La crisi demografica italiana tra miti ed ineluttabilità

Le previsioni sul futuro demografico del Paese vedono l’Italia sempre più alle prese con la crisi demografica: nel 2070 la popolazione italiana scenderà sotto quota 50 milioni, quella che in finanza viene definita una soglia psicologica.

La crisi demografica italiana

Si parla tanto di crisi demografica italiana e si sottovalutano una serie di punti:

Per cominciare il problema demografico italiano è un problema generazionale, la questione non è che siamo pochi (anzi, assieme ad altri Stati europei abbiamo da secoli un problema di densità per chilometro non ottimale), ma che siamo distribuiti male per età.

Influiscono più fattori: nei paesi avanzati l’emancipazione femminile, il ricomparire della disoccupazione e di nuove esigenze economiche per i figli, favoriscono il blocco della fascia media, la più diffusa “sociologicamente” (i ceti medi vedendosi a rischio fanno meno figli, fenomeno meno presente tra i ceti alti e bassi).

L’Italia è sotto i due figli in media dal 1977, questo genera un vortice di invecchiamento, che per motivi ovvi riduce la fertilità della popolazione generale (maschile e femminile).

Non credo che la storia degli italiani bamboccioni influisca (anche perché tolti gli immigrati, il trend è comune a tutti i ceti medi europei); gli italiani sono anche cattolici, ma non si riproducono come conigli. Lasciamo fuori i luoghi comuni.

Non è un paese per giovani: c’è un clima generale di infantilizzazione dei giovani, i quali anche data la scarsità di lavoro e di prole, ben poche alternative hanno (per intenderci, in nessun paese europeo qualcuno direbbe che un quarantenne è giovanissimo, forse neanche più giovane; in un paese di sessantenni la prospettiva è diversa).

Andrebbe aggiunto il più generico edonismo propagandato (ma qui andiamo nell’aleatorio) che difficilmente si coniuga con l’idea di avere un figlio.

Altro punto interessante: non ho alcuna idea faziosa sul tema migratorio, non credo ai paternalismi (facciamoli venire a fare i lavori che non facciamo) perché mi sembra schiavitù), non credo agli ingressi controllati o a società ideali dove si mescolano cento etnie in un paese vecchio e densamente popolato e tutto fila liscio (non funziona così).

Il fenomeno migratorio, in rallentamento da decenni a livello globale, è una conseguenza della globalizzazione. Noi occidentali dobbiamo accettare che il sistema economico-politico messo in piedi e che ha favorito il nostro benessere diffuso (mal distribuito, in crisi, ma comunque con un’aspettativa di vita inimmaginabile fino a 150 anni fa o al nostro pari grado del Sud del mondo), ha ovviamente degli aspetti “scomodi”.

La cosa che un po’ mi stupisce e che in un paese come l’Italia nessuno abbia notato l’ovvio.
A partire dagli anni ’90, avremmo potuto ripopolare il nostro paese facendo arrivare giovani trentenni o famiglie dal Sud America (spesso di origini italiane), riducendo l’impatto etnico, stabilendo un ponte con un continente emergente e sanando (almeno in parte) la crisi demografica (con una gestione dall’alto).

Farlo ora? Impossibile, quale trentenne sano di mente (con un minimo di prospettiva) abbandonerebbe San Paolo per la Basilicata?

E quindi anche stavolta subiremo la storia, come facciamo almeno dal Trattato di Campoformio (e voglio essere generoso).

Gabriele Germani

28/2/2025 https://www.kulturjam.it/

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