La guerra civile in Sudan è diventata una delle peggiori crisi umanitarie del mondo nell’indifferenza generale

I civili del Sudan hanno cercato di liberarsi di una dittatura militare per decenni, ma ora si trovano nel mezzo di una lotta di potere mortale tra ex alleati militari diventati acerrimi nemici. I combattimenti tra i due eserciti sono scoppiati quasi un anno fa nella capitale Khartoum, in un’escalation di lotta per il potere che ha portato allo sfollamento di oltre 8 milioni di persone. La pulizia etnica e nuove atrocità provocano l’esodo di migliaia di persone dal Darfur. Nell’indifferenza generale, in Sudan (come nella Repubblica Democratica del Congo e in Etiopia) si consumano crisi umanitarie di portata mai vista, con 10,7 milioni di sfollati e rifugiati – per lo più donne e bambini – ridotti alla fame. Gli appelli delle organizzazioni internazionali da mesi cadono nel vuoto. Dopo quasi un anno di conflitto devastante, ci sono pochi segnali di cessate il fuoco. È necessaria una maggiore pressione internazionale concertata ad alto livello per cambiare i calcoli dei generali e sostenere una transizione democratica. L’8 marzo, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha adottato una risoluzione redatta dal Regno Unito che chiedeva la cessazione immediata delle ostilità in Sudan durante il mese del Ramadan, una risoluzione sostenibile del conflitto attraverso il dialogo, il rispetto del diritto umanitario internazionale e il libero accesso umanitario. Per ora, però, non è successo nulla.

Come è iniziato l’attuale conflitto?

Gli scontri sono scoppiati a Khartoum, la capitale del Sudan, il 15 aprile 2023, quando una crescente lotta per il potere tra le due principali fazioni del regime militare è diventata mortale (finora sono state uccise e ferite decine di migliaia di persone e milioni sono state sradicate con la forza dalle loro case). Da un lato ci sono le forze armate sudanesi (SAF) che hanno il vantaggio di armi più sofisticate come gli aerei da combattimento e rimangono sostanzialmente fedeli al generale Abdel Fattah al-Burhan, capo della giunta militare del paese. Contro di lui ci sono i paramilitari delle Forze di Supporto Rapido (RSF), un insieme di milizie che seguono l’ex signore della guerra, il generale Mohamed Hamdan Dagaloconosciuto come Hemedti (il piccolo Mohamed), noto anche per essere intervenuto con le sue truppe nei conflitti in Yemen e Libia (per una ricostruzione delle proteste popolari in favore di un governo civile e degli eventi politico-militari che hanno portato al colpo di stato militare del 25 ottobre 2021 da cui è poi originata la guerra civile, si veda il nostro articolo qui). Apparentemente, lo scontro militare tra i due eserciti è scoppiato dopo settimane di crescenti tensioni sulla prevista integrazione delle RSF nell’esercito regolare. L’integrazione era stata un elemento chiave dei colloqui per finalizzare un accordo che avrebbe riportato il paese al governo civile (raggiunto nel dicembre 2022 a seguito delle forti pressioni nazionali e internazionali) e porre fine alla crisi politico-economica innescata da un colpo di stato militare nell’ottobre 20211.
La RSF è stata fondata dall’ex presidente dittatore Omar al-Bashir – al potere per 30 anni e atteso dal giudizio della Corte dell’Aia per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità -, come milizia araba di contro-insurrezione. Al-Bashir voleva reprimere una ribellione nella regione del Darfur iniziata più di 20 anni fa a causa dell’emarginazione politica ed economica della popolazione locale (secondo l’ONU, nella guerra in Darfur dei primi anni 2000 sono state uccise 300mila persone e 2,5 milioni sono sfollate). Inizialmente conosciuta come Janjaweed, la RSF divenne rapidamente sinonimo di atrocità diffuse. Nel 2013, al-Bashir trasformò il gruppo in una forza paramilitare semi-organizzata e assegnò ai suoi leader gradi militari prima di schierarli per reprimere una nuova ribellione nel sud del Darfur. Si stima che attualmente la RSF sia formata da circa 70mila soldati2.
L’attuale lotta per il potere di Hemedti con al-Burhan può essere fatta risalire al 2019, quando RSF e le forze militari regolari hanno cooperato per spodestare al-Bashir dal potere. Quando i tentativi di transizione verso un governo democratico a guida civile (sostenuto dalle Forze della Libertà e del Cambiamento, dai comitati di resistenza” pro-democrazia e dalla Sudanese Professionals Association, che avevano guidato le manifestazioni nella rivolta che ha rovesciato al-Bashir nell’aprile 2019, e che e avrebbe dovuto portare a elezioni democratiche entro la fine del 2023) sono falliti3, molti analisti hanno ritenuto inevitabile uno scontro finale tra Burhan e Hemedti, mentre ora ci si interroga se il Sudan sia ancora da considerare uno Stato.
L’epicentro dello scontro militare è stato la capitale Khartoum e la città gemella Omdurman. Dalla primavera del 2023, con sporadici tentativi falliti di cessate il fuoco (negoziati attraverso la Piattaforma Jeddah sponsorizzata dall’Arabia Saudita e dagli Stati Uniti), la situazione è andata deteriorando. Ciascuna parte militare contendente ha mostrato disprezzo per la vita dei civili sudanesi, reprimendo proteste popolari e scioperi e conducendo azioni di guerra in aree urbane densamente popolate. La portata della distruzione non ha precedenti nella storia moderna del Sudan4.

