Italia bandiera nera di democrazia nella UE
Che dire di un Paese che si avvia ad avere il minor numero di eletti per abitanti, nessun finanziamento pubblico ai partiti, uno sbarramento nella legge elettorale particolarmente alto, con abnormi numeri di firme per presentarsi alle urne, per altro a fronte di una crisi dei partiti sempre più stravolti in aggregazioni per “vincere” le elezioni, senza regole certe e con “fai-da-te” assai particolari tra primarie e piattaforme?
Per non parlare poi dell’inefficacia del conflitto sociale ormai teorizzata e sancita in modi pesanti clamorosamente illuminati da quello che accade invece in Francia.
Forse conviene partire proprio da questo ultimo dato per ragionare sul perché degli altri.
In Italia ormai da troppo tempo c’è una cesura tra condizione sociale e rappresentanza politica. Se devo collocarlo nel tempo penso proprio al tema delle pensioni quando durante il primo governo Berlusconi ci fu uno straordinario movimento di lotta contro il suo progetto di controriforma ma poi si permise a Dini di portarlo sostanzialmente avanti in una logica di scambio tra collocazione politica e rappresentanza sociale.
Già il precedente governo Amato, godendo di uno stato di emergenza e di una verniciatura tecnica, aveva avviato lo smantellamento dei diritti pensionistici. Ma allora il Pds, che era all’opposizione, votò contro. Poi fu dentro la lotta contro il disegno di Berlusconi ma, andato al governo con Dini, cambiò e sostenne il progetto. Naturalmente lo “scambio” tra politico e sociale via via produsse anche un cambio di rappresentanza e di ragion politica al punto che il Pd è centrale nella riforma Fornero e sostanzialmente consenziente.
Tutto questo processo fa sì che il conflitto viene meno per inefficacia e mancanza di rappresentanza e viene via via sussunto nel rancore.
È questa dinamica che produce la necessità dell’impoverimento democratico di cui parlavo all’inizio.
Se non ci sono spazi per alternative, i partiti si omologano e si modulano sul governo. La rappresentanza si derubrica in governabilità. Chi resiste va espulso. E l’omologazione può creare rancore ma non conflitto. Il rancore verso la casta, invece che ripristinare la centralità della rappresentanza e la riapproprazione del poter scegliere, viene volto, con un’operazione di rivoluzione passiva, al restringimento dell’agibilità democratica.
Ed ecco il taglio dei parlamentari, l’azzeramento del finanziamento pubblico ai partiti, le clausole di esclusione alla competizione ed alla rappresentanza. Tutte cose che non riducono né il potere delle caste né la frammentazione. Ma inibiscono la funzione costituzionale dei corpi intermedi come capaci di esprimere e organizzare la volontà popolare.
Si parla adesso, dopo un numero esagerato di riforme elettorali maggioritarie, di un modello tedesco. Che semplicemente non c’entra niente con quanto c’è in Germania. Serve solo a motivare un assurdo sbarramento al 5% che, nella situazione ormai degenerata dei partiti italiani, serve ad escludere e ad assemblare opportunisticamente.
In Germania c’è un modello costituzionale solido e non attentato da 30 anni di degenerazione della democrazia. Qui linkiamo materiali che mostrano ad esempio come il finanziamento pubblico sia presente ed accessibile dai partiti che risultano normati per legge (che tutela gli iscritti) e non per presenza o meno nel parlamento (basta prendere lo 0,5% alle elezioni, ma poi contano gli iscritti e si finanziano le attività proprie della funzione dei partiti). In Germania, cuore della democrazia non è il governo ma la rappresentanza che deve essere effettiva, partecipata. E la competizione deve essere aperta a tutti, in primis, a cittadine e cittadini.
Il finanziamento pubblico è garantito anche in Francia a chiunque prenda l’1% al primo turno in almeno 50 collegi.
In Germania i partiti sono regolati, come dicevo, da una legge di applicazione della Costituzione. E così succede anche a livello europeo per i partiti europei.
Probabilmente è giunta l’ora di pensarci anche in Italia. Una legge che aiuti a riportare i partiti nell’alveo costituzionale, sul modello di quella europea, appare una strada necessaria.
L’Italia non è l’Ungheria o la Polonia dove ci sono in corso alterazione degli equilibri tra i poteri. Ma non vedere la crisi democratica in cui è sprofondato anche il nostro Paese, che sta aprendo la strada a rischi ancora più grandi, sarebbe molto grave.
Roberto Musacchio
15/1/2020 transform-italia.it
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