La Fondazione in memoria di Hind Rajab che si batte contro l’impunità dei soldati israeliani

Tre soldati israeliani all’ingresso del campo profughi di Jenin, in Cisgiordania, nel febbraio 2025 © APAImages/Shutterstock/IPA

Intitolata alla bambina uccisa a Gaza nel gennaio 2024, Hrf raccoglie prove e presenta denunce alla Corte penale internazionale cercando di far processare i soldati israeliani, compresi quelli con doppia cittadinanza o che si trovano in vacanza in Paesi che hanno siglato lo Statuto di Roma. Spesso le prove sono fornite dagli stessi militari che pubblicano aberranti foto e video dei propri crimini sui social. Il caso del soggiorno in Italia del generale Ghassan Alian

Una voce di bambina. All’altro capo del telefono i soccorritori della Mezzaluna rossa palestinese, che cercano di calmarla e assisterla. Si chiama Hind Rajab, ha quasi sei anni ed è l’unica superstite all’interno di un’automobile, crivellata di colpi, insieme a sei cadaveri. Fuori, invece, ci sono i tank israeliani e si combatte.

Siamo a Gaza, nel pieno dell’offensiva “Spade di ferro”, lanciata da Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. È il 29 gennaio 2024. Per tre ore Hind resta al telefono e i soccorritori chiedono all’esercito israeliano di poterla raggiungere. Un’ambulanza è pronta, ma il tempo passa e le comunicazioni saltano. Hind verrà ritrovata dodici giorni dopo, quando i soldati israeliani lasceranno la zona, cadavere, bombardata anche l’ambulanza e i soccorritori pronti a salvarla.

Le forze armate israeliane (Idf) non hanno mai ammesso la propria responsabilità, ma è altamente probabile, come dimostrato dal Washington Post.

Otto mesi dopo, in Belgio, viene creata la Hind Rajab foundation (Hrf), “in onore e memoria di Hind Rajab e di tutte le vittime dei crimini commessi a Gaza”.  

“Anche se siamo registrati a Bruxelles, in Belgio, la nostra portata è globale -spiega la fondazione, raggiunta via mail-. Siamo il braccio legale del Movimento del 30 marzo, così chiamato dopo la Giornata della Terra, quando, nel 1976, sei palestinesi disarmati furono uccisi da soldati israeliani durante le proteste contro la confisca delle loro terre. A istituire la fondazione sono stati diversi avvocati e attivisti, determinati ad avere un impatto nel porre fine all’impunità israeliana, per quanto riguarda crimini di guerra e violazioni dei diritti umani in Palestina, in particolare il genocidio in corso nella Striscia di Gaza”. 

Il team, dice la fondazione, è composto da “un grande e crescente numero di volontari, avvocati e non, di tutte le nazionalità e background”. Per il governo israeliano e il quotidiano Haaretz, gli attivisti e fondatori delle due associazioni, Dyab Abou Jahjah e Karim Hassoun, sarebbero degli “estremisti islamici che hanno espresso il loro sostegno a Hezbollah, già inseriti in una lista statunitense di persone che devono sottoporsi a speciali controlli di sicurezza prima dei voli o a cui viene impedito di imbarcarsi sui voli per gli Stati Uniti o che li attraversano”. Per gli Usa e Israele, insomma, sarebbero dei quasi terroristi. Curioso, visto che chiedono l’applicazione del diritto internazionale.  

Hrf raccoglie prove e presenta denunce alla Corte penale internazionale (Cpi) cercando di far processare per crimini di guerra o contro l’umanità, i soldati israeliani, compresi quelli con doppia cittadinanza o che si trovano in vacanza in Paesi che hanno siglato lo Statuto di Roma, il trattato internazionale istitutivo della Cpi. 

“Finora, abbiamo presentato prove alla Cpi contro più di mille soldati e decine di casi in tutto il mondo -spiegano-. Gran parte delle prove che raccogliamo e che usiamo sono condivise liberamente dagli stessi militari. C’è un fenomeno nell’Idf per cui i soldati registrano sfacciatamente le loro azioni all’interno della Striscia di Gaza, anche quando tali azioni sono incriminanti. Il governo israeliano, non per mancanza di tentativi, non è stato in grado di impedire ai soldati di pubblicare le loro azioni criminali sui social media”. 

Effettivamente certi post, condivisi dai soldati israeliani in tutti questi mesi, impressionano per i comportamenti di certo non all’altezza di quello che da sempre si autodefinisce come “l’esercito più morale al mondo”.  

