La dittatura delle armi e il silenzio omertoso della politica
La puntata di Presa Diretta, il programma di approfondimento condotto da Riccardo Iacona, di lunedì 22 marzo scorso ha rivolto l’attenzione al tema della “La dittatura delle armi” (qui l’intera puntata). Per la prima volta, a mia memoria, una trasmissione della RAI ha affrontato in modo preciso, organico e documentato due temi sui quali l’informazione, soprattutto sulle reti televisive nazionali, è spesso frammentaria e molto carente: la spesa militare e le esportazioni di armamenti. Due temi di assoluta rilevanza non solo perché riguardano la sicurezza e la difesa del nostro Paese, ma anche la collocazione dell’Italia nel contesto europeo e atlantico e per le molteplici implicazioni di tipo industriale, economico, occupazionale.
Le reazioni dei politici indignati
Viste le questioni sollevate (sprechi annosi della spesa militare, forniture di armamenti a Paesi in conflitto come l’Arabia Saudita e i cui governi sono responsabili di gravi violazioni dei diritti umani come la Turchia e l’Egitto) ci si sarebbe aspettati non dico un dibattito in parlamento, ma un confronto, uno scambio di opinioni, qualche presa di posizione. Invece assoluto silenzio.
Alcune reazioni, a dire il vero, ci sono state: per lo più scomposte e sguaiate, finanche ridicole. La prima è stata l’intervista rilasciata al quotidiano “Libero” dal neo nominato sottosegretario alla Difesa, Giorgio Mulè (Forza Italia). L’ex direttore di “Panorama” si è detto indignato perché, la puntata di Presa diretta – riporto testualmente –“si basa su un pregiudizio antimilitarista accattone”. Quindi, secondo Mulè, il militarismo sarebbe da ritenersi un valore: vien da chiedersi dove sia mai sancito questo presunto valore nella nostra Costituzione che non solo ripudia la guerra (art. 11) ma all’articolo 52 stabilisce che “L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”.
Un’altra reazione scomposta è stata quella del senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri che ha inoltrato un’interrogazione in Commissione di Vigilanza RAI. Anche per lui la trasmissione sarebbe stata connotata da “spirito antimilitarista” e il reportage sulle spese militari sarebbe stato “intriso di inesattezze e di faziosità”. Alle rimostranze di Mulè e Gasparri ha risposto pacatamente e in modo documentato la redazione di Presa Diretta: vi invito a leggere la risposta sulla pagina Facebook riportata anche da “L’Opinionista”.
Le aziende militari fondamentali per l’economia?
Secondo Gasparri, inoltre la trasmissione di Presa Diretta avrebbe “minato l’onore della nostra Difesa”. E non solo. Anche “quella di aziende italiane leader di settore che si occupano di molte altre attività e che sono fondamentali per l’economia nazionale con un livello importante di occupazione”. Si tratta di un ritornello ricorrente che numerosi studiosi di economa, tra cui Raul Caruso, hanno criticato da tempo e in varie pubblicazioni. L’ha affrontata anche Francesco Vignarca, fondatore dell’Osservatorio sulle spese militari Milex, che, dati alla mano, ha smontato pezzo per pezzo la presunta rilevanza economica e per l’occupazione dell’industria militare italiana.
In un recente articolo per “il Manifesto”, Vignarca evidenzia infatti che anche “approssimando per eccesso, si può considerare la produzione militare italiana ammonta a 17 miliardi di euro. Se la confrontiamo con il Pil del 2020 (già fortemente impattato dalla pandemia) si arriva di poco a superare la misera quota dell’1%, che in realtà è più verosimilmente uno 0,9% in condizioni normali”. Non solo: anche per quanto riguarda l’export, da sempre magnificato come elemento di valore da parte dell’industria militare, anche valutando per eccesso a 3,5 miliardi tutte le vendite annuali di armamenti italiani “stiamo parlando di cifre residuali rispetto al totale di circa 480 miliardi di euro di esportazioni dell’Italia: poco più dello 0,7%”.
Infine riguardo all’occupazione, Vignarca evidenzia che le varie stime (sempre di fonte industriale) convergono più o meno su 50.000 occupati diretti e 200-230.000 se consideriamo un non meglio precisato «indotto» (sicuramente peraltro non solo militare). Stiamo parlando dello 0,21% (o 1% nel caso dell’indotto) di tutta la forza lavoro italiana a fine 2020. Non certo la parte preponderante degli occupati in Italia, che ad esempio per la sola piccola e media impresa ammontano a qualche milione”.
I silenzi della politica
Ma quello che stupisce non sono tanto le rimostranze, scomposte e pretestuose, di alcuni politici. Sorprende il silenzio di gran parte del mondo politico. Silenzio assoluto, tombale, omertoso. Non sollevare attenzione e lasciar cadere nel vuoto è infatti il modo più scaltro da parte del mondo politico, per evitare di affrontare le numerose questioni che la puntata ha posto all’attenzione. (Per una sintesi dei punti principali si veda questo articolo di Eugenio Abruzzese)
Una spiegazione di questo silenzio del mondo politico, di solito così ciarliero, la si può trovare nella vicenda di diversi parlamentari che negli anni hanno osato prendere di petto la questione delle spese militari o ficcare il naso riguardo ai destinatari degli armamenti italiani. Lo ha evidenziato, ancora una volta, Francesco Vignarca in una intervista a “Globalist”. “Chi si oppone non viene riletto” – spiega Vignarca ricordando il caso di Gian Piero Scanu (PD), riportato anche dalla puntata di Presa Diretta, ma anche quelli Giorgio Zanin (PD), Giulio Marcon (Sel), ma si potrebbero anche aggiungere Roberto Cotti (M5s) e numerosi altri prima di loro.
In un articolo per “il Manifesto” dal titolo “Il Pd subalterno al complesso militare industriale” l’ex deputato Gian Piero Scanu scrive: “Mi preoccupa seriamente la pervicace irresponsabilità del mio partito che, in piena pandemia e crisi socio-sanitaria, continua a credere che il nostro Paese debba essere uno dei protagonisti globali della corsa agli armamenti e che debba mantenersi saldamente al guinzaglio di un atlantismo non più rispondente alle esigenze di un continente europeo in grave deficit di una visione globale, oltre che carente della necessaria tensione ideale”.
Una minaccia per la democrazia
La mancanza di voci fuori dal coro e di riflessione critica su questi temi non è solo un problema che riguarda il PD. Riguarda le associazioni della società civile italiana impegnate nel controllo della spesa militare e del commercio di armamenti: non solo perché ad ogni legislatura devono ricominciare a tessere la tela dei rapporti con nuovi parlamentari, ma soprattutto perché le loro istanze, che sono profondamente radicate e vive nella società italiana, non trovano adeguata rappresentanza in parlamento. I regimi dittatoriali impongono il segreto di Stato sulle questioni delle spese militari e della compravendita di armi. Nelle moderne democrazie, anche capitalistiche, questi temi sono spesso all’attenzione del dibattito pubblico. Solo in Italia vige il “silenzio di Stato”. Un silenzio omertoso che corrode la nostra democrazia. Che Presa Diretta ha cercato di rompere.
Giorgio Beretta
30/3/2021 https://www.unimondo.org
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