La denuncia di Ttip/Stop Ceta

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“Un trattato per domarli e nel buio incatenarli”. La denuncia viene dal rapporto One treaty to rule them all (Un trattato per governarli tutti) curato da curato da Corporate Europe Observatory e Transnational Institute, diffuso nell’ambito della campagna Stop TTIP, che rivela le gravi disfunzioni del Trattato sulla Carta dell’Energia (Energy Charter Treaty – ECT). Si tratta di un accordo abbastanza sconosciuto, sottoscritto nel 1994 da 52 paesi e in vigore dal 1998, nato per favorire gli investimenti energetici e la transizione alle rinnovabili ma di fatto usato dalle imprese e dalle multinazionali dell’energia per fare causa agli Stati che minacciano i loro profitti, anche quelli attesi.

Il trattato prevede infatti, spiegano da Stop TTIP, “un sistema di risoluzione delle controversie tra investitore e stato (ISDS) che consente ai privati di chiedere compensazioni virtualmente illimitate contro politiche pubbliche sgradite, utilizzando corti sovranazionali presiedute da un’élite di arbitri commerciali, che intavolano udienze a porte chiuse i cui atti non sono trasparenti”. Il Trattato ha infatti la sua pietra angolare nei meccanismi ISDS: in pratica gli investitori stranieri possono citare direttamente gli Stati davanti ad arbitrati internazionali, privati, e ottenere compensazioni pecuniarie vertiginose per azioni di governo che le abbiano danneggiate o direttamente, ad esempio attraverso un esproprio, o indirettamente attraverso attività regolatorie virtualmente di qualsiasi tipo. Si legge nel rapporto: “Il gigante dell’energia Vattenfall, ad esempio, ha citato in giudizio la Germania per le restrizioni ambientali a una centrale elettrica a carbone e per l’eliminazione graduale dell’energia nucleare. La società petrolifera e del gas Rockhopper ha citato in giudizio l’Italia per il divieto di trivellazione petrolifera offshore. Diverse aziende di servizi pubblici stanno perseguendo lo stato membro più povero dell’UE, la Bulgaria, dopo che il governo ha ridotto i costi dell’elettricità per i consumatori”.

“In questi vent’anni l’ECT è divenuto lo strumento più potente nelle mani di grandi compagnie petrolifere, del gas e del carbone per scoraggiare la transizione energetica – spiega Monica Di Sisto, portavoce della Campagna Stop TTIP/Stop CETA – Gli investitori hanno utilizzato il Trattato e altri accordi sugli investimenti per contestare i divieti di trivellazione petrolifera, le autorizzazioni negate ai gasdotti, le tasse sui combustibili fossili, le moratorie e le decisioni di abbandonare fonti energetiche controverse”.

I ricorsi sono aumentati soprattutto negli ultimi anni. Secondo il rapporto, a giugno 2018 c’è un totale di 114 ricorsi depositati da investitori privati, ma il loro numero potrebbe essere più alto perché la pubblicazione dei dati non è obbligatoria. Nei primi 10 anni dell’accordo sono stati registrati solo 19 casi (1998-2008), mentre negli ultimi cinque anni (2013-2017) le cause intentate dagli investitori sono state 75. Anche i bersagli stanno cambiando: nei primi 15 anni dell’accordo, nove volte su dieci gli imputati erano stati dell’Europa centro-orientale e dell’Asia centrale. Oggi la Spagna e l’Italia sono in testa alla lista dei Paesi più colpiti.

Le cifre chieste in compensazione sono variabili, ma preoccupano i 16 casi in cui le imprese hanno chiesto oltre 1 miliardo di dollari di danni. I costi medi di una causa si aggirano sugli 11 milioni di dollari. “Finora i governi sono stati multati per 51,2 miliardi di dollari, denaro sottratto alle casse pubbliche e che, per fare un paragone, basterebbe a garantire per un anno l’accesso all’energia a tutte le persone che ne sono escluse”, spiegano dalla campagna Stop TTIP. Fra i 153 investitori che in questi anni hanno fatto causa agli Stati utilizzando il Trattato sulla Carta dell’Energi, vi sono diverse società registrate nei Paesi Bassi, in Germania, nel Lussemburgo, nel Regno Unito o a Cipro. In casi frequenti si registra “un abuso dello strumento arbitrale da parte di imprese fantasma” e sta aumentato il ruolo degli speculatori finanziari.

