La bufala dei bambini decapitati e gli indicibili Mentana e Sechi
Quanti sono gli episodi dell’italica “informazione” che occultano la verità su quanto avviene in Palestina, e non solo? La “disinformatia” dei nostri giornalisti aziendali fa apparire i russi dilettanti…
Secondo me, Israele sta assumendo il carattere e il comportamento dei suoi vicini. Lo dico con dolore, con collera. Non c’è differenza tra Begin e Khomeini. (P. Levi, 1982)
Enrico Mentana, all’indomani delle uccisioni di Hamas nei kibbutz, nel Tg della 7 parlò di “bambini decapitati”, aggiungendo: “Non vi mostriamo le immagini perché sono scioccanti”. La frase, in tutta evidenza, era volta a ingigantire l’orrore antipalestinese. Ora: che quello del 7 ottobre sia stato un massacro, e che l’uccisione anche di un solo bambino è una barbarie, è fuori di discussione. Ed è vero che in guerra possono accadere le nefandezze più atroci, ma la “notizia” di “bambini decapitati” appariva pressoché unica.
Il caso volle che Mentana ed io ci incontrassimo, diversi giorni dopo, alla prima del bellissimo film “Io, noi e Gaber” alla Festa del cinema a Roma. Dato che Mentana è una mia vecchia conoscenza (in gioventù presumeva di scavalcarmi a sinistra, essendo anarchico… com’è vindice la storia…), gli domandai delle foto, che erano per me introvabili.
“Te le mostro subito”, rispose, e aprendo il cellulare si mise a schiacciare freneticamente… “Qui non ci sono… mannaggia… vediamo di là”… ecc. Niente. Mi chiese la mia mail, garantendo che me le avrebbe inviate. Da allora c’è stato, fra noi, un intenso carteggio telematico. Accampando scuse e pretesti, il nostro le foto non me l’ha mai mandate. Nell’ultima mail scrive: “Quando sarà necessario mostrerò tutto quello che c’è da mostrare”. Oh!, bella. E “quando sarà necessario”? Alle calende greche, a guerra finita? A memoria scomparsa? Campa cavallo…
La mia convinzione è che quelle foto Mentana non le ha mai avute, per il semplice fatto che non esistono. Se ci fossero, gli israeliani per primi le avrebbero mostrate con dovizia. La stessa giornalista della Cnn, Sara Sidner, che ha diffuso per prima urbi et orbi la bufala dei “bambini decapitati”, si è scusata per l’affermazione, “assunta dall’ufficio del primo ministro israeliano”, e non da lei verificata.
Mentana, dunque, ha diffuso una notizia tendenziosamente antipalestinese e antiaraba, e sarebbe corretto che si scusasse. Naturalmente se, per pura ipotesi, le foto esistessero e “mitraglietta” fosse in grado di dimostrare che le aveva al momento in cui diede la notizia, io sarò ben lieto di scusarmi con Enrico. Il quale fa innumerevoli cose, forse troppe e quindi non bene come dovrebbe. Mario Sechi, quando era direttore dell’agenzia Agi, ebbe con me un rapporto normale: mi intervistava su vari argomenti. Poi deve essere successo qualcosa, giudicate voi.
È accaduto, di recente, che io abbia partecipato alla trasmissione su Rai1 “Il rosso e il nero”, condotta da Vladimir Luxuria e Francesco Storace. Si parlava di Palestina. Il mio intervento, pacato e documentato (come possono testimoniare i radioascoltatori), si svolse fra continue interruzioni e provocazioni di Storace, che è arrivato a dirmi :”Mario, non sapevo che eri diventato il portavoce di Hamas”.
Eh?! Ecco un caso dove le parole sono più veloci del pensiero. Al punto che Luxuria si sentì in dovere di rimbrottare in diretta l’incauto co-conduttore. Non replicai alla bassezza. A trasmissione finita, telefono a Storace, facendo le mie rimostranze e, in seguito a sue parole ingiuriose, gli dico “Fascista di merda”. Per me la cosa era finita lì.
Senonché l’indomani leggo su “Libero” (diretto da Sechi) un corposo articolo di Storace che, in preda a evidente autolesionismo, cercava di ribaltare la frittata con affermazioni false, e il giornale, in un occhiello addirittura in prima pagina, scriveva rivolto a me :”Va in radio e perde la testa”. E poi, nell’articolo del nostro “eroe”: “Capanna, ospite a Radio 1, insulta”.
