La drammatica fine della Repubblica Araba di Siria

La caduta di Baššār al-Assad e del governo ba’thista segna la fine di un’era per la Siria e apre scenari di instabilità. Tra influenze straniere, frammentazione interna e conflitti religiosi, il futuro del Paese appare sempre più oscuro.

I drammatici eventi dello scorso 8 dicembre hanno portato alla fine della Repubblica Araba di Siria, fondata a seguito della rivoluzione dell’8 marzo 1963, guidata dal Partito Ba’th Socialista Arabo. Come noto, il legittimo presidente Baššār Ḥāfiẓ al-Assad è stato costretto a fuggire dal Paese che governava da 24 anni insieme alla sua famiglia, ottenendo asilo politico in Russia. Formalmente, la carica presidenziale è stata ereditata dal primo ministro Mohammad Ghazi al-Jalali, nominato dallo stesso Assad a settembre, ma il potere effettivo risiede de facto nelle mani di Abū Muḥammad al-Jawlānī, leader di Hayʼat Taḥrīr al-Shām (HTS), ovvero Organizzazione per la Liberazione del Levante.

(AGGIORNAMENTO Il 9 dicembre, al-Jawlānī ha nominato Mohammad al-Bashir, già premier del “Governo della Salvezza” siriano dal 13 gennaio, come primo ministro del Governo di transizione siriano).

La caduta di Assad, festeggiata dai suoi nemici occidentali, rappresenta in realtà un evento drammatico per la Siria e per tutto il Medio Oriente, aumentando l’instabilità regionale e aprendo la strada a nuovi conflitti. Ancora una volta, le potenze imperialiste occidentali si sono alleate con gruppi fondamentalisti islamici, da essi stessi definiti per anni come “terroristi”, prima di ribattezzarli “ribelli”, per abbattere uno Stato laico arabo, esattamente come accaduto in passato con l’Iraq di Ṣaddām Ḥusayn.

Per inciso, ribadiamo che non siamo stati noi a dare la patente di “terrorista” all’organizzazione salfita HTS. Attualmente, infatti, HTS viene designata come tale dalle Nazioni Unite, oltre che da un vasto numero di governi mondiali, compresi quelli di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Giappone, Argentina, Indonesia e Russia, oltre che dall’Unione Europea nel suo complesso. Del resto, la storia di HTS parla chiaro: il gruppo nasce nel 2007 dall’unione di varie fazioni, la principale delle quali proveniva dal Fronte al-Nuṣra, gruppo armato jihadista salafita, formalmente affiliato ad al-Qāʿida fino al 28 luglio 2016. Secondo molti analisti, i rapporti con al-Qāʿida non si sarebbero mai interrotti. Inoltre, HTS ha un forte legame con il Partito Islamico del Turkestan (ex Movimento Islamico del Turkestan orientale), organizzazione designata come terroristica dalla Cina, in quanto promuove la separazione della regione del Xinjiang dalla Repubblica Popolare Cinese.

Improvvisamente, tuttavia, HTS ed il suo leader al-Jawlānī si sono trasformati in liberatori della Siria dal dittatore Assad, uno scenario che ricorda da vicino quelli vissuti in Iraq con la caduta di Ṣaddām Ḥusayn o in Libia con il brutale omicidio di Muʿammar al-Qadhdhāfī (Gheddafi), due Paesi che poi hanno pagato sulla propria pelle la “liberazione” promossa dal connubio tra imperialisti occidentali e gruppi jihadisti. A preoccupare, infatti, è soprattutto il futuro della Siria, che da Paese laico di ispirazione socialista (pur con tutte le colpe che possono essere attribuite al governo ba’thista) rischia di diventare uno Stato confessionale in cui i gruppi fondamentalisti potranno proliferare.

Ufficialmente, i Paesi occidentali vorrebbero spingere la fondazione di una “nuova Siria’, verosimilmente con la denominazione di Repubblica Democratica Siriana, descritta come un governo che dia spazio a tutte le varie fazioni della vecchia opposizione al governo ba’thista, sul modello di quanto avvenuto in Iraq, dove tuttavia la “democrazia” in stile occidentale non ha affatto risolto i problemi, portando ad una instabilità politica permanente e all’acuirsi di quelle rivalità che sotto il governo ba’thista venivano sedate con efficacia.

Molti analisti, tuttavia, ritengono più probabile la nascita di una Repubblica Islamica di Siria, con i rappresentanti di HTS, il gruppo armato attualmente più forte del Paese, come spina dorsale del nuovo potere. In questo caso, la Siria sarebbe governata da rappresentanti del salafismo, un movimento dell’Islam sunnita che sulla carta si oppone sia agli Stati Uniti che a Israele, ma che non sembra essersi fatto problemi ad allearsi sia con gli imperialisti occidentali che con i nazisionisti israeliani per raggiungere il potere.

