorre riconoscere al concetto di sionismo tanto il carattere razzista quanto quello di giustificazione etica alla guerra e alla violenza che questa implica.

A corredo di quanto sopra, diviene necessario considerare la questione di Israele quale Stato etico, al pari delle peggiori autocrazie del mondo e della storia. Con il varo della 14° Legge fondamentale del 2018 che definisce Israele come lo Stato nazionale del popolo ebraico e dichiarando per quest’ultimo l’unica rivendicazione ed autodeterminazione nello stato(3), definire Israele quale “Stato etico” non solo è lecito ma doveroso.

Alla luce di quanto sin qui escusso, stato di guerra permanente e colonizzazione costituiscono un continuum unico, indissolubilmente legato. Spesso la questione delle colonie è ampiamente sottovalutata e vista unicamente come un mero atto improprio, benché ampiamente condannato internazionalmente come, ad esempio non esaustivo, decine di pronunciamenti da parte dell’ONU e la condanna della Corte Internazionale dell’Aia.

Un aspetto del meccanismo degli insediamenti israeliti in Palestina è poco conosciuto e provo qui a darne una descrizione sufficiente. Costituendo la colonia A, al di fuori del confine formale, viene costruita una strada di collegamento con il territorio nazionale. Questa strada sarà ad uso esclusivo dei veicoli con targa israeliana (ben diversa dalle targhe riservate ai veicoli di proprietà dei palestinesi) e nel caso che detta strada intersechi una strada precedente o un qualsiasi sentiero, per l’attraversamento verrà istituito un posto di controllo. Successivamente viene costituita la colonia B, questa verrà dotata di una apposita strada con la colonia A e, all’occorrenza, anche di una nuova strada con il territorio nazionale. La nuova strada avrà le medesime caratteristiche della prima. Costituendo la colonia C, questa sarà dotata di strade di collegamento sia con il territorio israeliano sia con le colonie A e B. La triangolazione così ottenuta costituirà un territorio intercluso, naturalmente regolamentato e gestito dalle colonie. In pratica, viene rubato alla Palestina e ai palestinesi non solo il territorio proprio delle colonie ma anche le porzioni che queste controllano indirettamente.

Infine, un dettaglio non trascurabile: i coloni sono armati e rispondono alla legge di Israele nonostante siano su territorio palestinese; nessun palestinese può essere armato. Se un palestinese viene trovato armato è ipso facto un terrorista e trattato come tale. Diviene così naturale che un colono israeliano sia armato, così come diventa naturale che un palestinese armato sia un terrorista. La violenza anche omicida dei coloni sembra essere stata scoperta recentemente dai media di regime mentre è una realtà assodata da tempo, dall’inizio del fenomeno delle colonie che risale al termine della guerra del Kippur (1967). Per consolidare i territori conquistati militarmente durante quella guerra, il governo israeliano iniziò a stabilire insediamenti sul territorio della Palestina per motivi strategici. In seguito, il fenomeno si ampliò grazie alle elargizioni economiche e finanziarie concesse dal governo israeliano ai nuovi insediamenti. Pare inutile sottolineare che ogni nuovo insediamento presuppone un’azione militare preventiva per cacciare gli abitanti naturali e con l’abbattimento sistematico di strutture e coltivazioni.

Le similitudini con un regime nazifascista, purtroppo, non finiscono qui. Il diritto israeliano è applicato esclusivamente ai cittadini di Israele, nonostante il territorio dello Stato non sia di fatto nettamente definibile. Il medesimo diritto non viene applicato ai palestinesi privi di cittadinanza israeliana e non accusati di terrorismo. Infatti, le carceri israeliane straboccano di palestinesi (uomini, donne, bambini) che spesso non conoscono neppure le imputazioni che vengono loro mosse. Il periodo di carcerazione senza accusa non ha un limite proprio. Non essendo accusati non possono neppure accedere al diritto alla difesa e alla nomina di avvocati. Questa condizione è definita “arresto amministrativo”, molto sovente gli arrestati sono oggetto di maltrattamenti e torture(4).

