La cittadinanza non è un premio, né un merito. È un diritto

Intervista a Utibe Aniedi Joseph della rete “Dalla parte giusta della storia”

Nelle ultime settimane è entrato dirompente nel dibattito pubblico il tema della cittadinanza italiana.
Il 6 settembre +Europa e altri gruppi promotori hanno depositato un testo di referendum che propone di dimezzare gli anni di residenza minima (da 10 a 5 anni) richiesti per effettuare la domanda di cittadinanza italiana

Il referendum ha raggiunto il quorum sei giorni prima della sua scadenza, il 24 settembre. Ora, l’Iter legislativo prevede il controllo della validità dei voti da parte della Corte di Cassazione e il vaglio della Corte Costituzionale.

Abbiamo intervistato Utibe Aniedi Joseph, attivista della rete “Dalla Parte Giusta Della Storia”, una campagna formata da attivisti, organizzazioni, associazioni, che chiede con forza l’approvazione di una nuova legge sulla cittadinanza, ora regolata dalla legge n°91/92 1

Utibe: Ciao, innanzitutto sono molto onorata di essere qui in questa intervista per una testata giornalistica che seguo molto. Ho 27 anni, sono una studentessa di giurisprudenza e attivista della rete “Dalla Parte Giusta Della Storia”.

Secondo voi, come rete, quali potrebbero essere gli ostacoli che incontrerà questo iter?

Gli ostacoli che questo iter potrebbe incontrare sarebbero di natura politica e ideologica, perché tuttora la cittadinanza viene considerata e concepita come un privilegio da preservare, piuttosto che un diritto da estendere. 

Le posizioni di chi si oppone all’estensione della cittadinanza sono, innanzitutto, fondate sull’elemento chiave della cittadinanza che andrebbe ad intaccare la sicurezza nazionale. Andando a ridurre gli anni si andrebbe ad effettuare un inserimento superficiale delle persone con background migratorio ed un inserimento anche meno controllato. Quindi la percezione politica e anche pubblica, perché parte della popolazione in questo caso, potrebbe non vedere la cittadinanza come un argomento prioritario perché ovviamente tuttora abbiamo la crisi economica e le crisi migratorie.

Le dinamiche nazionaliste italiane sono molto conservatrici, si ripercorrerebbero di nuovo tutte quelle che sono le dinamiche discriminatorie e razziste purtroppo, perché questa legge è razzista. Queste dinamiche ci porterebbero a fare altri passi indietro. Quindi, di base, è più un ostacolo di natura politica, soprattutto vista anche la situazione politica che l’Italia sta vivendo.

La normativa prevede che la cittadinanza possa essere richiesta soltanto sulla base dello Ius sanguinis o sulla base della residenza appunto, congiuntamente con il possesso di adeguate fonti economiche, di idoneità professionale, di ottemperanza agli obblighi tributari e l’assenza di cause ostative.
Per questo motivo, diminuire soltanto gli anni richiesti di residenza non è sufficiente. Quindi, come campagna, sostenete che invece la proposta dello ius scholae sia molto più ampia ed equa e possa aiutare maggiormente? 

Innanzitutto, è sicuramente un primo passo significativo ma non andrebbe a risolvere i problemi di accesso per l’acquisizione della cittadinanza, anche perché comunque questo referendum andrebbe solo a diminuire e dimezzare gli anni di residenza legale, quindi dai dieci anni ai cinque anni. Questo in realtà era già un requisito che c’era nel 1912, però successivamente è stata cambiata. Comunque sia, presenterebbe lo stesso delle barriere insormontabili per chi vive in Italia e ha difficoltà a soddisfare tutti quelli che sarebbero i requisiti.

Lo ius scholae sicuramente potrebbe essere una soluzione, ma è anche limitante, quindi bisognerebbe far sì che il referendum e lo ius scholae andassero di pari passo. Quindi è necessario, e noi come campagna in realtà lo chiediamo, un cambiamento più ampio e soprattutto più accessibile, perché il referendum va a diminuire gli anni di residenza legale come requisito e quindi comprenderebbe sia i minorenni sia gli adulti. Lo ius scholae, invece, andrebbe semplicemente ad intaccare solo ed esclusivamente i minorenni, quindi un’altra grande fetta della popolazione italiana verrebbe esclusa sotto questo aspetto. Quindi sicuramente è un passo da prendere in considerazione, ma non è abbastanza, purtroppo.

