Jobs Act e buoni lavoro precariato alla pari?

foto via flickr/gianni https://www.flickr.com/photos/gaas/4531460498/in/photolist-5Frrsy-8WTHvJ-92x2Dz-5CrBSd-51Dfzg-7UqVkh-8WTHey-9cAvvV-4mZyrG-8WTHrQ-8WTH9u-8WQFxp-8WQFsx-8WTH79-LS6bt-4yE9yW-nsCwM1-4912q9-73NEJC-7BxvMf-6MDVU-ik1jX-r3JTF-6XjALd-9kumZM-3Pneft-qxaXF3-6TpKyy-59zuU-6E5AQC-2gUJWu-bVjcfX-mmf2c-bwF6yE-H6RFL-4ut792-4ut78T-brsDvt-PDJ9M-bxY62P-4b8AKt-mWZjC-4atJNa-4cK2vU-br7n2M-72G3Eo-4fq7ee-8m3X9M-aq21VT-haA5h

Mai capitato di aver chiesto un piccolo servizio e di essere in imbarazzo sul quanto e sul come pagare l’aiuto a svuotare la cantina o la pulizia del giardinetto? I cosiddetti “buoni lavoro”, o voucher per le prestazioni lavorative occasionali, dovrebbero togliervi dall’imbarazzo. Andate in una tabaccheria autorizzata e comprate dei voucher, 10 euro l’uno per un’ora di lavoro (che corrisponde al costo minimo di un’ora di prestazione): 2,50 euro di contributi e 7,50 euro esentasse in tasca a chi vi renderà il servizio[1]. Lavoro non solo occasionale, dunque, ma accessorio perché il singolo committente – una famiglia o un’impresa – non può usare più di 20 voucher l’anno per i servizi di uno stesso lavoratore e quest’ultimo, da ieri, non può incassare più di 7000 euro all’anno, cumulando più clienti. L’imbarazzo è tolto, i contributi in conto futura pensione sono salvi e i lavoretti non sono più in nero.

Tutto bene dunque? Non secondo Tito Boeri, attuale presidente dell’INPS, che il 29 maggio 2015 ha parlato del rischio che il lavoro accessorio diventi la nuova frontiera del precariato. Rischio che potrebbe essere accentuato dall’approvazione dell’11 giugno dei decreti attuativi del Jobs Act, tra cui l’innalzamento del tetto annuo di reddito da voucher ai 7000 euro.

Cosa sono e come funzionano i buoni lavoro

È opportuno precisare che i “buoni lavoro” costituiscono una forma di pagamento della cosiddetta “prestazione lavorativa occasionale accessoria”, ovvero, di quelle attività non inquadrate da un contratto di lavoro dipendente perché svolte solo saltuariamente e in contesti a cui difficilmente si possono applicare contratti standard. I buoni sono stati introdotti nel 2003 con la cosiddetta legge Biagi[2] come uno strumento volto a contrastare il lavoro nero  – nel lavoro stagionale agricolo, nel lavoro domestico, ecc. -, riprendendo l’esperienza di altri paesi – Austria, Belgio e Francia – che prima di noi avevano introdotto questa peculiare tipologia lavorativa, ma limitandone l’applicazione agli ambiti domestico e familiare.

In Italia, il lavoro accessorio è decollato solo a partire dal 2008 grazie a ripetute modifiche legislative volte ad allargarne l’ambito di applicazione[R11] La legge Fornero (L. 92/2012) ne ha semplificato l’utilizzo. Oltre che dal tabaccaio i voucher si possono acquistare anche in banca, alla posta, sul web o presso l’INPS. Ma soprattutto, è stata estesa la possibilità di utilizzare i voucher per svolgere qualsiasi tipo di attività e per tutte le possibili categorie di committenti: famiglie, imprese familiari, imprenditori di qualsiasi settore, committenti pubblici, enti senza fini di lucro, ecc. Tanto che, a differenza di ciò che ci si aspetterebbe,  giardinaggio, pulizia e lavori domestici contano, insieme, per un decimo dei buoni acquistati dal 2008 al 2014,  mentre attività turistiche, commerciali, di servizio e altre, come la consegna porta a porta, contano per più del settanta percento.

Sono anche state estese le categorie di soggetti che possono accedere ai buoni lavoro: disoccupati e inoccupati, collaboratori e collaboratrici domestici – colf, badanti, baby sitter – pensionati, cassaintegrati, cittadini extracomunitari[3], studenti, lavoratori dipendenti (con regolare contratto full time o part time).

La legge Fornero ha anche cercato di arginare l’abuso dei buoni lavoro, introducendo tre limitazioni. La prima: il tetto massimo di compenso annuo del lavoratore non poteva superare i 5.060 euro netti all’anno tra tutti i clienti[4] da ieri il Jobs Act alza questa soglia ai 7000 euro. La seconda stabilisce che i voucher sono di un’ora, datati e numerati progressivamente, per permettere i controlli. La terza stabilisce che nel settore agricolo – dove i voucher hanno registrato, soprattutto negli anni precedenti la riforma Fornero, una significativa diffusione nel lavoro stagionale -le attività lavorative remunerate con voucher potranno essere svolte solo da pensionati e da giovani (studenti con meno di 25 anni).