Perché il Darfur è al centro del conflitto?

Il Darfur, la vasta e in gran parte arida fascia del Sudan occidentale e sud-occidentale, abitata da circa 9 milioni di persone, è al centro del conflitto in corso soprattutto perché rimane la roccaforte del leader di RSF Hemedti. Molte delle reclute della RSF provengono dalla regione e dalla tribù Rizeigat di Hemedti.
Per anni, le RSF hanno terrorizzato le comunità del Darfur e gran parte della regione è senza legge: milizie e altri gruppi armati attaccano i civili praticamente impunemente. Prove recenti indicano che RSF è coinvolta negli scontri etnici all’interno del Darfur contro comunità nere come i Masalit5. La crisi, infatti, cresce su radici di forte conflitto etnico, di contrasti decennali tra la parte araba della popolazione e i neri africani (il caso Darfur ne è un esempio chiarissimo) e di controllo armato delle risorse del paese6.
Negli ultimi anni, le RSF hanno investito ingenti risorse in Darfur nel tentativo di controllarne le risorse strategiche, come piste di atterraggio, miniere, fonti d’acqua e strade principali. Se il conflitto dovesse andare male per Hemedti altrove in Sudan – soprattutto a Khartoum e dintorni – è probabile che si ritirerà nel Darfur. Con la sua forza di decine di migliaia di agguerriti combattenti, la regione sarebbe praticamente inespugnabile7.
Tutte le costose operazioni, insieme al pagamento dei salari a combattenti, mercenari e lobbisti, e al finanziamento di campagne mediatiche, secondo gli esperti dell’ONU, sono state sostenute da una “complessa rete finanziaria, organizzata dalle RSF prima e durante la guerra”. La milizia ha investito nel conflitto una parte delle enormi ricchezze accumulate con l’estrazione e la commercializzazione, spesso illegale, dell’oro, business gestito da una cinquantina di compagnie controllate per la maggior parte dalla famiglia e dagli associati del suo comandante Dagalo8.
Gli analisti fanno risalire molte delle radici dell’ultimo conflitto alla spaventosa violenza e alle violazioni dei diritti umani – forse al genocidio – avvenute in Darfur circa 20 anni fa. L’esperta di genocidio delle Nazioni Unite, Alice Wairimu Nderitu, ha messo in guardia negli ultimi mesi da “un ciclo di violenza che non trova fine.

Qual è stato finora il costo umano?