Sul vostro sito inoltre si parla di una proposta al basso, che è lo ius eligendi. Potresti spiegare in poche parole in che cosa consiste e in quale modo questo potrebbe essere l’alternativa migliore per una cittadinanza non solo de facto, ma anche de iure?

Lo ius eligendi, in realtà, è un’alternativa innovativa alle forme tradizionali di acquisizione della cittadinanza, in quanto le persone una volta raggiunta un’età e anche una maturità possono e hanno la possibilità di scegliere la propria appartenenza, riconoscendo di conseguenza il legame che hanno appunto con il territorio in cui vivono e soprattutto nella società di cui fanno parte.

Lo ius eligendi in poche parole 2 si basa su quattro criteri: diritto di cittadinanzaper chi nasce, essendo che comunque adesso abbiamo ancora una legge, del ‘92, obsoleta, anacronistica, razzista, discriminatoria e anche premiale. La cittadinanza viene comunque tuttora vista e percepita come un premio, quindi un merito: tu puoi essere italiano se dimostri di avere imparato la lingua, di conoscere la nostra cultura, perché appunto senza questi requisiti tu non puoi essere italiano.

Inoltre, la cittadinanza viene proprio vista come una questione di sangue, quando di base dovremmo chiederci che cosa sia esattamente l’italianità: è una questione di sangue o in realtà di appartenenza?. Attraverso lo ius eligendi, quella nostra proposta di legge, si andrebbe ad applicare anche lo ius solis; il diritto di cittadinanza per chi cresce e quindi per chi arriva ad un’età appunto minore; diritto di cittadinanza per chi vive stabilmente, quindi si andrebbe appunto a comprendere l’altra parte della popolazione, gli adulti che vivono stabilmente qui, che pagano le tasse, lavorano sul territorio italiano da tanti anni. 

Chiediamo anche delle procedure più rapide e anche i criteri un po’ più certi, perché anche per le procedure, all’interno della legge della cittadinanza delle procedure c’è un iter lunghissimo, quindi già a partire dalla richiesta passano anni, poi nel momento in cui non riesci appunto a soddisfare i requisiti, puoi anche vederti rifiutata la richiesta, per poi ricominciare l’iter e soprattutto questo richiede una sorta di disponibilità economica, è anche tanto denaro che una persona spende, tante energie, e tempo.

È proprio un argomento tabù in Italia, si crede che si sia risolta la questione quando, in verità, la legge di base dovrebbe andare a pari passo con quella che è la nostra società, quindi il fatto che siamo ancora fermi al 1992, che rispecchiava l’Italia di quei tempi dovrebbe far pensare. Siamo nel 2024, l’Italia è multiculturale, ci sono tuttora ed esistono da un bel po’ di tempo persone con background migratorio che non sono mai andati nel loro paese, si sono naturalizzate qua, hanno imparato tutto ciò che riguarda la cultura italiana, ed è parte di loro, si sentono appartenenti al contesto sociale italiano. 

La nostra proposta di legge andrebbe a modificare in toto la legge del ‘92, andando comunque anche a rompere quelle che sono le barriere che le dinamiche nazionaliste stanno continuando a perpetrare e portare avanti, sia politicamente che socialmente e culturalmente.

Come nasce la rete per la riforma della cittadinanza e soprattutto dove si posiziona “Dalla Parte Giusta della Storia”?

La campagna “Dalla Parte Giusta Della Storia” mira a rivendicare il diritto alla cittadinanza. Nasce dalla frustrazione di persone che si vedevano rifiutate la richiesta per la cittadinanza e, di conseguenza, una sorta di arresa di fronte ad uno stato, ad una società, ad un paese che non ti permette un minimo di riuscire a migliorare la tua condizione economica, perché la cittadinanza è necessaria in tutto e per tutto, a partire dai concorsi, quindi una persona studia, ha fatto percorso di studente universitario e si vede impossibilitato ad iscriversi ai concorsi pubblici, quindi immaginiamo i medici, gli avvocati… Insomma, è frustrante, quindi frustrazione e da lì decidiamo tutti insieme di cercare di mettere in atto un piano che potesse permetterci di andare a riformare la legge del ‘92.