Sempre che i controlli funzionino

Come recita la circolare ministeriale che regola l’uso dei voucher “diventa fondamentale, da parte del personale ispettivo, una ricostruzione in sede di verifica circa la ‘durata‘ della prestazione resa, da effettuarsi secondo le ’tradizionali‘ modalità accertative proprie del lavoro subordinato”.

Non sappiamo se i controlli abbiano funzionato o meno. Sappiamo solo che la legge Fornero ha dato l’ultimo impulso  all’irresistibile ascesa del lavoro accessorio occasionale. I lavoratori coinvolti sono passati da 366 mila nel 2012 a più di un milione lo scorso anno (figura 1). Non molti se ne sono accorti e tantomeno il fenomeno traspariva dalle cifre ufficiali su occupazione e disoccupazione.

Le ragioni sono varie. Non solo un disoccupato o un inoccupato che svolgano lavoro accessorio rimangono tali, perché il lavoro accessorio non incide sullo stato occupazionale dell’individuo e sui diritti che ne derivano[5], ma il guadagno è generalmente modesto, poco più di 500 euro in media l’anno a persona.

Tutti insieme sull’orlo del precariato?

Il forte turnover dei lavoratori ‘accessori’ ha poi spalmato l’effetto di una crescita tumultuosa su un universo ampio di occupati, disoccupati e inoccupati. E l’assenza di squilibri troppo visibili ha tenuto ulteriormente basso il profilo:l’aumento dei buoni lavoro non sembra infatti essere andato a scapito dell’equità fra uomini e donne o fra generazioni. Il milione di lavoratori del 2014 è diviso grossomodo equamente fra uomini e donne, che, per giunta,portano a casa una cifra simile (540 euro l’anno l’uomo contro i 514 per le donne nel 2013). Perfino l’età media – circa 38 anni nel 2014 – non è troppo alta o troppo bassa e sembra voler sottolineare una certa equità fra generazioni[6].

Figura 1 – Numero di lavoratori che hanno effettuato lavoro occasionale accessorio per sesso, 2008-2014

 

Fonte: INPS, Statistiche in Breve, Aprile 2015

Insomma un’esplosione di mini-jobs in salsa di equità italica? Perchè allora il presidente dell’INPS è preoccupato dal dilagare del “lavoro accessorio”? Cosa potrebbe nascondersi dietro ai dati resi pubblici dal suo stesso istituto?

Non abbiamo risposte, solo qualche congettura. La prima è che i dati medi resi noti sono soggetti alla famosa legge del Belli. Le medie potrebbero cioè nascondere la presenza di due gruppi agli estremi: l’uno fatto di persone per cui il lavoro accessorio è di fatto l’attività principale e il guadagno ben superiore ai 500 euro; l’altro di lavoratori davvero periferici con guadagni parecchio inferiori ai 500 euro l’anno. Una seconda illazione è che i controlli non funzionino in maniera adeguata e che le ore di lavoro siano superiori a quelle misurate dai vouchers.Le due congetture non sono in contraddizione e il combinato disposto giustificherebbe i timori di una nuova frontiera del precariato.

Figura 2 – Numero di lavoratori ed età media per anno di attività e sesso 

Fonte: INPS, Statistiche in Breve, Aprile 2015

NOTE 

[1]Il lavoratore che riceve i voucher può riscuoterli in qualsiasi sede INPS. Gli importi riscossi tramite voucher sono esenti da imposizione fiscale (Irpef).

[2] Cfr. decreto legislativo n. 276/2003 (art. 70-74), in attuazione alla delega contenuta nella legge 30/2003.

[3] Ma nel caso degli stranieri il solo reddito da prestazione occasionale non può essere sufficiente a rilasciare o rinnovare il permesso per motivi di lavoro.

[4] Se si superano i limiti (fissati ogni anno per legge), il lavoro non è più considerato accessorio e la persona deve essere pagata e assicurata come un normale lavoratore subordinato (con un notevole aggravio di costo).

[5] Lo svolgimento di prestazioni di lavoro occasionale accessorio non dà diritto di fruire delle prestazioni a sostegno del reddito (come indennità di disoccupazione, malattia, assegni familiari, maternità, ecc.) ma è riconosciuto ai fini del diritto alla pensione e della contribuzione volontaria.

[6] Attenzione però,  la fotografia che possiamo scattare oggi fissa un processo in rapida evoluzione dove gli equilibri potrebbero presto mutare. Ad esempio il tasso di femminilizzazione del lavoro accessorio è cresciuto ininterrottamente dal 2008 mentre l’età ha seguito il percorso inverso.

Francesca Bettio, Paola Villa

12/6/2015 www.ingenere.it

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