LA FALSA SPERANZA TECNOLOGICA IN SANITA’

Spunti di politiche tematiche a cura di DORINO PIRAS candidato alle elezioni regionali del Piemonte per la lista PIEMONTE POPOLARE

Certamente, in nessuna nostra affermazione potrà mai ritrovarsi la tentazione di trascurare la ricerca di un continuo miglioramento degli strumenti medici ad ogni livello, ma sicuramente facciamo nostro anche lo stimolo costante nel
ricercare, anche al di fuori della “speranza tecnologica”, un sostanziale miglioramento delle opportunità di salute.

Allo stato attuale, però, continuiamo a registrare come il dibattito in corso sulle politiche tese al miglioramento dello stato di benessere, sia sempre e solo imperniato sulla capacità di disporre di tecnologie sofisticate e sulla
necessità di reperire finanziamenti destinati perlopiù ad accrescere l’armamentario tecnologico. Con il risultato di centrare l’attenzione di operatori, manager e cittadini su tale dimensione tecnologica come la sola in grado di poter elevare, migliorare magicamente il livello di qualità dei servizi sanitari e in definitiva dello stato di salute generale.

L’idea di puntare sulla tecnologizzazione esasperata, accrescendo la fiduci della popolazione verso terapie ad alto contenuto “ingegneristico” come strategia superiore rispetto alla ricerca costante sull’individuazione e eliminazione dei determinanti negativi della salute, non è scevra da interessi economici oltre alla dimostrazione di come, tali sviluppi tecnologici, siano
maggiormente accessibili a determinate classi sociali. Non è nuova la dimostrazione di come la quota delle risorse investite in ricerca nel campo sanitario dipenda, in larga misura, dai meccanismi che verranno usati in futuro per finanziare la fornitura di prestazioni quando i risultati della ricerca verranno commercializzati. Ed ancora è chiaramente dimostrato un nesso assai stretto tra l’espansione dell’assicurazione sanitaria e lo sviluppo di tecnologie specializzate sempre più costose, che mutano la forma e l’estensione della copertura assicurativa stessa e risultano influenzate dagli incentivi che operano sempre attraverso il sistema assicurativo.

Questa rincorsa focalizzata sui limiti tecnici della capacità di cura e la distorta percezione della malattia come fatto personale, individuale, può portare all’indebolimento e irregimentazione della ricerca bio-medica, all’abbandono dell’impegno verso politiche di promozione a favore della salute delle classi più svantaggiate rendendo vana la grande conquista culturale del nesso tra causa ed effetti tra diseguaglianza e aspettativa di vita. Inoltre disarticola la necessaria azione coordinata tra chi opera nella salute, nell’educazione, nel lavoro, nelle politiche ambientali.

I LAVORATORI DELLA SANITA’ DIMENTICATI

In tempi di crisi del sistema sanitario, il lavoro degli operatori della salute è certamente uno degli argomenti su cui si esercitano esperti di ogni caratura con soluzioni talvolta fantasiose.  In pochi, però, arrivano a capire l’organizzazione della diagnosi e cura che oggigiorno si trova ad affrontare le nuove esigenze dei cittadini che ricorrono ai servizi ospedalieri o di base. Compreso chi dovrebbe governare il sistema a livello regionale. Senza addentrarsi in analisi poco adatte a questa
piccola nota, molti pensano il lavoro sanitario  come quello di una fabbrica nella quale i diversi lavoratori, nella diversità delle competenze, eseguono fondamentalmente tutti il medesimo compito e ogni unità lavorativa esegue da solo
tutti i passi per fabbricare un oggetto. Con questa logica la produzione dell’oggetto sarà funzione del semplice numero di lavoratori il cui contributo sarà la divisione del numero di oggetti prodotti per il numero degli stessi lavoratori. Potremo quindi modulare il semplice numero dei lavoratori per ottenere maggiore o minore produzione o fare in modo che ogni lavoratore produca più velocemente l’oggetto in questione riducendo il tempo di fabbricazione. Ma il sistema delle cure appartiene ad un altro tipo di “fabbrica”. In questo diverso laboratorio ogni singola persona svolge un compito differente, una parte del lavoro finale e per fabbricare anche un unico oggetto i lavoratori devono per forza cooperare. Questa divisione del lavoro è già economicamente più efficiente in quanto la specializzazione permette a ciascuna unità lavorativa di diventare molto esperto in un determinato compito e di portare al massimo, appunto, l’efficienza lavorativa. In questo caso, però, cambiando il numero dei lavoratori – in più o in meno – non si assiste ad una modificazione del prodotto finale in percentuale al numero delle persone che vengono aggiunte o tolte. Paradossalmente, aggiungere o diminuire il personale potrebbe portare allo stesso risultato finale non prevedibile: aggiungere nuove figure lavorative potrebbe portare sia ad un miglioramento che ad un peggioramento se si interferisse con il flusso di lavoro. Questo è quello che succede nell’organizzazione sanitaria: la correttezza – ed anche il numero – delle prestazioni dipende più dall’organizzazione e dalla sapiente miscela delle conoscenze tra medici, infermieri e operatori sanitari, che da conti che scambiano il
valore con il costo. Se inoltre inserirete in tutto questo le parole merito, preparazione, capacità di collaborazione, inventiva, capacità di innovazione, ricerca, è possibile che abbiate le chiavi per costruire non solo una nuovo tipo di organizzazione sanitaria più efficace e con costi minori, ma un Paese diverso all’altezza di sfide più complicate.

