Jenin è la prima vittima dell’apartheid di Israele

Gli attacchi israeliani a Jenin sono solo l’ultimo tentativo di pacificare un luogo che non ha mai voluto abbassare la testa di fronte all’occupazione militare

La città palestinese di Jenin sta ancora tremando per la devastazione causata dal recente e brutale attacco israeliano, che ha provocato la morte di almeno tredici palestinesi (tra cui donne e bambini), cento feriti e migliaia di sfollati. Per due giorni, le forze israeliane hanno colpito Jenin con attacchi aerei e droni, sostenuti da convogli militari e bulldozer.

Pubblicizzata come la più grande operazione militare a Jenin dalla Seconda Intifada, l’incursione su vasta scala ha reso la città un paese fantasma. Dopo lunghe ore di violenza incessante, Jenin sembrava un campo di battaglia abbandonato e avvolto dal fumo. Ma Jenin non è uno stato in guerra con Israele. È un campo profughi all’interno di una città occupata.

Il campo, che quest’anno compie settant’anni, era stato fondato dalla Giordania per ospitare i profughi palestinesi sfollati a causa della guerra del 1948. Oggi, circa diciassettemila rifugiati sono ammassati in un quarto di miglio quadrato, noto come campo profughi di Jenin.

Israele vuole Jenin dalla guerra del 1948, quando le sue forze non riuscirono a conquistare la città. La sua posizione sul confine giordano rappresentava un’attraente zona cuscinetto per lo stato nascente. Difesa dall’esercito iracheno, Jenin è stata una delle poche città palestinesi in cui gli arabi hanno combattuto coraggiosamente e hanno mostrato una forte resistenza (Un cimitero di guerra per i soldati iracheni si trova ancora alla periferia di Jenin). La sua stessa sopravvivenza ha permesso a Jenin di far da rifugio per i profughi palestinesi sfollati da Haifa e da altre parti della Palestina. Per tragica ironia, Israele sta ora bombardando la stessa popolazione di rifugiati che ha sfollato settantacinque anni fa.

La leadership israeliana è rimasta sconcertata dalla sconfitta di Jenin, la cui eroica sopravvivenza avrebbe perseguitato Israele per decenni a venire. Se Israele avesse preso Jenin quell’anno, ha osservato Haaretz, il fronte arabo al confine giordano sarebbe crollato, l’esercito iracheno si sarebbe ritirato, Gerusalemme Est sarebbe stata catturata e il fiume Giordano sarebbe diventato il confine di Israele.

Nel 1967, Jenin cadde sotto l’occupazione israeliana con il resto della Cisgiordania, rendendola una seconda Gaza, una città occupata ingrossata dai profughi. Israele ha occupato Jenin ma non l’ha mai veramente conquistata. I leader israeliani sapevano che Jenin non era un’impresa facile. La città aveva una lunga storia di resistenza all’occupazione straniera.

Durante la rivolta palestinese (1936-1939), Jenin divenne un cimitero per i soldati britannici, intraprendendo «un’intensa campagna di intimidazione e sabotaggio» che causò «grave preoccupazione» all’amministrazione britannica, per citare un rapporto ufficiale inglese. Fawzi al-Qawuqji, il leggendario comandante sul campo arabo dell’Esercito arabo di liberazione nel 1948, usò la città come base militare nel nord della Palestina, da qui lanciò il suo primo attacco contro le forze sioniste vicino alla strada strategica tra Haifa e Jenin.

A causa della sua storia, Jenin è diventata un centro per i militanti palestinesi e, di conseguenza, il luogo della punizione collettiva di Israele contro i palestinesi. Ha servito da roccaforte militante per gruppi islamisti palestinesi come la Brigata Alquds e la Brigata dei Martiri di Al-Aqsa, ma anche per gruppi più laici come le Pantere Nere di Fatah e le Aquile Rosse del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Pflp ).

Ciò ha reso Jenin un simbolo della resistenza palestinese contro l’occupazione. I giovani militanti palestinesi che combattono oggi l’occupazione israeliana a Jenin, comprese le nascenti Brigate Jenin, rappresentano una nuova generazione di palestinesi cresciuti nei campi profughi sotto il giogo dell’apartheid israeliano e che hanno subito decenni di violenza da parte dei coloni.

Il campo di Jenin è stato a lungo bersaglio di ripetute invasioni, raid e bombardamenti da parte di Israele, coprifuoco e uccisioni mirate, arresti di massa e demolizioni di case. Durante la prima Intifada, il campo fu bersaglio di numerosi raid e incursioni militari. Nel corso della sua tormentata storia, il campo di Jenin ha conosciuto ben pochi momenti di pace. Gli Accordi di Oslo del 1993, che hanno costretto Israele a cedere il controllo amministrativo di Jenin all’Autorità palestinese, hanno reso le incursioni israeliane nel campo sempre più costanti.

