Italia, terra di corruzione e malaffare politico per la svendita del patrimonio pubblico e dei beni comuni. Privatizzazioni, il nuovo che avanza

Il Con­si­glio dei Mini­stri ha dato ieri l’ok alla col­lo­ca­zione in Borsa del 40% di Poste Ita­liane e del 49% di Enav, con l’intenzione di inca­me­rare una cifra di circa 6 miliardi di euro. L’obiettivo dichia­rato è natu­ral­mente la ridu­zione del debito pub­blico, che da que­sta ope­ra­zione rice­verà, come ognuno può notare, una spinta deci­siva : scen­derà infatti da 2.120 a 2.114 miliardi di euro, senza con­tare come le entrate annuali dello Stato, stanti gli utili attuali delle due società, pas­se­ranno da 1 miliardo a 600 milioni (Poste) e da 50 a 25 milioni (Enav).Un vero e pro­prio non­sense eco­no­mico, che svela il mec­ca­ni­smo che sot­tende a tutte le poli­ti­che di auste­rità : le pri­va­tiz­za­zioni non ser­vono ad abbat­tere il debito pub­blico, ma è la trap­pola –costruita arti­fi­cial­mente– del debito pub­blico a per­met­tere la pro­se­cu­zione delle privatizzazioni.

Sban­die­rate come il nuovo che avanza, le pri­va­tiz­za­zioni hanno ormai una lunga e fal­li­men­tare sto­ria nel nostro Paese: negli anni ’90, furono il cavallo di bat­ta­glia del libe­ri­smo impe­rante, al punto che, nono­stante la guerra neo­li­be­rale alla società porti da sem­pre con sé il ves­sillo (meri­tato) di Mar­ga­ret Taht­cher, il nostro Paese con i suoi ricavi di 152 miliardi di euro, è riu­scito a piaz­zarsi al secondo posto mon­diale, dopo il Giap­pone, nella clas­si­fica dei pro­venti da privatizzazione.

Con i risul­tati che tutti oggi cono­sciamo: il totale disim­pe­gno dello Stato dai set­tori, anche stra­te­gici, dell’economia, l’azzeramento di ogni fun­zione pub­blica in campo economico-finanziario, la costru­zione di mono­poli pri­va­ti­stici, la dra­stica ridu­zione dell’occupazione e della qua­lità dei ser­vizi, l’aumento delle tariffe a carico dei cittadini.

Il governo Renzi, in par­ti­co­lare riguardo a set­tori sen­si­bili per i diritti uni­ver­sali dei cit­ta­dini– com’è il caso di Poste Ita­liane– pro­pa­ganda una sorta di azio­na­riato popo­lare riser­vato ai dipen­denti e ai rispar­mia­tori; come se la sto­ria non dimo­strasse, al di là di tutte le favole sulla demo­cra­zia eco­no­mica, quale sia il vero ruolo dei pic­coli inve­sti­tori: met­tere i soldi nella società, per­met­tendo così agli azio­ni­sti mag­giori di poterla con­trol­lare senza nem­meno fare lo sforzo di doverla pos­se­dere.
Ciò che viene pro­pa­gan­dato come nuovo è di con­se­guenza la vec­chia ricetta che, con lo shock della crisi, viene ripro­po­sta in maniera esten­siva: a rischio sono oggi le aziende par­te­ci­pate dallo Stato, ma ancor più l’insieme delle ric­chezze in mano alle comu­nità locali –ter­ri­to­rio, patri­mo­nio pub­blico, beni comuni– sui quali i grandi capi­tali accu­mu­lati in due decenni di spe­cu­la­zione finan­zia­ria hanno deciso di met­tere le mani, favo­riti dalle poli­ti­che mone­ta­ri­ste dell’Ue e dalle scelte libe­ri­ste del governo Renzi.

Per opporsi a tutto que­sto e per met­tere in campo le coor­di­nate di un altro modello sociale e di demo­cra­zia, che parta dalla riap­pro­pria­zione dei beni comuni, dei ser­vizi pub­blici e della ric­chezza pro­dotta, dal diritto al red­dito, al lavoro e al wel­fare, oggi una grande, paci­fica e colo­rata mani­fe­sta­zione nazio­nale attra­ver­serà le strade di Roma. Sarà com­po­sta da donne e uomini diversi, ognuno con lo sguardo rivolto all’orizzonte. Senza sapere ancora come rag­giun­gerlo, ma per ini­ziare a camminare.

Marco Bersani

17/5/2014 www.ilmanifesto.it

 

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