L’Idf e il ministero degli Esteri hanno creato un dipartimento speciale per gestire la questione e nei casi di denunce all’estero i soldati e le loro famiglie ricevono telefonate che li invitano a tornare a casa immediatamente. L’Idf avrebbe avvertito circa trenta soldati e ufficiali che hanno combattuto a Gaza di non recarsi all’estero, riferisce Haaretz

Il caso più degno di nota finora è successo in Brasile, dove le autorità, dopo la denuncia presentata dalla fondazione contro un soldato israeliano in vacanza nel Paese sudamericano, hanno agito prontamente. “La Corte del distretto federale, a seguito dell’accordo del procuratore federale, ha emesso un ordine urgente per la polizia di indagare e agire contro il sospetto, segnando un passo fondamentale verso l’attribuzione di responsabilità per i crimini commessi a Gaza”, scrive Hrf. 

La prima denuncia contro un generale è avvenuta in Italia all’inizio di quest’anno. La fondazione ha richiesto l’immediato arresto per “genocidio, crimini contro l’umanità e di guerra” del maggiore generale Ghassan Alian, che attorno al 13 gennaio si sarebbe trovato a Roma.  

Alla domanda a chi sia stata rivolta questa richiesta, Hrf ha risposto di aver “fornito i dettagli rilevanti del caso al ministero della Giustizia italiano” e che starebbe “prendendo provvedimenti, con avvocati italiani, per portare questo caso ai tribunali italiani”. Ma “mentre questo processo è in corso -precisa- non possiamo condividere ulteriori dettagli sul caso”. 

E alla domanda sull’esistenza o meno di altri casi “italiani”, non conferma ma neppure nega “l’intenzione di presentare altri casi contro i soldati israeliani con cittadinanza italiana e i soldati dell’Idf in visita in Italia”. 

Tra le accuse mosse al generale Alian, ci sarebbe quella di aver usato l’espressione “animali umani” per riferirsi ai palestinesi, espressione già utilizzata dall’ex ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, e tra le prove portate dal Sudafrica alla Corte internazionale di Giustizia, nell’accusa di genocidio contro lo Stato di Israele. Tale definizione sarebbe, infatti, un esempio dell’intento genocidario verso la popolazione di Gaza.  

Ghassan Alian è il capo del Cogat, cioè quella parte dell’esercito che coordina le attività del governo israeliano nei Territori palestinesi occupati. In pratica, militari che gestiscono tutto quello che riguarda i civili palestinesi e le loro attività: per entrare o uscire dalla Striscia di Gaza, per esempio, prima del 7 ottobre, ci si doveva coordinare proprio con il Cogat.  

Secondo la fondazione, come capo del Cogat dal 2021, Alian sarebbe responsabile di aver gestito il coordinamento in Cisgiordania e l’assedio su Gaza (iniziato nel 2007), assedio che dal 7 ottobre avrebbe supervisionato e rafforzato, “permettendo il taglio di risorse fondamentali come acqua, elettricità, cibo e medicinali”. La deliberata politica di deprivazione avrebbe trasformato la carestia di massa in un’arma, prendendo di mira le infrastrutture civili, inclusi gli ospedali. “Il Cogat ha coordinato azioni militari che hanno preso di mira infrastrutture civili -scrive la fondazione-, e ha imposto una punizione collettiva contro la popolazione di Gaza, compiendo quindi possibili crimini di guerra e contro l’umanità”.  

La Corte penale internazionale, ricorda la fondazione, ha già emesso mandati di arresto per tali crimini, contro Gallant e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu.  

“La presenza a Roma del capo del Cogat -ha scritto Hrf- offre alle autorità italiane l’opportunità di rispettare la legge internazionale. L’Italia, in quanto firmataria dello Statuto di Roma, è obbligata ad agire immediatamente per detenere Alian”.  

Il generale, sempre secondo Hrf, a Roma avrebbe dovuto incontrare un “un alto ufficiale” del Vaticano, incontro che dopo la denuncia sarebbe però saltato. “Il motivo del meeting -scrive la fondazione- non è noto, al momento non abbiamo relazioni con il Vaticano”.  

Ma se lo Stato italiano non ha fatto nulla, a intervenire, invece, sono stati dei privati cittadini, coordinati dall’avvocato Benedetta Piola Caselli: “Abbiamo depositato alla Procura di Roma una denuncia con richiesta di arresto immediata contro il generale Alian -ha scritto sulla sua pagina Facebook-. Come italiani ci indigniamo per quello che sta succedendo in Palestina e chiediamo alle nostre istituzioni di intervenire”. 

Nel frattempo, la Hind Rajab foundation ha segnato una piccola vittoria: dopo una sua denuncia, infatti, il ministro israeliano degli Affari della diaspora, Amichai Chikli, ha annullato un viaggio in Belgio. Non per crimini commessi a Gaza, ma per un suo messaggio pubblicato su X e indirizzato a Dyab Abou Jahjah, il fondatore della Hrf, accusato di terrorismo proprio dal governo israeliano. 

“Attento al tuo cercapersone”, ha scritto il ministro, con un chiaro riferimento ai dispositivi di Hezbollah, fatti detonare da Israele nel settembre del 2024, che hanno provocato decine di morti e migliaia di feriti in tutto il Libano. 

Anna Maria Selini

22/2/2025 https://altreconomia.it/

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