Questa campagna è stata creata con l’obiettivo di evidenziare come, nel corso della storia, ogni processo abbia incontrato comunque resistenza ideologiche, compresa anche la cittadinanza. Nel momento in cui abbiamo deciso di chiamarci Dalla Parte Giusta Della Storia, invitiamo le persone a schierarsi dalla parte che promuove e riconosce l’autodeterminazione e l’ampliamento dei diritti. Nel momento in cui ti trovi in un contesto sociale che non ti riconosce, quindi sei invisibile, la campagna Dalla Parte Giusta della Storia cerca di rompere questi muri, perché noi stiamo dalla parte giusta della storia.

Ti andrebbe di dirci di più sulla tua storia, su come hai ottenuto la cittadinanza o come l’hanno ottenuta i tuoi genitori e anche quali ostacoli hai incontrato lungo il tuo percorso...

Io sono nata e cresciuta in Italia, come anche le mie altre due sorelle e non vedevo l’ora di compiere 18 anni, perché sapevo che essendo nata sul territorio italiano potevo acquisirla tramite naturalizzazione. Prima di 18 anni ho sentito il peso di dimostrare di essere italiana, di dimostrare di essere parte integrante del tessuto sociale italiano, e lo notavo soprattutto quando mi si chiedeva di dove fossi, che origini avessi, quindi quando le persone sapevano che fossi nata qui mi dicevano che veramente ero italiana, però non mi sentivo tale perché non avevo un documento che potesse attestare e dimostrare, o comprovare, che fossi italiana e nata sul territorio italiano essendo che avevo il permesso di soggiorno legato a quello dei miei genitori ed era un documento che mi vergognavo di mostrare alle persone. 

Ho subito tante discriminazioni perché, di base, anche solo per il fatto che comunque non sembrassi fisicamente “italiana”, le persone automaticamente mi vedevano come la straniera di turno e venivo trattata diversamente e quindi c’era sempre stato quel bisogno, anche da parte di mia mamma, di farmi sentire parte integrante anche della classe stessa e la cosa strana era anche il fatto che mi ricordo che mia mamma ogni volta, quando magari si andava in gita nelle città piccole, mi diceva sempre: “portati la carta di identità e il permesso di soggiorno perché sono importanti, devi portarteli con te perché sono il tuo documento d’identità”. 

È stata anche una vita in cui ho sempre avuto delle crisi d’identità perché comunque le seconde generazioni e non, vivono anche questa crisi d’identità in cui si sentono di appartenere in un posto come l’Italia, e però comunque l’Italia stessa non li vede come tali e allo stesso tempo non si sentono neanche parte del loro paese d’origine, quindi si vive in una sorta di limbo in cui non sai più chi sei, non sai più cosa sei e come riuscire a da che parte metterti.

Questa cosa l’hanno vissuta molto le mie sorelle, e anche perché io ho avuto la fortuna di avere le pratiche piuttosto veloci per conoscenze in comune, perchè hanno dovuto insistere molto e tuttora la mia sorella piccola sta lottando molto con il comune per capire come velocizzare tutto l’iter burocratico. Anche in questo caso, si dimostra come la cittadinanza venga sempre vista come un qualcosa di secondario, un qualcosa di più, perché ci sono cose molto più importanti rispetto ai diritti di una persona. Questo l’abbiamo anche vissuto con mia mamma che vive in Italia da 28 anni, ha fatto la richiesta e tutto l’iter burocratico per richiedere la cittadinanza tramite un’avvocata però le è stata rifiutata perché mancava il certificato linguistico che attestasse la conoscenza della lingua italiana. 

Mia mamma purtroppo non lo sapeva ma, la cosa più grave, è che non lo sapeva neanche l’avvocata che stava seguendo il nostro caso. Quindi, anche in questo caso, c’era disinformazione, disinteresse per quelli che sono dei diritti che dobbiamo avere, diritti che esigiamo di avere e quindi anche da lì, da quel punto di vista, essendo che comunque è stato tempo, denaro, energie e spese, mia mamma poi si è arresa, perché comunque è stata quasi una sconfitta dopo 28 anni che la attendeva poi vedersi rifiutata la richiesta.