OSPEDALECTOMIA

Qualche anno fa, parlando con Ivan Cavicchi sullo stato della sanità in Piemonte, emersero alcune considerazioni che ancora oggi sono di grande attualità. Soprattutto quella che non abbiamo ancora imparato a porre in chiaro delle valutazioni di impatto socio-sanitario per comprendere gli effetti delle politiche sanitarie sulle popolazioni a cui si applicano. In sostanza,
scrivere numeri sulle strutture ospedaliere o territoriali è semplice, ma prevedere i loro effetti reali sulle persone che esprimono bisogni di cure è altra cosa. La stessa determinazione a tavolino di standard sono astrazioni statistiche con poca evidenza scientifica: la “produzione” cala senza una proporzionale riduzione dei costi. E tutto ciò porta ad una importante
divaricazione: da una parte un problema squisitamente della regione di quantità di sistema e quindi di spesa; dall’altra un problema che riguarda i cittadini che è quello di qualità del sistema e quindi di tutela dei bisogni delle persone.

La politica dovrebbe essere quello strumento in grado di conciliare quelle due cose. La scelta però è stata quella di scegliere di agire solamente da un lato del problema arrivando a compiere quella che Ivan ha chiamato “ospedalectomia” e cioè: riduzione dello standard dei posti letto ospedalieri; adeguamento al ribasso delle pianto organiche; soppressione di unità
operative; riconversione dei ricoveri ordinari in ricoveri diurni e quindi dei ricoveri diurni in assistenza territoriale, residenziale e ambulatoriale a loro volta sempre meno finanziati e riversati sulle possibilità economiche delle famiglie, promettendo poi successivi atti di riforma e finanziamento che non hanno superato il livello dell’enunciazione. In breve lo schema logico è sempre lo stesso: prima si taglia, poi si vedrà.

Concetto ancora meglio espresso in un suo scritto dove ci ricorda che “il punto di fondo, che non va mai dimenticato, è che qualsiasi standard di posti letto è funzione del territorio, per cui se il territorio non viene ripensato, qualsiasi riduzione di standard  rischia di essere una banale riduzione di assistenza. Se non si risolve questo problema di concomitanza,
presumibilmente i problemi di mobilità cresceranno. Quanto al territorio non c’è solo un problema di genericità, si intravedono vistose contraddizioni come quella tra l’idea di “rete territoriale”  e il distretto definito come
“macrostruttura”.

Infine facciamo nostri quattro amichevoli suggerimenti che discendono da
quanto detto:

· invertire l’ordine applicativo del riordino cioè partire dalla riorganizzazione
del territorio al fine di rimodulare la funzione ospedaliera per non creare
situazioni di abbandono;

· scrivere subito una nuova delibera  performativa “adeguamento della rete
territoriale a sostegno della rimodulazione della rete ospedaliera”;

· mettere mano ad un disegno di riforma complessivo del sistema  che vada
oltre la logica del riordino, dell’adeguamento, della rimodulazione e che
affronti i problemi dei modelli, dei modi di essere, delle prassi, dei metodi, del
lavoro… perché la sanità è fatta soprattutto da persone e non da cose;

· fare in modo che le  persone non siano  “riordinate” nei loro bisogni di salut
ma siano soggetti di riforma.

E questa è solo una parte di quello che ci proponiamo di fare.

DORINO PIRAS

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *