La difficile situazione italiana delle persone adulte con ADHD
Gentilissima Ministro Giulia Grillo, in occasione del presente Mese della Consapevolezza sull’ADHD(disturbo da deficit di attenzione e iperattività), indetto da ADHD Europe, organizzazione cui aderiscono Associazioni di familiari e di pazienti con ADHD di venti Paesi dell’Unione Europea, che in questo 2018 ha scelto come tema prioritario la diffusione sulla consapevolezza dell’ADHD in età adulta e in particolare nei luoghi di lavoro, l’AIFA (Associazione Italiana Famiglie ADHD), insieme allaSIP (Società Italiana di Psichiatria) e alla SIPAD (Società Italiana Patologie da Dipendenza), sottopene alla sua attenzione le principali criticità che riguardano la presa in carico delle persone adulte con ADHD nel Servizio Sanitario Nazionale e le rivolgono un appello.
Innanzitutto, per le persone adulte è difficile, se non impossibile, avere la diagnosi di ADHD. L’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), con Determina n. 1291/14 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 26 novembre 2014, ha istituito il Registro Nazionale per l’ADHD nell’adulto presso l’Istituto Superiore di Sanità. E tuttavia, nonostante quest’ultimo abbia sollecitato più volte le Regioni ad individuare i Centri di Riferimento per l’ADHD nell’adulto, dopo quattro anni poche Regioni lo hanno fatto e non esiste un elenco ufficiale dei Centri istituiti.
In secondo luogo, agli adulti con ADHD che ricevono la diagnosi dopo avere compiuto i 18 anni, viene consentito l’accesso alla terapia farmacologica soltanto con atomoxetina(sempre con riferimento alla Determina dell’AIFA già citata), mentre non viene previsto ilmetilfenidato, come è possibile verificare dalla Determina dell’AIFA n. 488/15, pubblicata in Gazzetta Ufficiale l’11 maggio 2015, principio attivo di prima scelta nella terapia farmacologica per gli adulti, secondo la letteratura scientifica fissata dalle Linee Guida NICE 2018 (National Institute for Clinical Excellence).
Infine, a causa della mancanza di informazione anche nella comunità scientifico/medica italiana, sono rare le figure di specialisti e operatori professionali con formazione specifica E inesistenti le figure di Coach per l’ADHD, ma fondamentali nella parte di terapie non farmacologiche per gli adulti.
Secondo quanto rilevato dall’AIFA, dunque, nel quotidiano ascolto e supporto ai familiari e pazienti con ADHD, fino ad oggi, salvo rarissime e qualificate eccezioni, quando i pazienti adulti con ADHD hanno cercato di ottenere le terapie appropriate – sia farmacologiche che psicoeducative -nell’àmbito dei Servizi Territoriali della Sanità Pubblica e attraverso i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), non hanno ottenuto risposta oppure sono stati dirottati verso trattamenti adatti per altri disturbi.
L’AIFA, la SIP e la SIPAD ritengono che molte di queste difficoltà siano favorite dalla mancanza di Linee Guida Nazionali specifiche per l’ADHD. La gravità della situazione italiana, inoltre, è evidenziata nitidamente anche in un comunicato stampa della SIP prodottonel 2015.
In quanto Associazione di familiari e di pazienti, l’AIFA, affiancata da SIP e SIPAD, auspica che lei, Signor Ministro, possa avviare al più presto i passi necessari a sciogliere i nodi e acolmare i vuoti normativi che impediscono alle persone adulte con ADHD di avere accesso nell’àmbito del Servizio Sanitario Nazionale alle terapie appropriate attraverso i LEA. A tal riguardo, queste organizzazioni le chiedono un incontro di approfondimento.
A questo link è disponibile il testo originale della lettera inviata da AIFA, SIP e SIPAD al ministro Grillo. Per ogni altro approfondimento accedere al sito dell’AIFA.
ADHD
Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD: Attention Deficit Hyperactivity Disorder), viene definito da Pietro Panei e Andrea Geraci del Dipartimento del Farmaco dell’Istituto Superiore di Sanità come «un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da inattenzione e impulsività/iperattività» («Notiziario dell’ISS-Istituto Superiore di Sanità», vol. 22, n. 1, gennaio 2009). Tra le altre cose, esso impedisce, a chi ne soffre, di concentrarsi e focalizzarsi su un’attività, con possibili pesanti ricadute sul rendimento scolastico e sul funzionamento sociale. Non dipende da un deficit cognitivo (ritardo mentale) ed è uno dei più comuni disturbi dell’infanzia.
A Vienna, il ventitreesimo Congresso dell’EPA, l’Associazione Europea di Psichiatria, celebratosi dal 29 al 31 marzo 2015, riunendo esperti da 88 diversi Paesi, membri di 37 Enti Nazionali, in rappresentanza di oltre 78.500 psichiatri europei e mondiali, è emerso che l’ADHD ha un impatto sul 5% dei giovani, vale a dire il tasso più alto in assoluto tra i disturbi in età infantile e adolescenziale (fonte: «ADN Kronos», 29 marzo 2015).
In Italia uno dei più recenti studi – durato quattro anni – ha rilevato una prevalenza dell’1,2% di questa patologia nella popolazione di età compresa tra i 6 e i 18 anni («Medico e Bambino», 2012). E si continua a scontare l’arretratezza culturale degli anni precedenti al 2007, quando molto spesso il disturbo era sottodiagnosticato, se non addirittura ignorato.
L’ADHD, infine, si protrae anche all’età adulta, con le seguenti caratteristiche: verso i 20 anni, il 60% dei soggetti hanno remissione sindromica, ma compromissione nel funzionamento adattivo; il 30% hanno evoluzione e/o associazione con altri quadri psicopatologici (ad esempio disturbo antisociale, disturbo dell’umore…); il 10% hanno remissione funzionale e sintomatologica (Biederman J., Mick E., Faraone S.V., Age-dependent decline of symptoms of attention deficit hyperactivity disorder: impact of remission definition and symptom type, in «American Journal of Psychiatry», maggio 2000, 157(5), pp. 816-818). Pertanto, una percentuale significativa dei giovani con ADHD e delle loro famiglie necessitano anche in età adulta di terapie e supporto continui da parte dei clinici e degli operatori sanitari. Ai bisogni, inoltre, di tali pazienti precedentemente diagnosticati prima dei 18 anni, si aggiungono in Italia anche quelli delle persone neo-diagnosticate per la prima volta in età adulta, a causa di una mancata diagnosi in età evolutiva.
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