La fuga dei precari
Si sente spesso parlare negli ultimi dieci anni della cosiddetta “fuga dei cervelli”, di quei tanti giovani laureati o dottorati che scelgono di partire all’estero per lavorare, cercando migliori opportunità e soprattutto un riconoscimento delle loro capacità che spesso manca in Italia.
Sono tanti i dottorandi che si trovano a collaborare anni e anni con i nostri atenei, da lavoratori precari, facendo spesso da semplici assistenti ai cosiddetti baroni delle università, e guadagnando spesso meno di un operaio.
La tendenza della stampa italiana è di creare l’ immaginario collettivo di giovani talenti che partono verso America, diventano grandi ricercatori e fanno scoperte di cui si parla a livello internazionale..
Questo fenomeno esiste, ma parlare di fuga dei cervelli è riduttivo. I dati parlano chiaro: se di fuga si tratta, è una fuga dei precari!
Chi sono e quanti sono i giovani italiani all’estero?
Dal rapporto ‘Italiani nel mondo 2016‘ redatto dalla Fondazione Migrantes, emerge che nell’anno 2015, sono 107mila gli italiani che sono espatriati e che negli ultimi 10 anni, il numero di emigrati è cresciuto del 54,9%. Di questi 107mila, i giovani tra i 18 e 34 anni rappresentano il 36,7%, ossia più di un terzo del totale. Nel solo anno 2015, sono quindi circa 40mila i giovani che hanno lasciato il paese; e non parliamo di studenti che sono partiti per un solo anno di esperienza, magari con il programma Erasmus, bensì di persone che si sono iscritte all’AIRE, provvedendo quindi al cambio di residenza.
Non si hanno dati precisi sul numero di laureati tra i giovani che lasciano il paese, ma dai dati che abbiamo a disposizione, si possono comunque trarre delle conclusioni. Dei 40mila giovani tra i 18 e 34 anni ad avere lasciato l’Italia solo 23mila hanno più di 25 anni, e si può quindi dedurre che gran parte degli altri 17mila siano emigrati prima di conseguire la laurea.
Sappiamo invece che sui 107mila italiani che hanno lasciato il paese, 52mila hanno un titolo di studio medio-basso.
Per quanto riguarda il motivo della scelta, se l’importanza di scoprire un’altra cultura e di imparare un’altra lingua ha una certa influenza; secondo il Rapporto Giovani, per l’88,3% dei giovani che hanno fatto questa scelta, l’emigrazione viene percepita come una opportunità di vita e di lavoro. Per molti, l’Italia sembra dare poche speranze ai giovani, tanto dall’indurli a considerare l’emigrazione come la strada migliore, l’unica via per lavorare e progettare la propria vita.
Una nuova onda di emigrazione
Ecco che dieci anni di crisi economica che hanno visto come unica risposta, politiche di austerità scellerate e una precarizzazione del lavoro sempre più spinta, hanno generato una nuova onda di emigrazione che entrerà sicuramente nella storia.
L’Italia è un paese con una storia di emigrazione più che centenaria, che inizia alla fine dell’800. Molti italiani scelsero di lasciare il Belpaese per iniziare una nuova vita. Parliamo ovviamente di periodi in cui i viaggi erano molto più lunghi e i possibili ritorni ben più complicati, non si partiva certo con la valigia imbarcata sul volo low cost.
Se in una prima fase, sono sicuramente stati i veneti ad emigrare di più, dalla metà del secolo scorso sono soprattutto gli italiani meridionali ad avere fatto questa scelta, spostandosi soprattutto in Francia, Belgio e Germania.
Dai dati, emerge che questa nuova fase di emigrazione è molto diversa dalla prima. Non si spostano più interi nuclei familiari, e non si spostano più comunità geograficamente riconoscibili. Se in Brasile la maggioranza degli italiani sono veneti mentre nelle zone miniere del Belgio e della Germania ci sono soprattutto calabresi e siciliani, è proprio perché spesso gli operai si spostavano in gruppi portando con loro le rispettive famiglie, e si spostavano con l’obiettivo di svolgere un lavoro specifico, laddove c’erano le industrie.
Oggi molti dei giovani che fanno questa scelta partono da soli, e non certo per raggiungere una comunità del luogo d’origine, già costituita in qualche angolo del continente.
Di dove sono e dove vanno?
È interessante notare che con l’emigrazione degli ultimi anni, si sta progressivamente assistendo ad un abbassamento dei valori percentuali del Sud a favore di quelli del Nord del Paese. Se facciamo riferimento alle cifre delle cancellazioni delle residenze in Italia, emerge che le regioni per le quali è più importante il flusso migratorio di cittadini italiani verso l’estero sono la Lombardia (17.690, pari al 19,9% del totale delle cancellazioni), la Sicilia (9.102 pari al 10,2%), il Veneto (7.903, pari al 8,9%), il Lazio (7.851 pari al 8,8%) e il Piemonte (6.237 pari al 7,0%).
Per quanto riguarda i paesi di destinazione preferiti dai nuovi emigrati, ci rendiamo conto che la scelta è prevalentemente europea: i primi 4 paesi sono la Germania (15,4%), il Regno Unito (15,3%), la Svizzera (10,6%) e la Francia (10%). Se parliamo delle città, sono senza dubbio Londra, Berlino e Parigi le mete preferite, ma a queste si possono aggiungere Madrid e Barcellona, di certo città che non hanno storicamente visto una forte presenza di italiani.
Negli ultimi 10 anni la Spagna ha visto aumentare la presenza italica di oltre due volte e mezzo, arrivando a 143mila cittadini. Dalle elaborazioni dalla Estadística del Padrón Municipal dell’INE – Istituto Nazionale di Statistica spagnolo – risulta che la popolazione di nazionalità italiana residente in Spagna, tra il 2005 e il 2015, si concentra a Madrid – con una media di oltre l’8% del totale degli italiani e a Barcellona dove assorbe le quote più significative, pari a quasi il 13% annuo del totale degli italiani residenti.
Saldo negativo record per i residenti del 2015
Nell’anno 2015 a cui le cifre fanno riferimento (perché non si hanno ancora a disposizione i dati del 2016), il numero dei residenti in Italia ha registrato una diminuzione consistente per la prima volta negli ultimi novanta anni: il saldo complessivo è negativo per 130.061 unità. Il calo riguarda esclusivamente la popolazione di cittadinanza italiana con ben 141.777 residenti in meno. Ovviamente il dato non corrisponde con esattezza al numero di italiani emigrati, influisce non di poco anche il rapporto nascite/decessi e per il 2015 ci sono state meno nascite che decessi. Inutile specificare che il calo di nascita sia collegabile alla precarietà giovanile. A ridurre il calo, sono le residenze della popolazione straniera, aumentate di 11.716 unità.
Si possono tranquillizzare coloro che pensano che non ci sia posto in Italia e che non si possano accogliere persone che fuggono dai propri paesi. Anzi, si può dire che purtroppo se le richieste asilo del 2015 sono state 83mila, quelli che sono rimasti e si sono iscritti all’anagrafe sono ancora troppo pochi per colmare un vuoto enorme.
Raphael Pepe
14/6/2017 www.italia.attac.org
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 29 di Maggio – Giugno 2017: “Non è un Paese per giovani“
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!