Italiani senza cittadinanza | La storia di Hamilton
La pandemia da Covid-19 ha evidenziato l’importanza del lavoro di medici e infermieri, dipinti come eroi ma in realtà sempre in prima linea per sconfiggere malattie spesso in situazioni di carenza di risorse. Tra costoro ci sono anche italiani senza cittadinanza, come Hamilton, pronti a servire il nostro paese nonostante gli ostacoli che trovano per diventarne cittadini.
Siamo parte integrante di questo paese: ignorarci non è giusto.
Ha scritto qualche giorno fa Hamilton, infermiere albanese in Italia da 17 anni, in una lettera alle istituzioni italiane per sensibilizzare sulla questione della cittadinanza, in modo che venga riconosciuto l’impegno di tutti coloro che stanno supportando il paese in questa difficile situazione.
Abbiamo raggiunto Hamilton per farci raccontare la sua storia di italiano senza cittadinanza, in questo momento così intenso della sua vita. Hamilton ha 27 anni ed è arrivato in Italia dall’Albania quando ne aveva 10 per raggiungere, insieme al padre, la madre e la sorella che già vivevano in Puglia insieme ad altri parenti. Oggi lavora come infermiere a Firenze e, sebbene risieda in Italia da tanti anni, non ha ancora la cittadinanza italiana.
Del suo arrivo in Italia Hamilton ha ricordi sbiaditi; ricorda la confusione iniziale e il dispiacere di aver lasciato i parenti e gli amici in Albania, ma anche l’entusiasmo per la nuova avventura che gli si prospettava davanti. «Trani, la città in cui ho vissuto per circa 12 anni – afferma – è molto simile a Durazzo e, cosa fondamentale, è situata sulla costa adriatica. Per me il mare era il filo conduttore tra il mio passato e il mio presente».
Chiedo a Hamilton come è stata la sua esperienza a scuola; mi racconta che alla scuola media inferiore ha trovato tanti amici e, in particolare, il suo compagno di banco Niccolò che lo ha aiutato molto nel suo processo di adattamento al nuovo ambiente.
Le difficoltà sono cominciate durante il liceo, perché in questo periodo ha subito atti di bullismo, violenza verbale e fisica. L’educazione dei suoi genitori e il supporto degli amici, però, lo hanno aiutato in queste situazioni: «Ho capito che i bulli ti odiano perché tu hai qualcosa che loro sentono di non poter avere».
In Italia però Hamilton ha trovato anche tanta accoglienza. Eppure, dopo 17 anni di residenza, non ha ancora la cittadinanza italiana e il motivo principale è stata la difficoltà a stipulare un contratto di lavoro e raggiungere il requisito economico. Infatti, come abbiamo spiegato in questo articolo, i requisiti per richiedere la cittadinanza sono la residenza continuativa di 10 anni sul territorio italiano e una soglia minima di reddito dimostrata per gli ultimi 3 anni.
«A Trani, e in generale nel sud Italia – spiega Hamilton –, la parola “contratto” è un po’ come il mostro di Loch Ness: tutti credono che esista ma nessuno l’ha mai visto». Poi aggiunge che nemmeno a Firenze la situazione lavorativa è diversa, anche se un po’ più facile perché alcuni lavoretti saltuari gli hanno permesso di pagarsi gli studi. Solo dopo la laurea ha potuto firmare il primo contratto di lavoro.
Cosa ha comportato per Hamilton vivere senza cittadinanza italiana? Se per alcuni può essere poco più di un pezzo di carta, per lui si è rivelata una mancanza che ha impattato sulla sua vita, e questi sono solo alcuni esempi: senza cittadinanza non è riuscito ad andare in Erasmus in Inghilterra perché il visto è arrivato troppo tardi; senza cittadinanza fa più fatica a firmare un contratto di locazione perché di mezzo c’è il pregiudizio verso chi non è italiano in un contesto, quello di Firenze, dove trovare casa è già difficile di per sé.
Non si tratta però solo di una questione pratica ma anche, e soprattutto, identitaria: Hamilton si sente italiano. Quando gli italiani gli chiedono cosa gli cambia ad avere o meno la cittadinanza, lui risponde che cambia molto se ti senti propria la terra, i valori, la Costituzione e le tradizioni italiane. E aggiunge: «Non si diventa italiani grazie ad un pezzo di carta ma è un processo culturale e sociale. Per alcuni inizia dalla nascita, per altri a 10 anni, per altri a 30 anni».
Oggi Hamilton è infermiere. Lavora in un ospedale di Firenze, dove i casi di Covid-19 sono stati per ora limitati, ma il lavoro è comunque incessante perché non esiste solo questa epidemia, ma tante altre malattie e persone da assistere. In questo contesto, nell’ospedale, avere o non avere la cittadinanza non è un problema, ma lo diventa fuori a causa di una lunga e travagliata burocrazia.
Per questo Hamilton ha voluto rivolgersi alle istituzioni italiane proprio in questi giorni. Per lui, come per tante persone che vivono in Italia senza cittadinanza, la firma di Giuseppe Conte posta sui Decreti Sicurezza è stata una grande delusione, perché il primo, il decreto legge n. 113/2018 entrato in vigore il 4 dicembre 2018, ha reso più complicato l’iter per diventare cittadini italiani raddoppiando i tempi di attesa e aumentando i costi per l’istanza.
Hamilton, col senno di poi, si è ricreduto su Giuseppe Conte e pensa che il governo attuale stia gestendo lucidamente la crisi. Spera che una volta tornata la normalità le scelte verso i giovani siano più coraggiose rispetto al passato e auspica che vengano rafforzate due aree fondamentali per lo sviluppo di un paese civile e all’avanguardia: istruzione e ricerca, e sanità. Ma non dimentica il sud Italia, dove è necessario intervenire massicciamente affinché i giovani possano acquisire maggiore fiducia nell’istruzione e nella politica.
Per concludere, chiedo a Hamilton dove sente le sue radici. Per lui, le radici sono dove vive e dove vivono i suoi cari, per questo sono sia in Albania sia in Italia. E aggiunge:
Sono fortemente affezionato al mio paese di origine, ma il mio presente e futuro li vedo solo in Italia e dunque vorrei diventare italiano al 100%.
Saida Hamoujehy
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