Il conflitto ha gettato il Sudan in “uno dei peggiori incubi umanitari della storia recente”, secondo Edem Wosornu, direttore delle operazioni presso l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), che avverte anche che potrebbe innescare la più grande crisi alimentare del mondo. L’Unicef, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia, afferma che alcune comunità in Sudan sono state spinte sull’orlo della carestia. Mancano cibo, acqua e medicine, la benzina scarseggia, le comunicazioni e l’elettricità sono ridotte e a fasi alterne, i prezzi di prodotti primari sono saliti alle stelle. Senza contare i danni alle infrastrutture, il collasso degli ospedali e del sistema bancario9
Il conflitto in Sudan ha anche creato la peggiore crisi di sfollati del mondo, disperdendo più di 10,7 milioni di persone all’interno e oltre i confini del Sudan (su una popolazione complessiva di 46 milioni). Quasi 2 milioni di persone sono fuggite nei paesi vicini per sfuggire ai combattimenti, esercitando una pressione crescente su Chad e Sud Sudan (ma anche su Egitto, Etiopia, Libia e Repubblica Centrafricana).
La mancanza di fondi in Sud Sudan significa che 3 milioni di persone gravemente affamate non ricevono assistenza dal Programma alimentare mondiale (WFP) delle Nazioni Unite. Nel 2023, circa 7,7 milioni di persone – ovvero due terzi della popolazione – hanno dovuto affrontare livelli estremi di fame in Sud Sudan10. In Chad, una simile carenza di fondi significa che sarà necessario porre fine al sostegno a tutti gli 1,2 milioni di rifugiati all’interno del paese ad aprile.
Funzionari del WFP avvertono che in tutta la regione, quasi 28 milioni di persone affrontano una grave insicurezza alimentare, di cui 18 milioni in Sudan (10 milioni in più rispetto a questo periodo l’anno scorso), 7 milioni in Sud Sudan e quasi 3 milioni in Chad.
Ancor prima che scoppiassero i combattimenti, le Nazioni Unite stimavano che più di 3 milioni di donne e ragazze in Sudan fossero a rischio di violenza di genere. Dopo lo scoppio del conflitto, sono pervenute numerose segnalazioni di forze armate che utilizzano lo stupro come arma.
Il conflitto ha anche portato alla chiusura di un gran numero di scuole, con un numero totale di bambini che in Sudan non frequentano la scuola che raggiunge i 19 milioni (il 68% dei sudanesi ha meno di trent’anni, il 41% ne ha meno di 15). Soprattutto, la mancanza di cibo e acqua potabile sta portando il Sudan ad una “catastrofe generazionale.

Qual è l’impatto sulla regione più ampia?

Uno dei paesi più grandi dell’Africa, il Sudan si trova in una regione instabile al confine con il Mar Rosso, la regione del Sahel e il Corno d’Africa. La sua posizione strategica e la ricchezza agricola hanno attirato giochi di potere regionali, complicando le possibilità di una transizione di successo verso un governo a guida civile.
Molti dei vicini del Sudan – tra cui Etiopia, Chad e Sud Sudan – sono stati colpiti da sconvolgimenti politici e guerre civili (si vedano i nostri articoli quiquiquiquiqui e qui). I rapporti del Sudan con l’Etiopia, in particolare, sono tesi a causa di questioni quali la nuova diga etiopica sul Nilo (la diga del Rinascimento) e i terreni agricoli contesi lungo il loro confine. Un numero enorme di rifugiati sudanesi sono fuggiti dai combattimenti verso i paesi vicini, tra cui centinaia di migliaia sono entrati in Chad.
Come ricorda l’esperto Alex De Waal – la guerra del Sudan è anche un vortice di conflitti transnazionali e rivalità globali che minacciano di incendiare in maniera più ampia l’intera regione. L’amplificazione delle tensioni è la principale dimensione geopolitica in gioco. Russia11, Stati Uniti12, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e, più recentemente, Iran13 sono tra le potenze in lotta per l’influenza in Sudan.
L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti avevano visto il tentativo del Sudan di passare a un governo a guida civile come un’opportunità per respingere l’influenza dell’integralismo islamico e dei Fratelli Musulmani nella regione. Insieme agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna formano il “Quad, che ha sponsorizzato la mediazione in Sudan insieme alle Nazioni Unite e all’Unione Africana14.
Le potenze occidentali temono la possibilità di una base russa sul Mar Rosso, verso la quale i leader militari sudanesi hanno espresso apertura. Più recentemente, l’Iran sembra aver esercitato pressioni sul Sudan – finora senza successo – affinché gli permettesse di costruire una base navale permanente sulla sua costa.
Diversi governi stranieri, gruppi umanitari e organizzazioni internazionali continuano a chiedere un cessate il fuoco, la cessazione degli abusi contro i civili e l’accesso umanitario che permetta l’apertura di corridoi per gli aiuti. Le condizioni nel paese erano già pessime prima dell’aprile 2023 e da allora sono drammaticamente peggiorate. La regione africana è molto poco coperta dai media, e il conflitto in Sudan ha subito lo stesso destino, ma guerra e situazione umanitaria continueranno ad aggravarsi a dismisura se la comunità internazionale continuerà a ignorarlo. A quasi un anno da quando il conflitto è riesploso in Sudan, la sua popolazione terrorizzata sta attraversando i confini del paese. Un numero crescente di persone sta cercando di raggiungere l’Europa mentre le scorte di cibo diminuiscono nei campi profughi e gli occhi del mondo guardano altrove. Lo scorso luglio, mentre la guerra in Sudan si intensificava e la popolazione di rifugiati aumentava, il primo ministro italiano Giorgia Meloni ha ospitato una conferenza a Roma su come affrontare la migrazione dall’Africa. Erano presenti più di 20 paesi, ma Sudan e Chad non erano tra questi. I funzionari del Chad hanno fatto pressioni per ottenere un invito, sostengono le fonti, ma è stato rifiutato.

