La legge di bilancio 2018, spiegata in 9 punti + 1

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Lavorate con salari da fame e morite presto! Questa è la sintesi della prossima legge di bilancio; vediamo di affrontarla sottolineandone quelli che, ad oggi ne sono i punti salienti.

1. Ritornano gli sgravi contributivi, che hanno già mostrato il loro fallimento all’epoca dell’introduzione del Jobs Act: regali alle imprese, a carico della collettività, che non incentivano un’inversione di rotta nelle assunzioni stabili, dal momento che, venuti meno gli sgravi, qualunque altra forma contrattuale, più precaria, costa al padrone meno del contratto a tutele crescenti. Per il prossimo anno è previsto un limite al 50% del totale degli oneri aziendali, e un tetto massimo di 3000 euro annui. Ciò significa che, per fare in modo che il risparmio per i padroni sia pieno, gli oneri contributivi non devono superare i 6000 euro: facendo un calcolo a spanne, a questa spesa corrisponde un salario netto mensile di circa 660 euro. Al Sud gli “incentivi” salgono al 100% e ne possono usufruire anche le aziende che fanno contratti di apprendistato ai giovani che, presso di loro, hanno svolto l’alternanza scuola/lavoro; il tetto, come conferma il Sole 24 Ore, resta di 3000 euro, e stavolta il calcolo ve lo fate da soli. Quello che è chiaro è che questi sgravi incentiva assunzioni a bassi, bassissimi salari.

2. Restano i superammortamenti e gli iperammortamenti per le imprese che acquistano macchinari o digitalizzano la produzione; la quota macchinari scende – da 140% a 130% -, quella per la digitalizzazione resta invariata al 250%, il fondo per il finanziamento viene aumentato. Che vuol dire “ammortamento”? Significa che le aziende che acquistano macchinari o investono nell’informatizzazione ricevono uno sconto sulle tasse superiore alla spesa sostenuta: nel primo caso chi spende 1000 euro non pagherà tasse per 1300 euro, nel secondo caso, con la stessa spesa, si ricevono 2500 euro di sconto. A giudicare dagli effetti sull’occupazione e sulla competitività – nulli – che questa misura ha già mostrato, non c’è da essere ottimisti circa gli effetti positivi di questo ulteriore regalo, sempre a spese della collettività, anche perché l’innovazione ha un costo “vivo” – formazione del personale, manutenzione, aumento dei volumi produttivi per efficientare la spesa – che solo una ripresa vera può sostenere, non di certo quella di un paese con un incremento del PIL tra i più bassi d’Europa. Insomma, nella migliore delle ipotesi, con qualche bella fattura gonfiata i nostri capitani d’impresa si regaleranno qualche ulteriore benefit!

3. Il rinnovo contrattuale del pubblico impiego è al palo: si parla da un anno di 85 euro medi lordi, spalmati su più anni, il che si traduce in cifre ridicole, se si considera che negli ultimi nove anni l’inflazione ha mangiato 130 euro al mese a chi prende 1400 euro netti. Al danno la beffa: molti dipendenti rischiano, per questo ridicolo aumento, di perdere il bonus IRPEF da 80 euro. Che cosa inventa allora il Governo per evitare questo rischio? Semplicemente che dovranno essere le Regioni e gli Enti locali – le cui casse sono notoriamente stracolme d’oro – a compensare la perdita con aumenti dell’accessorio (che in molte realtà nel corso di questi anni ha rischiato, invece, di essere tagliato); per la Sanità ci penserà, invece, il fondo sanitario nazionale che, come vedremo più in là, subirà anche ulteriori sforbiciate. Gli 80 euro, insomma, allo stato dell’arte odierno, si perdono, per cui l’aumento, per alcuni, potrebbe tradursi addirittura in una diminuzione!

4. Istruzione e ricerca: a fronte della sbandierata assunzione di 1500 ricercatori – dietro la quale si nasconde spesso una carriera pluridecennale da precario, quindi più che di assunzione dovremmo parlare di rimborso spese – il Governo si ingrazia la casta baronale – che con lo sciopericchio corporativo di Settembre ha guadagnato la biennalizzazione degli scatti stipendiali – e i dirigenti scolastici, chiave attuativa e repressiva dell’attuazione della 107 (la “Buona Scuola”), i cui stipendi dovrebbero essere equiparati a quelli degli altri dirigenti pubblici. Una vera e propria, trasparente, scelta di classe, che premia chi in questi anni ha prestato servizio alla causa padronale o costituendone il megafono intellettuale, o applicando puntigliosamente una delle più vergognose riforme della scuola mai viste in questo paese; non possiamo dire, certamente, che al Governo non sappiano ricompensare gli amici!