Il campo di Jenin era una creazione israeliana, nata da Israele all’indomani della guerra. Ossessionato dalla sua storia, Israele continua a vedere il campo impoverito e impotente come una minaccia di proporzioni «esistenziali» alla sicurezza che richiede misure straordinarie e sproporzionate.

Vent’anni fa, Israele ha adottato la sua misura più brutale contro Jenin: l’apartheid. Cominciò con la Seconda Intifada, quando Jenin divenne un importante campo di battaglia per la liberazione palestinese. La rivolta iniziò come una ribellione popolare ma presto divenne militarizzata. Jenin divenne nota ai palestinesi come «la capitale dei martiri».

Nell’aprile 2002, Israele ha lanciato un’importante incursione a Jenin nel contesto della sua operazione Scudo difensivo, nota tra i palestinesi come la battaglia di Jenin. La distruzione fu rapida e totale. Fonti palestinesi stimano il bilancio delle vittime palestinesi a centinaia, la maggior parte dei quali erano civili. La battaglia, durata dieci giorni, ha lasciato quattrocento case distrutte e altre centinaia gravemente danneggiate. La Bbc ha sostenuto che il 10% del campo era stato «virtualmente spazzato via da una dozzina di bulldozer israeliani corazzati». Un inviato delle Nazioni unite ha paragonato il campo a una zona terremotata.

I bulldozer israeliani hanno raso al suolo le case con dentro i membri delle famiglie. Circa quattromila residenti, un quarto della popolazione del campo, sono rimasti senza casa, due volte sfollati. La distruzione militare della città e del campo e la narrazione palestinese della battaglia sono documentate nel film Jenin, Jenin di Mohammad Bakri.

Nel maggio 2002, il governo israeliano, guidato da Ariel Sharon, ha adottato un piano per costruire un muro di separazione tra Israele e la Cisgiordania. Aggiungendo sale alla ferita, Israele ha scelto Jenin come elemento costitutivo del muro. A giugno, le forze israeliane hanno preso d’assalto Jenin, demolito case, raso al suolo campi e confiscato terre private palestinesi per il primo segmento del muro. La costruzione è iniziata vicino al villaggio di Salem a ovest di Jenin e si è estesa gradualmente fino a Gerusalemme Sud. Quella che una volta era una fertile terra palestinese è divenuta una rete intrusiva di recinzioni elettriche e muri di cemento alti otto metri, con rotoli di filo spinato, trincee militari, posti di blocco presidiati e torri di sorveglianza, il tutto fiancheggiato da strade e veicoli militari dalla parte israeliana. Durante la notte, Jenin è stata circondata da giganteschi muri di cemento sormontati da torri di guardia militari e cecchini israeliani. Jenin stava emergendo come il nucleo dell’apartheid israeliano.

Quando il muro è stato completato, è stato un sigillo sulla realtà dell’apartheid di Jenin: così è diventata una città occupata sotto assedio, segregata da un muro dell’apartheid e affollata di profughi. Fu il preludio all’apartheid in Palestina. Oggi, circa 3,5 milioni di palestinesi vivono in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, per lo più in cantoni segregati dietro il «muro dell’apartheid» di Israele e la «strada dell’apartheid» di nuova costruzione, e in paesi e città racchiusi tra blocchi di insediamenti ebraici e dietro una rete di strade segregate, barriere di sicurezza e installazioni militari. Il muro, che corre in profondità nelle terre palestinesi, spostando le comunità palestinesi e isolando le loro città e villaggi l’uno dall’altro, ha creato un sistema a due livelli che fornisce pieni diritti e privilegi costituzionali ai coloni israeliani privando i palestinesi dei diritti umani fondamentali.

Per i palestinesi che vivono lì, l’apartheid segnala non solo la segregazione, ma la disumanità della vita sotto occupazione: pestaggi, sparatorie, uccisioni, omicidi, linciaggi, coprifuoco, posti di blocco militari, demolizioni di case, sgomberi forzati e deportazioni, sparizioni forzate, sradicamento di alberi, arresti di massa, carcerazioni prolungate e detenzioni senza processo.

La violenza in corso contro i palestinesi a Jenin e altrove è la brutta realtà dell’apartheid israeliana, il culmine di decenni di occupazione ed espropriazione di un popolo senza Stato privato dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Perché quel campo non avrebbe mai dovuto esistere.

Seraj Assi ha scritto The History and Politics of the Bedouin. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

11/7/2023 https://jacobinitalia.it

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