Alessandro Scassellati

  1. Le organizzazioni civili avevano anche chiesto la cessione delle lucrative partecipazioni militari nell’agricoltura, nel commercio e in altre industrie – una fonte cruciale di potere per un esercito che ha spesso esternalizzato l’azione militare alle milizie regionali. Un altro punto controverso era il perseguimento della giustizia sulle accuse di crimini di guerra da parte dei militari e dei loro alleati nel conflitto in Darfur del 2003. La Corte penale internazionale sta cercando di processare l’ex dittatore al-Bashir e altri sospettati sudanesi. Si cerca giustizia anche per l’uccisione di manifestanti pro-democrazia nel giugno 2019, nella quale sono implicate le forze militari. Inoltre, attivisti e gruppi civili vogliono giustizia per almeno 125 persone uccise dalle forze di sicurezza durante le proteste dal colpo di stato del 2021.[]
  2. Le violazioni dei diritti umani da parte delle RSF hanno spinto molti osservatori a considerare l’esercito come il minore dei due mali, e alcuni trascurano le campagne aeree indiscriminate di quest’ultimo. Secondo ACLED, un’organizzazione no-profit che raccoglie dati sui conflitti in tempo reale, l’esercito colpisce regolarmente obiettivi civili come ospedali, scuole e case.[]
  3. Per due anni, i leader militari e civili del paese hanno provato a conciliare le loro priorità all’interno del governo di transizione guidato da Abdalla Hamdok. Poi, nell’ottobre 2021, i militari hanno preso il pieno controllo con un secondo colpo di stato. Nel giugno 2021 il Sudan si era assicurato un prestito da 2,5 miliardi di dollari del Fondo Monetario Internazionale, un accordo con la Banca Mondiale e un pacchetto di riduzione del debito estero da 56 miliardi di dollari, che a seguito del colpo di stato sono stati sospesi, mentre i donatori occidentali hanno congelato miliardi di dollari in assistenza finanziaria al governo, annullando le speranze di ripresa economica. Negli ultimi due anni e mezzo, il colpo di stato e la guerra tra SAF e RSF hanno avuto un impatto catastrofico sulle istituzioni economiche e sul mercato interno. Il conflitto ha fermato la produzione agricola. Anche il raccolto della prossima stagione è a rischio se gli agricoltori soggetti alla violenza non riescono a preparare la terra e a piantare i semi alla fine di maggio e fino a giugno. Ci sono ormai chiari segnali dell’arrivo di una carestia che farà aumentare la fame. Secondo l’ONU, ora già 5 milioni di persone rischiano la fame.[]
  4. Per la prima metà del XX secolo il Sudan è stato un protettorato congiunto di Egitto e Regno Unito. Conosciuto come il condominio anglo-egiziano, l’accordo garantiva il potere politico e militare britannico. Nel 1956 l’Egitto e il Regno Unito firmarono un trattato che cedeva la sovranità alla Repubblica indipendente del Sudan. La nuova repubblica dovette immediatamente affrontare sfide importanti: si estendeva per quasi un milione di miglia quadrate e si trovava direttamente tra alcuni degli Stati e delle regioni più violenti dell’Africa. Ancora più preoccupante era il netto divario interno tra la regione settentrionale più ricca del paese, a maggioranza araba e musulmana, e la sua regione meridionale meno sviluppata, dove la maggior parte delle persone erano cristiane o animiste. Questa divisione è stata al centro di due guerre civili, la seconda delle quali avrebbe visto il paese diviso in due stati nel 2011. La seconda guerra civile sudanese, dal 1983 al 2005, è stata brutale; i crimini di carestia e atrocità furono ben documentati durante tutto il conflitto, che alla fine uccise circa due milioni di persone. Nel luglio 2011, il territorio meridionale del Sudan si separò e formò un nuovo stato: la Repubblica del Sud Sudan.[]
  5. La Corte Penale Internazionale (CPI) indaga sulle atrocità commesse nei villaggi e a El Geneina, capitale del Darfur Occidentale, dove, «secondo fonti di intelligence sono state uccise dalle 10mila alle 15mila persone». La gran maggioranza di etnia Masalit, assicurano altre fonti. E dunque si potrebbe addirittura prevedere un’accusa di genocidio.[]