L’arbitrato, denuncia ancora il rapporto, è nelle mani di pochi avvocati specializzati: basti pensare che appena 25 di loro hanno gestito finora il 44% dei casi e due terzi ha svolto attività di consulenza legale in controversie avviate in seno ad altri trattati di investimento. Ci sono preoccupazioni sui conflitti di interesse e sulla scarsa trasparenza di tutto il meccanismo, tanto più che gli Stati compaiono solo come imputati e la possibilità di perdere è alta. Secondo il rapporto, infatti, nel 61% dei casi passati in giudicato gli investitori privati hanno ottenuto sentenze favorevoli.

C’è poi un altro fatto: le corporation chiedono risarcimenti anche per la perdita di “profitti futuri” e attesi, non goduti ma solo stimati. E il tutto si rivela un freno allo sviluppo delle energie rinnovabili. Emblematico è proprio il caso che coinvolge l’Italia. La compagna petrolifera Rockhopper, con sede nel Regno Unito, ha fatto causa all’Italia per il rifiuto di concedere la concessione petrolifera in Adriatico nel controverso progetto Ombrina Mare, dopo che il Parlamento italiano nel 2016 ha vietato le nuove estrazioni di petrolio e gas entro le 12 miglia marine. Ombrina Mare è stato un progetto fortemente osteggiato dalla popolazione locale e dalle amministrazioni locali. Ebbene, Rockhopper vuole dall’Italia non solo i 40-50 milioni di dollari spesi per esplorare il giacimento petrolifero in Adriatico, poi bloccato, ma anche altri 200-300 milioni per mancati guadagni ipotetici. C’è di più. Denuncia il rapporto: “ E tutto questo nonostante dal 2016 l’Italia sia uscita dalla Carta dell’Energia. Infatti, la protezione degli investimenti esteri con il meccanismo arbitrale è garantita per vent’anni dal momento dell’abbandono da parte di un Paese membro”.

Il Trattato sulla Carta dell’Energia può dunque essere usato, prosegue il rapporto, per “eludere l’opposizione pubblica a progetti di energia ‘sporca’”. Contro Ombrina Mare nel 2013 sono scesi in piazza a Pescara 40 mila persone. Ora il prezzo da pagare potrebbe essere milionario. A questo si aggiunge che l’ECT può essere usato per citare in giudizio i paesi dopo che hanno abbandonato l’accordo: da quando il ritiro dell’Italia ha avuto effetto, nel 2016, il paese può ancora essere citato in giudizio per altri due decenni, vale a dire fino al 1 ° gennaio 2036. Il Trattato, denuncia ancora il report, è diventato uno strumento potente nelle mani dei big del petrolio, del gas e del carbone per “scoraggiare i governi alla transizione verso l’energia pulita”, perché gli accordi di investimento vengono usati dalle multinazionali per sfidare i divieti di trivellazione, il rifiuto dei gasdotti, le tasse sui combustibili fossili ,le moratorie a energie controverse. La Carta può essere usata anche per attaccare i governi che vogliono ridurre la povertà energetica e rendere l’elettricità accessibile.

Spiegano dalla Campagna Stop TTIP: “Nel marzo 2018 la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che i procedimenti ISDS tra paesi dell’Unione intentati ai sensi di trattati bilaterali violano il diritto europeo perché limitano il ruolo delle corti comunitarie. Ma intanto molte nazioni di tutto il mondo stanno aderendo alla Carta dell’Energia (Giordania, Yemen, Burundi e Mauritania quelli in cui il processo è più avanzato; Pakistan, Serbia, Marocco, Swaziland, Ciad, Bangladesh, Cambogia, Colombia, Niger, Gambia, Uganda, Nigeria e Guatemala quelli che hanno iniziato le pratiche di ingresso)”.

“Se questi meccanismi iniqui non saranno banditi dagli accordi sugli investimenti, l’impatto sulla capacità dei governi di legiferare liberamente sarà minato alle fondamenta – conclude Monica Di Sisto– Oltre 150 mila persone si sono espresse contro l’ISDS nei trattati bilaterali nell’ultima consultazione pubblica lanciata dalla Commissione Europea. È ora di ascoltare la loro voce”.

14/6/2018 www.helpconsumatori.it

 

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