La coscienza di classe
Quando si parla di Coscienza di Classe, dovremmo alzarci tutti in piedi. Vi giuro che, nel mio piccolo, scriverò in piedi, in modo che sia chiara la mia devozione.
La Coscienza di Classe non è un’opinione, non è filosofia; potrebbe essere poesia, sogno, ambizione, ma non sarà mai uno slogan. E’ uno stato di fatto, non è una convenzione. La Coscienza di Classe è il valore supremo del marxismo, l’identità della propria esistenza, come il nome e cognome di un individuo e il suo dna.
“Non esiste coscienza, se non quella di classe”, è il riconoscersi nella classe di appartenenza, vivere per essa, consumare la pelle in nome di essa, morire coscienti della propria identità.
Ormai nessuno sente più il bisogno di parlarne, è diventato un tabù, al pari del peccato originale di eva e adamo. Lenin diede un suo parere “Saper trovare,sentire, delineare giustamente la via concreta o la particolare svolta degli avvenimenti che avvicini le masse all‘ultima grande lotta rivoluzionaria, effettiva e risolutiva: ecco il compito principale del comunismo”.
Quando si parla di ideali, di basi così concrete, così radicate, il compromesso diventa, per forza di cose, revisionismo. In pratica, seppur con qualche mugugno, anche il revisionismo ha smesso di controbattere all’analisi, perché delineare la Coscienza di Classe è il principale compito del comunismo, il passaggio obbligato per la Lotta di Classe.
Marx , addirittura, definì il rischio maggiore del capitalismo, la negazione della Coscienza di Classe, che significa incoscienza, in pratica il male primario di una società basata sul consumismo.
Oggi si parla di ricostruzione della sinistra, di nuove lotte, di movimenti per i diritti, di rinnovata indignazione sociale, rinnovato rancore. Eppure il dissenso che sposa l’ecologia, le associazioni per i diritti dei gay e via dicendo, sono antagoniste della Coscienza di Classe, della Lotta di Classe; così come la storia insegna.
Ogni divisione per sesso, età anagrafica, razza o etnia, finanche la più dura lotta sotto un nome diverso dalla Lotta di Classe, delimita la Coscienza di Classe nel pantano del qualunquismo, come palinsesto dell’utopia.
I borghesi non amano parlare di Coscienza di Classe, si limitano a definire i ruoli assunti nella vita, come se la povertà fosse una colpa e la ricchezza un premio, una specie di inferno e paradiso nella simbiosi tra privilegiati, polizia e religione.
Capisco gli sforzi profusi per annientare il rigurgito del proletariato, ma non può durare in eterno. Difatti, tanto più l’economia affonda la povertà, tanto più servono nuove forme di manipolazione per sgretolare l’unione dal basso, fino a che l’inganno sarà così palese, così ostile da prendere la forma di una rivoluzione.
La rivendicazione, l’esaltazione, l’elogio alla Coscienza di Classe deve tornare a essere l’unica prerogativa per chi scrive, come lo era per Sartre “nutro per la borghesia un odio che finirà solo con me”, come lo era per Majakovskij “”A tutti, a tutti, a tutti, / a tutti i fronti che rosseggiano di sangue, / a tutti gli schiavi che stanno sotto il pungo dei ricchi. / Il potere, tutto il potere ai Soviet. / La terra ai contadini. / Pace ai popoli. Pane a coloro che hanno fame”; così come lo era Brecht “Fra i vinti la povera gente/ faceva la fame. Fra i vincitori / faceva la fame la povera gente egualmente.
Bisogna lottare affinché ogni uomo preso a caso nella folla, sia consapevole del danno: senza Coscienza di Classe, sarà sempre più difficile parlare di affetto, di anima, di amore, di aspirazioni. Uniamoci, noi schiavi/uniamoci in un sol grido/uniamoci per vocazione./ Io e te siamo figli dello stesso seme./Tua madre potrebbe essere la mia/mio padre potrebbe essere il tuo./ Io e te siamo l’intera nazione./ Io e te siamo la terra/, dalla quale estraiamoci la vita/per noi e nostri cari/non la morte, come vorrebbe il capitale.
Antonio Recanatini
Articolo nel numero di luglio del periodico Lavoro e Salute
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