La legge sulla cittadinanza deve essere riformata perché si mette proprio in secondo piano il fatto che qui si parla di giovani, ragazzi, ragazze, adulti che si sentono frustrati da una legge anacronistica, una legge ancora vecchia che non rispecchia più gli anni attuali.

Come ti dicevo, anche se mi hai già risposto, sono proprio questi i motivi per cui la battaglia è così importante ed è così viva, è così… perché sono persone che, cioè, sui loro corpi la vivono e la sentono ogni giorno, sulla loro quotidianità. D’altro canto però ti chiedo, come campagna vi aspettavate un sostegno così ampio nella raccolta delle firme? Che cosa significa per voi vedere che così tante persone vogliono mobilitarsi?

Il referendum è sicuramente uno strumento necessario perché, come dicevo prima, purtroppo la politica, o meglio i partiti, non sono riusciti a portare avanti questa lotta. Il risultato è stato sorprendente, perché fino al 15 di settembre eravamo a 23 mila firmatari e il 25 di settembre invece siamo riusciti a raggiungere il quorum. È uno strumento necessario soprattutto in un momento cruciale come questo, perché tramite questo referendum siamo riusciti a capire che è stato il popolo stesso ad esprimersi direttamente su una questione di rilevanza politica. 

Il referendum è uno strumento di partecipazione democratica e la volontà popolare ha voluto esprimere la propria opinione nella definizione dei diritti. È un inizio che può spianare la strada e permetterci di continuare dal basso, perché è solo da lì che parte la partecipazione politica. 

Andrei verso la conclusione di questa intervista e volevo appunto chiederti se ci potessi dire in che modo la società civile può mantenere alta l’attenzione su questo tema, essendo consapevoli che appunto, se la Corte Costituzionale definisce l’ammissibilità del referendum, si andrà a votare soltanto verso giugno 2025, quindi quali potrebbero essere le azioni della società civile per mantenere alta l’attenzione?

Nel momento in cui andremo tutti a votare a giugno, il nostro obiettivo sarebbe quello di portare le stesse persone che hanno votato il referendum alle urna, perché ora che abbiamo l’argomento della cittadinanza sotto riflettori, sarebbe utile continuare a spingere, parlare, e mantenere viva l’emozione e mantenere vivo l’argomento, perché per una buona volta stiamo riuscendo a parlare di cittadinanza con una strategia diversa. Abbiamo portato quei 500 mila firmatari che noi speriamo e ci auguriamo che aumentino sempre di più, e il nostro obiettivo sarebbe quello di portare le stesse identiche persone, anche di più, alle urna.

Continueremo lo stesso a promuovere noi in quanto campagna una riforma della legge sulla cittadinanza, a partire da questo referendum, ma con l’obiettivo di andare più avanti e andare a modificare appunto in toto la legge. Quindi continueremo con campagne di sensibilizzazione, mobilitazione pubbliche, dialogo con le istituzioni perché comunque sia questo referendum ci ha permesso di dialogare con le istituzioni.  

Manteniamo l’attenzione sul tema, soprattutto ora che abbiamo questo sostegno popolare e ci concentreremo anche sulla formazione e sull’educazione per creare comunque coscienza collettiva perché comunque ciò che ha permesso anche alle persone di mobilitarsi è stata anche la sensibilizzazione, quindi a partire da parlare di privilegio. Dire che le persone senza cittadinanza, anche qua un limite, non potevano appunto firmare questo referendum, quindi spingere e parlare appunto di privilegio. Noi vogliamo continuare ad andare avanti per creare collettività su quella che è appunto la cittadinanza in Italia e ci auguriamo di arrivare alle urne e di essere così tanti, ma più di quanti siamo adesso, nel giro di pochissimo tempo.

  1. Legge 5 febbraio 1992, n. 91 ↩︎
  2. Leggi il documento ↩︎

Paula Caro Rojas

27/9/2024 https://www.meltingpot.org/

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