  6. L’assassinio di Khamis Abbakar, governatore della provincia del Darfur occidentale, il 15 giugno 2023 ha segnato un’escalation; Abbaker aveva recentemente accusato RSF di nuovi attacchi genocidi contro le minoranze e si stava mobilitando per un intervento internazionale per proteggere i civili in Darfur quando è stato ucciso (probabilmente da miliziani delle RSF). In gioco, in Darfur c’è il controllo della terra e dei pascoli, e soprattutto dei punti d’acqua, in questo territorio desertico. Un conflitto storico tra pastori (arabi) e agricoltori (neri), esasperato anche dai cambiamenti climatici in atto. Nello stato del Kordofan meridionale, sede di un conflitto civile a lungo termine separato, i combattimenti tra le tribù Hawazma e Kenana ad Abu Jubayhah hanno ucciso centinaia di persone e provocato decine di migliaia di sfollati dopo che migliaia di case sono state bruciate. Anche nello Stato meridionale del Nilo Blu sono in corso violenze intercomunitarie tra popolazioni Hausa, Funj e Birta, legate al controllo della terra (una questione rimasta irrisolta dal governo centrale per più di un decennio), con centinaia di morti e migliaia di sfollati.[]
  7. Secondo gli esperti, l’esercito ha perso il Darfur perché le RSF hanno ben presto preso il controllo delle principali vie di comunicazione che portano nella regione, impedendo i movimenti dell’avversario. Secondo un documento sulla situazione in Sudan preparato da un panel di esperti dell’ONU, che è stato fatto circolare alla metà di gennaio, le RSF hanno invece attivato con successo ben tre direttrici, da cui hanno ricevuto carburante, automezzi e armamenti. La più importante passa dal Chad orientale, ed è stata segnalata da diverse fonti. Secondo “credibili indiscrezioni”, dallo scorso giugno diverse volte alla settimana aerei cargo partiti da Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, sono atterrati nell’aeroporto chadiano di Amdjarass, non senza aver fatto scalo in altri paesi della regione, come Uganda, Kenya e Rwanda. Da Amdjarass i carichi sono poi partiti alla volta del Darfur. Secondo documentazione raccolta sul terreno, dal luglio 2023 le RSF hanno utilizzato armamenti sofisticati che non avevano in dotazione precedentemente, e questo ha fatto la differenza nell’andamento del conflitto. Armi, automezzi e carburante sono stati consegnati alle RSF anche dal sud della Libia. Le autorità libiche hanno detto che indagheranno sul contrabbando dilagante (apparentemente gestito dal gruppo Wagner) che sta contribuendo ad alimentare la guerra civile in Sudan. Il carburante è arrivato anche dal Sud Sudan, ma all’insaputa del governo di Juba.[]
  8. Nel 2018, al-Bashir aveva concesso a Hemedti il permesso di estrarre e vendere oro, e le operazioni si sono estese ad altre aree ricche di oro fuori dal Darfur, nel sud del paese. Secondo un’indagine Reuters del 2019, l’oro è stato esportato, eludendo i controlli sui capitali, e persino venduto alla banca centrale sudanese a un tasso preferenziale. Il rapporto del panel di esperti dell’ONU cita una banca, la Al Khaleej Bank, controllata dalle RSF cui ha messo a disposizione 50 milioni di dollari, ricevuti nel marzo dello scorso anno dalla Banca Centrale del Sudan. La banca, insieme ad altre due compagnie – Al-Fakher Advanced Works Co. Ltd., la holding attraverso cui le RSF esportano l’oro; la Zadna International Co for Development Ltd, parte dell’impero economico dell’esercito sudanese, usata anche per operazioni di riciclaggio, secondo il Dipartimento di Stato americano – sono state sanzionate nei giorni scorsi dal governo statunitense per il loro sostegno finanziario alle due parti combattenti.[]