Allucinante, nel suo piccolo. Anche perché Storace, amando prendersi a schiaffi da solo, rendeva pubblico l’epiteto che gli avevo rivolto in privato. Allora mando una urbana lettera a Sechi, ristabilendo la verità dei fatti. Passano i giorni, niente pubblicazione. Contatto la segretaria del direttore (impossibile parlare con Sechi, sempre in riunione…) per sapere della mia missiva.
Dopo altri giorni di attesa e di solleciti, finalmente la risposta: “Il direttore non è interessato”. Invio allora un’altra lettera, ai sensi della legge sulla stampa. Questa volta pubblicazione prontissima, l’indomani. Senonché appare nella rubrica delle lettere, fra le ultime pagine del foglietto, con una replichina peregrina di Storace. Così facendo, Sechi ha violato lo spirito e la lettera della predetta legge, che all’art. 8 norma la questione con assoluta chiarezza.
Recita: “Per i quotidiani, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta, in testa di pagina e collocate nella stessa pagina del giornale che ha riportato la notizia cui si riferiscono”. Come si vede, Sechi aveva l’obbligo di pubblicare la mia prima lettera (senza aspettare la seconda di formale rettifica), nella stessa pagina dell’articolo in questione e senza permettere replichette dozzinali. La scorrettezza deontologica balza agli occhi.
E costui è stato, nientemeno, anche portavoce del governo. Una meteora velocissima, durata tre mesi, il tempo fisiologico necessario perché la premier optasse per altri. Immagino direte, cari lettori, che, di fronte al marasma della guerra, si tratta di piccole cose. Sì e no. Perché, spesso, sono le piccole cose a determinare le grandi. E a comprometterle. Quanti sono gli episodi dell’italica “informazione” che occultano la verità su quanto avviene in Palestina, e non solo? La “disinformatia” dei nostri giornalisti aziendali fa apparire i russi dilettanti…
Esempio: se succede un episodio di becero antisemitismo, lo si enfatizza oltre misura. Della serie: non si vede la trave che è nel nostro occhio.
Mi accingo a scrivere una cosa pesante (spesso la verità è pesante). Avendolo già affermato su questo giornale, i lettori sanno qual è la mia posizione: “Considero israeliani e palestinesi miei fratelli, ma quando un fratello opprime l’altro, è dalla parte della vittima che bisogna stare”. Credo, dunque, di avere le credenziali in regola.
Sicché dico: oggi Israele (insieme al padrone americano) è la più indefessa fabbrica di antisemitismo che esista al mondo. Per la sua politica di sanguinosa apartheid contro i palestinesi, che va avanti fin da prima del 1948, quando le organizzazioni terroristiche ebraiche – Irgùn e Haganà – mettevano le bombe nei mercati.
Vedendo la carneficina di Gaza, solo una mente salda può non cadere nell’antisemitismo. Sì che c’è da meravigliarsi per i pochi atti – esecrabili – di antisemitismo, e non per i molti che malauguratamente potrebbero esserci. Senza dimenticare che Israele per primo pratica l’antisemitismo contro i palestinesi, che sono anch’essi semiti.
L’idea di distruggere Hamas tramite il barbaro genocidio di civili è pura e tragica illusione. Rinascerà in forme nuove e più virulente. Per la semplice ragione (piaccia o meno) che si è dimostrata l’organizzazione capace di tenere alta la bandiera palestinese, in presenza della fantasmatica e impotente Anp.
Sicché l’alternativa è netta: o la pace, con i due Stati, o la guerra permanente, con gravi rischi non solo per il Medioriente, ma anche per il mondo. Ecco perché Israele va salvato da se stesso. I proclami dei colleghi italiani “embedded” sono, similmente a quelli dell’Ue, uno sputo nel deserto: non se ne curano nemmeno gli scorpioni.
Fanno danni alla verità, certo, ma oggi l’opinione pubblica (da noi e nel mondo) si informa, e si forma, sui grandi media internazionali: per questo gli ebrei democratici invadono Washington (e vengono arrestati: il padrone non può consentire…), e tutte le capitali del mondo sono percorse da manifestazioni filopalestinesi, Biden corre il rischio di non essere rieletto, e Israele ha raggiunto il livello di isolamento più alto dalla sua fondazione.
Ma tutto questo non resusciterà gli ammazzati del 7 ottobre né quelli del pogrom di Gaza. Speriamo che, almeno, contribuisca a resuscitare la verità. Nutro fiducia che i mercenari delle menzogne non prevarranno.
Mario Capanna
13/11/2023 http://da l’Unità
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