La copertura fornita dagli USA e dall’occidente in genere ad Israele denuncia l’esatto rapporto tra volontà politica e rapporti internazionali. Solo grazie ad un appoggio incondizionato da parte degli stati occidentali Israele può perpetrare la colonizzazione progressiva dell’intera area medio-orientale, sempre grazie al rapporto di interscambio economico-politico tra Israele e occidente non c’è limite al grado di violenza esercitato contro le popolazioni, palestinese in primo luogo. Nulla lascia pensare che questo rapporto possa invertirsi, nonostante le sollevazioni popolari sempre più frequenti nel mondo occidentale. Da questo ne deriva la preparazione dell’IDF (esercito israeliano) a livelli di scontro militare sempre più alti.

Da quanto sin qui descritto se ne ricava che abbassare il livello di violenza è contro tanto agli interessi dello Stato d’Israele quanto agli interessi occidentali e che, anzi, l’eventuale ulteriore espansione del territorio direttamente controllato da Tel Aviv sia l’obiettivo (non ammesso e non ammettibile) reale dell’occidente. Il genocidio in atto del popolo palestinese non è, pertanto, una follia ma un piano ben preciso in funzione dell’eliminazione di ogni possibilità di destabilizzare le politiche espansionistiche. La guerra come mezzo permanente di crescita anche economica è così l’esito naturale dell’accettazione internazionale del sionismo.

Le grandi penne progressiste mainstream occidentali s’inerpicano su interpretazioni fantasiosamente psicoanalitiche circa il supposto legame di causa ed effetto tra violenza subita dagli ebrei europei sotto il nazifascismo (shoah) e la violenza esercita oggi dagli ebrei di Israele sui palestinesi (nabka), rimanendo quindi sul piano etico; nessuna di queste gloriose firme prende in considerazione il dato economico che, invece, pare il vero motore delle politiche israeliane dal 1948. Israele non ha fonti di energia proprie (petrolio e gas); non ha giacimenti di materie prime; la sua agricoltura, per quanto innovativa e di pregio, non raggiunge il pareggio nel saldo alimentare import/export. E’ quindi costretta allo sviluppo di ambiti diversi: produzioni ad elevata tecnologia (in particolare i settori dual use), controllo dei commerci dei prodotti energetici, servizi finanziari. In nessuno di questi campi è possibile uno sviluppo significativo senza forti collaborazioni (dare e avere) internazionali, da qui l’instaurazione di legami con l’occidente in cui il dare si sostanzia soprattutto nell’assumere il ruolo di “guardia dell’occidente” all’interno dello scacchiere mediorientale, ruolo che Israele riveste molto volentieri poiché è funzionale alle proprie necessità di espansione geografica e di controllo militare contro ogni possibile reazione da parte delle popolazioni e delle nazioni dell’area. La necessità di allargare il territorio deriva dalle minuscole dimensioni originali (vedi tabella), decisamente insufficienti per il controllo dei flussi energetici dal medio-oriente verso l’occidente; non secondario, inoltre, è l’aspetto del controllo delle risorse idriche in un quadrante geografico dove la disponibilità d’acqua rappresenta da sempre un nodo cruciale. Possedere tecnologie d’avanguardia permette ad Israele di poter gestire scambi di ricerca ed industriali di altissimo profilo strategico, tanto nell’uso civile quanto in quello militare.

NOTE
1) L’assunto fondamentale consiste nell’affermazione che “il popolo di Israele” ha diritto alla“propria patria di elezione data da Dio e che questa patria è la Palestina.“
2) Lo Stato d’Israele non possiede una propria Costituzione, di fatto questa è sostituita“nell’ordinamento giuridico da 14 “leggi fondamentali” che costituiscono il riferimento legislativo. Le“leggi fondamentali sono oggetto di modifiche e aggiornamenti.“
3) Basic Laws su www.knesset.gov.il“
4) https://www.amnesty.it/israele-tortura-e-trattamenti-umilianti-inflitti-ai-detenuti-palestinesi/

Elio Limberti

Collaboratore redazione di Lavoro e Salute

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