  9. «Ci stiamo avvicinando velocemente ad un punto di rottura; la situazione in Sudan richiede la vostra attenzione più di sempre». Lo ha affermato il 30 gennaio Karim Khan, procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), parlando al Consiglio di Sicurezza dell’ONU da N’Djamena, capitale del Chad, paese che condivide un lungo confine con la regione sudanese del Darfur. Il Chad, uno dei cinque paesi più poveri del mondo e attualmente impegnato in una difficile transizione politica verso un ritorno alla democrazia, oggi ha più rifugiati pro capite di qualsiasi altro Stato in Africa. Il Chad e le agenzie dell’ONU non sono in grado di far fronte all’altissimo numero di rifugiati che arrivano quotidianamente dal Sudan, ha accusato l’esercito sudanese (SAF) e le Forze di supporto rapido (RSF) per i crimini commessi negli ultimi mesi nella regione del Darfur.[]
  10. Secondo gli osservatori, la violenza e l’insicurezza potrebbero peggiorare in Sud Sudan dopo che uno dei principali oleodotti verso i mercati internazionali, che passa attraverso il vicino Sudan, è stato danneggiato il mese scorso. L’incidente è avvenuto all’inizio di febbraio nello stato sudanese del Nilo Bianco, spingendo la Dar Petroleum Oil Company a sospendere i carichi. La rottura è avvenuta in un’area controllata dalle RSF. Una squadra di tecnici esperti non è stata in grado di riparare il gasdotto a causa dei combattimenti in corso, facendo temere che l’economia politica del Sud Sudan possa crollare. L’oleodotto rappresenta due terzi o tre quarti delle entrate petrolifere. A meno che il Sud Sudan non riesca a far funzionare nuovamente l’oleodotto, ci sarà un enorme impatto sul bilancio del Sud Sudan. Nel complesso, secondo un rapporto della Banca Mondiale del 2022, il petrolio è responsabile di circa il 90% delle entrate del paese e il governo non ha pagato i dipendenti pubblici negli ultimi sei mesi.[]
  11. La Darfur Bar association, formata da avvocati che offrono assistenza legale ai perseguitati sudanesi fin dai tempi del regime di al-Bashir, da anni raccoglie evidenze sul coinvolgimento del gruppo Wagner – i mercenari russi ora controllati direttamente dal governo Putin – nel rafforzamento delle RSF. In un articolo di Radio Dabanga che riporta un loro comunicato stampa, si cita un articolo dell’African Defense Forum, un periodico dell’African Command delle forze armate statunitensi (Africom), che nel luglio scorso sosteneva che il gruppo Wagner aveva addestrato i miliziani delle RSF e forniva loro materiale bellico attraverso il confine libico. L’impegno russo a fianco delle RSF spiegherebbe le voci, circolanti da tempo, di un sostegno ucraino alle forze armate sudanesi. Le voci sarebbero confermate da un articolo e da alcuni video pubblicati il 30 gennaio sul sito del giornale ucraino Kyiv Post, e riprese da Radio Dabanga. Vi si dice che nelle scorse settimane droni ucraini hanno bombardato “mercenari russi” e i loro “terroristi partner locali” (le RSF, evidentemente, definite come forze terroristiche dal governo di fatto sudanese) sul territorio del Sudan. Secondo fonti militari sentite dal Kyiv Post, l’operazione avrebbe lo scopo di debellare il gruppo Wagner e i servizi speciali offerti ai gruppi terroristici locali dalla Federazione Russa.[]
  12. A differenza del suo predecessore, il presidente Joe Biden aveva fatto del Corno d’Africa una priorità, nominando un inviato speciale, Jeffrey Feltman, per sviluppare e attuare una strategia per portare la pace nella regione tormentata. Gli Stati Uniti avevano sostenuto la nascente democrazia del Sudan con aiuti finanziari, garanzie sui prestiti e assistenza al rafforzamento delle istituzioni e alla riforma del settore della sicurezza. Il colpo di stato del 25 ottobre 2021 aveva colto Washington apparentemente di sorpresa, perché era avvenuto poche ore dopo che Feltman aveva incontrato al-Burhan a Khartoum e aveva sottolineato il forte impegno di Washington nei confronti degli accordi esistenti tra la leadership civile e quella militare. La tiepida risposta degli Stati Uniti alla presa del potere dei militari ha frustrato gli attivisti sudanesi pro-democrazia. L’amministrazione Biden si è astenuta dall’usare la parola “colpo di stato” nelle sue dichiarazioni