ISTAT: prosegue il declino demografico in Italia
“Declino demografico”. “Inverno demografico”. “Calo demografico”. Le espressioni utilizzate dai giornali per descrivere il rapporto ISTAT sugli Indicatori demografici dell’anno 2023 non lasciano spazio a un più roseo futuro per l’Italia. Con 6 neonati e 11 decessi per 1000 abitanti, in media 1,20 figli per donna (nel 2022 era 1,24), 46,6 anni di età media e 83,1 anni come speranza di vita alla nascita (con sei mesi di vita in più rispetto al 2022), in Italia la natalità risulta in discesa secondo un trend consolidato da ben 11 anni e la mortalità è in forte calo.
La diminuzione del numero dei nati è determinata sia da una importante contrazione della fecondità, sia dal calo della popolazione femminile nelle età convenzionalmente riproduttive (15-49 anni), scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, dai 13,4 milioni del 2014 e dai 13,8 milioni del 2004. Anche la popolazione maschile di pari età, tra l’altro, subisce lo stesso destino, passando da 13,9 milioni nel 2004 fino agli attuali 12 milioni di individui. Continua, inoltre, a rilevarsi la tendenza a una posticipazione delle nascite, fenomeno di significativo impatto sulla riduzione generale della fecondità, dal momento che più si ritardano le scelte di maternità più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Andando a guardare alla distribuzione geografica delle nascite, il Trentino-Alto Adige, con un numero medio di figli per donna pari a 1,42, continua a detenere il primato della fecondità più elevata del Paese, seguono Sicilia (1,32) e Campania (1,29); la Sardegna continua a essere da 4 anni la regione con la fecondità più bassa (0,91, lo scorso anno era 0,95).
La variazione della popolazione vede una ripartizione geografica eterogenea tra il Sud del Paese che registra un -4,1 per mille e un aumento al Nord del 2,7 per mille; stabile al Centro Italia (+0,1 per mille). I numeri degli italiani restano però stabili a quasi 60 milioni di cittadini grazie al saldo positivo delle immigrazioni dall’estero che passa da un +261mila nel 2022 a un +274mila nel 2023. In generale la popolazione residente straniera risulta in crescita di 166mila persone, raggiungendo i 5milioni e 308mila individui al primo gennaio 2024.
Oggi il declino demografico equivale allora a un declino di iniziative di riforma e di trasformazione, di ammodernamento al passo con i tempi e con le esigenze emerse. “Il nostro Paese è destinato a un rapido e inesorabile declino se non saranno attuate rapidamente delle politiche familiari ed economiche serie contro l’inverno demografico” sottolinea Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità ideatrice dell’appuntamento annuale degli Stati generali della natalità. “Il dato di 379mila bambini venuti al mondo, ben al sotto delle già drammatiche previsioni, che si attestavano sui 382mila, non solo è lontanissimo dall’obiettivo delle 500mila nascite entro il 2034 che dovremmo raggiungere per evitare il crollo del Paese, ma anzi è un trend che continua a peggiorare non mettendo sosta al declino demografico iniziato nel 2008”.
Con questi dati complessivi più che allarmanti alla mano, ci sarebbero tutte le premesse per attivare delle impattanti politiche demografiche volte a favorire la maternità con una normativa a tutela del lavoro femminile e senza aggravio per il datore di lavoro, con servizi sanitari efficienti da Nord a Sud e a disposizione per le coppie che incontrano difficoltà nel portare a termine una gravidanza, servizi a sostegno delle famiglie quali disponibilità e gratuità degli asili nido. Insomma ragionare sul lungo termine e con obiettivi ben chiari che esulano dagli interventi spot pre-elettorali quali bonus variegati, parziali sgravi fiscali a donne lavoratrici o ad aziende con dipendenti donne, o campagne comunicative vuote di contenuti. Non sarà il bonus nido, la riduzione parziale delle tasse per le aziende che assumono donne o il ribadire di ascoltare l’orologio biologico che è in ciascuno di noi a far risalire le nascite nel Paese. Questo è certo.
Invece queste azioni non sono in discussione.
Da anni la politica ha scelto la strada più facile e ha puntato sulla maggioranza demografica dell’elettorato, ovvero sulla fascia anziana della popolazione. Poco interesse allora ricoprono il lavoro, l’infanzia e l’impossibile sistema pensionistico attualmente in vigore. Si agitano spauracchi quale la paura del diverso, del non italiano doc, per garantire una sostanziale immobilità sociale che però non favorisce i giovani e le loro esigenze. Recentemente il governo parla di ridurre il numero dei bambini stranieri nelle classi quando sembra dimenticare che sono proprio quei bambini spesso a consentire di tenere aperte alcune scuole e a dare quindi lavoro e futuro al Paese. Dimentica, inoltre, che molti di quegli “stranieri” sono in realtà giovani nati da genitori stranieri e privi di cittadinanza che il cosiddetto oppure lo Ius scholae potrebbe sanare. Peraltro, e in questo contesto appare più che appropriata la riflessione, aumentando a tavolino il conteggio numerico della popolazione italiana.
Miriam Rossi
15/4/2024 https://www.unimondo.org/
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