5. Lotta all’evasione fiscale: dietro questa rituale parola d’ordine si cela, quest’anno, un grosso bubbone. Da un lato il Governo introduce l’obbligo della fattura elettronica dal 2019, cosa senz’altro positiva, ma limitata soltanto al cosiddetto B2B (business to business, cioè tra operatori commerciali) e non anche ai rapporti col consumatore finale. Ciò significa che, ad esempio, tra un produttore di merce, un sito di deposito e stoccaggio, un’azienda della logistica e un distributore al dettaglio non ci dovrebbero più essere frodi relative all’IVA, ma nel rapporto col consumatore finale – che di frequente è un lavoratore dipendente – il nero continuerà ad imperversare indisturbato. Nel frattempo, dopo due anni di sbandierata quanto inutile rottamazione delle cartelle “ex Equitalia”, lo Stato si appresta a vendere le residue all’asta per un prezzo che sarà intorno ai 4 miliardi (contro i circa 500 miliardi di valore nominale); il problema è che il soggetto privato che comprerà quei crediti non avrà, salvo interventi, i limiti che lo Stato ha nella riscossione, e potrà procedere dunque con pignoramenti e altre misure vessatorie senza alcun riguardo:per esempio potrà prendersi anche la prima casa o l’intero stipendio. Abbiamo già spiegato qui perché della cd. rottamazione hanno potuto usufruire solo i grandi evasori, mentre i piccoli, quelli che non hanno pagato una multa o una tassa perché in difficoltà, sono rimasti con le loro cartelle in mano a sperare nella sorte. Con questa legge quindi i piccoli evasori, spesso lavoratori dipendenti o comunque gente in difficoltà, saranno nelle mani di strozzini privati senza scrupoli, che potranno adottare qualunque mezzo per recuperare i crediti che hanno comprato!

6. Fondo sanitario nazionale. In questo campo il Governo dà dei punti ai classici tavolini col gioco delle tre carte che si incontrano dalle parti della stazione centrale di Napoli: da un lato aumenta, gridandolo ai quattro venti, di ben 1 miliardo il FSN 2018, che arriva così a 114 miliardi nominali; dall’altro taglia i contributi alle Regioni per l’edilizia sanitaria e per il mantenimento dei livelli essenziali di assistenza (LEA), chiedendo inoltre alle Regioni di contribuire alla riduzione del debito pubblico. Aggiungiamo che sempre dal FSN si attingerà, probabilmente, per evitare la perdita degli 80 euro del bonus IRPEF sui contratti del Pubblico Impiego, per cui, alla fine della fiera, secondo stima del solito Sole24Ore, il fondo rischia di essere tagliato di 2,7 miliardi!

7. Le politiche attive per il lavoro entrano anche nella gestione della CIGS, durante la quale ci può essere un ricollocamento incentivato. Il padrone che assume il lavoratore in CIGS riceve degli sgravi contributivi per un anno anche se lo assume a tempo determinato: in pratica le aziende vengono “deresponsabilizzate” delle crisi che sono spesso frutto di ricollocazioni più profittevoli, mentre sui lavoratori ricade il “peso” di dover accettare obtorto collo ricollocazioni senza alcuna certezza di stabilità del rapporto lavorativo.

8. Nulla di fatto, com’era previsto, rispetto al blocco dell’adeguamento automatico dell’età pensionistica, che passerà a 67 anni nel 2019, a fronte di un’aspettativa di vita che – specialmente in alcune regioni del Sud – inizia, seppur lievemente, a diminuire, a causa del peggioramento della qualità della vita e dell’abbassamento dei livelli di assistenza sanitaria. Nessun perturbamento invece sul fronte della cd. APE, l’anticipazione pensionistica che di fatto è un prestito da restituire, quindi una forma di guadagno dei finanziatori a danno di soggetti anziani che, perdipiù, avranno già di per se una pensione da fame. In pratica si tratterà di rinunciare ad una parte del TFR per andare in pensione prima.

9. 1,2 miliardi a regime (2020), quindi oltre la metà dei fondi destinati agli aumenti stipendiali nella PA, saranno destinati a fare l’elemosina ai poveri: 190 euro ai single, 490 alle famiglie con 5 o più componenti (che in Italia non sono la maggioranza). Una miseria che nelle grandi città non permette nemmeno di pagare un affitto e che si inserisce nelle sempre più stringenti politiche di controllo contro i lavoratori in stato di fragilità: questo REI (reddito d’inclusione) sarà compatibile con il lavoro, ma non con la NASPI. Chi lo vuole conservare, dunque, farà bene ad accettare un lavoro quale che sia, piuttosto che a perdere tempo alla ricerca di un posto adatto a sé.

Il decimo punto non riusciamo a scriverlo: dovremmo trarre delle conclusioni ripetendo cose già scritte sopra, ribadendo il classismo della manovra, e ci annoia ripeterci. La sola conclusione che conosciamo si chiama lotta e organizzazione: il 27 Ottobre c’è uno sciopero che fermerà diversi settori strategici, tra logistica e trasporti, e il 10 Novembre ce n’è un altro che vedrà mobilitarsi anche il pubblico impiego e la scuola. Fermare il Paese, portare nelle piazze chi non si arrende è la sola sintesi che ci viene in mente.

22/10/2017 http://clashcityworkers.org

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