di condanna della presa del potere da parte dei militari e aveva rifiutato di sanzionare al-Burhan e gli altri leader militari. Invece, ha spinto affinché Hamdok fosse rilasciato dagli arresti domiciliari e reintegrato come primo ministro e ha sostenuto un ritorno al disfunzionale accordo di condivisione del potere, misure che le fazioni pro-democrazia del Sudan consideravano inadeguate e che sono fallite con le dimissioni finali di Hamdok all’inizio del gennaio 2022. Dallo scoppio del conflitto, entrambe le parti sono state colpite da sanzioni statunitensi nel tentativo di prendere di mira le loro casse finanziarie di guerra. È bene ricordare che negli ultimi mesi dell’amministrazione Trump, con la sua enorme pressione per una normalizzazione del mondo arabo con Israele, il governo di transizione sudanese è stato costretto da Washington a riconoscere il governo israeliano in cambio della cancellazione del Sudan dalla lista nera dei paesi sotto embargo da parte degli USA (US State Sponsors of Terrorism List).[]
  13. A complicare ulteriormente la situazione, nei giorni scorsi fonti autorevoli hanno diffuso la notizia che l’Iran avrebbe fornito droni da combattimento all’esercito sudanese. Un passo non inatteso, dopo la ripresa dei rapporti diplomatici tra i due paesi nell’ottobre dello scorso anno. Il generale al-Burhan, capo dell’esercito e della giunta militare sudanese, deve aver ricevuto diverse assicurazioni di sostegno “pratico” anche da altri paesi, durante i suoi recenti viaggi che l’hanno portato in Egitto, Sud Sudan, Qatar, Eritrea e più recentemente ad Algeri. Nei giorni scorsi, infatti, ha infiammato le sue truppe assicurando che le RSF saranno sbaragliate e che non è davvero il caso di perder tempo in chiacchiere, espressione da leggere come “negoziati di pace”. Una pace che anche per gli esperti che hanno preparato il rapporto per il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è ancora lontana. Tra le cause da loro citate, proprio “interessi regionali in competizione”.[]
  14. Sebbene da un punto di vista formale Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti stiano nello stesso schieramento diplomatico per quanto concerne il Sudan, i due Stati si ritrovano anche ad essere rivali per quanto concerne la loro capacità d’influenza nei confronti di Khartoum. Inoltre, sia Riyad sia Abu Dhabi non sembrano particolarmente interessate alla democratizzazione del Sudan, fattore che invece preme ai due Paesi occidentali, Stati Uniti e Regno Unito, facenti parti del Quad. Gli Emirati Arabi Uniti, in particolar modo, hanno cercato di mantenere buoni rapporti con entrambi i signori della guerra in virtù degli importanti investimenti del Paese emiratino verso Khartoum. Per Abu Dhabi, in particolar modo, il Sudan è di fondamentale importanza nell’edificazione di porti sul Mar Rosso in grado di sostenere il proprio potenziale economico e militare. A tal riguardo, nel 2022, gli Emirati e le autorità militari sudanesi hanno stipulato un accordo da 6 miliardi di dollari per la costruzione del porto di Abu Amama. Anche l’Arabia Saudita, dal canto suo, ha puntato molto sul Sudan negli ultimi anni. Khartoum, infatti, è stato uno dei pochi attori della regione ad aver storicamente sostenuto Riyad nelle sue proxy war contro l’Iran, a partire dal conflitto in Yemen. Ciò ha portato i sauditi a farsi sempre più garanti del governo militare sudanese, a partire da un prestito elargito a favore di Khartoum a parziale copertura del debito che il Paese africano ha nei confronti del FMI. Sotto questo aspetto, la rottura tra al-Burhan ed Hemedti è stata un evento inaspettato quanto indesiderato, che ha trovato Riyad spiazzata sul da farsi e in merito alla scelta di chi, eventualmente, sostenere a difesa dei suoi interessi. Preoccupazione rappresentata pienamente dalla devastazione di un centro culturale saudita in Sudan da parte di un gruppo armato.[]

27/3/2024 https://transform-italia.it/

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