Proprio lo strano coinvolgimento di Israele nelle vicende siriane apre le porte ad un terzo scenario, quello che riteniamo maggiormente plausibile in questo momento, ovvero la fondazione di uno Stato anti-sciita con stretti legami con Tel Aviv, al fine di strangolare il movimento libanese Ḥizb Allāh e di limitare fortemente l’influenza iraniana in Siria, Libano e Palestina. Questo scenario sembra essere confermato dalle parole del leader sionista Benjamin Netanyahu, il quale non ha mancato di sottolineare il “merito” di Israele nella caduta di Assad: “Oggi è una giornata storica per il Medio Oriente. Il regime di Assad, un elemento chiave dell’asse del male dell’Iran, è caduto. Questo è il risultato diretto degli attacchi che abbiamo sferrato contro l’Iran e Ḥizb Allāh, i principali sostenitori del regime di Assad. Ciò ha innescato una reazione a catena in tutto il Medio Oriente tra coloro che volevano liberarsi di questo regime repressivo e tirannico“, ha affermato Netanyahu, prima di aggiungere che il cambio di potere a Damasco “apre nuove, importantissime opportunità” per il suo Paese.

Il regime nazisionista israeliano ne ha approfittato anche per invadere parte del territorio siriano, oltre alle are già occupate illegalmente nella regione delle Alture del Golan (occupazione condannata dalla Risoluzione 497 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, datata 17 dicembre 1981), un evento che non si verificava da 50 anni. Lo stesso Netanyahu ha infatti affermato che Israele considera nullificato l’Accordo di Disimpegno del 1974: “Questo accordo è crollato, le truppe siriane hanno abbandonato le loro posizioni. Ieri, insieme al ministro della Difesa [Israel Katz] e con il pieno sostegno del gabinetto, ho ordinato alle Forze di Difesa Israeliane di prendere il controllo della zona di disimpegno e delle sue posizioni strategiche“, ha affermato il premier sionista.

Nelle ore successive alla caduta di Assad, Israele ha preso il controllo del versante siriano del Monte Hermon, la vetta più alta della Siria facente parte delle Alture del Golan, secondo quando riportato dal Times of Israel. Allo stesso tempo, l’esercito sionista ha condotto una serie di attacchi contro decine di obiettivi in Siria, con l’obiettivo dichiarato l’obiettivo di “garantire ulteriore libertà di azione per Israele nei cieli della Siria“. Nel frattempo, The Times of Israel, citando sue fonti nel settore della difesa, ha riportato che gli attacchi israeliani in Siria sono stati “molto intensi“, coinvolgendo decine di aerei da guerra israeliani. In particolare, gli attacchi hanno preso di mira “infrastrutture strategiche che potrebbero essere conquistate da elementi ostili a Israele” dopo il cambio di potere in Siria.

Le ultime notizie affermano che l’esercito sionista sarebbe entrato nella zona cuscinetto smilitarizzata tra Israele e Siria, superandone addirittura il confine, come affermato da Herzi Halevi, capo di stato maggiore delle forze armate israeliane. Questo significa che l’esercito sionista sta continuando ad avanzare in territorio siriano, forse con l’obiettivo di annettere illegalmente ulteriori aree dello stesso.

Proprio questi scenari ci portano verso l’ultima prospettiva per il futuro della Siria, quella più cupa in assoluto, che prevede lo smembramento del Paese, spartito tra le potenze regionali. Sicuramente, Israele e la Turchia sarebbero in prima fila nello spartirsi i resti della defunta Siria, ma allo stesso tempo questo rischierebbe di intensificare ulteriormente i conflitti interni tra i vari gruppi armati, portando ad una guerra permanente sul modello di quanto accaduto in Libia, con tutte le conseguenze del caso.

In conclusione, la caduta del governo ba’thista in Siria e l’esilio di Baššār al-Assad segnano la fine di un’epoca e l’inizio di una fase estremamente incerta per il Medio Oriente. L’intervento israeliano, la frammentazione interna al Paese e il coinvolgimento delle potenze occidentali e regionali aprono scenari che potrebbero portare la Siria verso una spirale di instabilità e conflitti prolungati.

Il rischio di vedere la Siria trasformarsi in un campo di battaglia tra fazioni armate, potenze straniere e ideologie religiose radicali appare sempre più concreto, minacciando non solo la pace regionale ma anche la sovranità e l’identità stessa della nazione siriana. In questo contesto, le ambizioni geopolitiche di Israele, il ruolo ambiguo dell’Occidente e l’ascesa di gruppi fondamentalisti come Hayʼat Taḥrīr al-Shām prefigurano un futuro ombroso, dove il popolo siriano rischia di essere nuovamente vittima di giochi di potere più grandi di esso.

Giulio Chinappi

10/12/2024 https://giuliochinappi.wordpress.com/

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