La lettera del ministro Valditara in occasione della Giornata della libertà è un errore pedagogico, un atto contrario alla libertà dell’insegnamento e al senso della scuola
Le agenzie di stampa hanno rilanciato la lettera che il ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara ha inviato alle nostre scuole in occasione della giornata che ricorda la caduta del Muro di Berlino nel 1989. È legittimo che il ministro ricordi quella data, ma leggendo e rileggendo la nota inviata alle scuole, confesso di essere rimasto perplesso e assai preoccupato, sia per i contenuti che per il tono.
Il professor Valditara ha infatti recitato una lezione di storia contemporanea, che appare più un giudizio che l’analisi rigorosa di quanto è davvero accaduto, prima e dopo il 1989. Non spetta certo ad un ministro indicare giudizi storici in una lettera per lo più inviata a tutte le scuole, a tutti i docenti e agli studenti. Vorrei sommessamente ricordare che nelle nostre scuole, pubbliche e private, vige ancora il dettato costituzionale sulla libertà di insegnamento e di ricerca, e che una eventuale lezione di storia contemporanea spetta ai docenti, non certo ad un ministro, la cui funzione resta di tutt’altra natura. Immergersi, come egli ha fatto, in giudizi storici sulla storia recente è un pessimo segnale, perché diseducativo, inutile e lesivo della libertà di pensiero di studenti e docenti.
Nessuno, oggi, può e deve sentirsi orfano del Muro di Berlino, ovviamente. Tuttavia, rappresentare la storia del comunismo come male storico radicale, e come caduta dell’utopia della liberazione, ancora minacciosamente presente in Cina, ad esempio, non è un’analisi, è un giudizio, e pure falso. Quell’impatto storico, di cui parla il professor Valditara, non dice nulla sull’esperienza di quei comunisti italiani (e francesi, e tedeschi, per citarne solo alcuni) che hanno liberato l’Europa dal nazifascismo e contribuito a scrivere la nostra Costituzione, o a debellare la mala pianta degli estremismi terroristici che hanno insanguinato la storia recente, o a governare in modo progressivo e moderno lo sviluppo di grandi città. Provengo da un’altra storia politica e culturale, non sono mai stato iscritto al PCI o alla FGCI, ma trovo inaccettabile questa semplificazione della storia del comunismo europeo, che ha avuto tra i suoi artefici personalità come Gramsci, Di Vittorio, Lama, Berlinguer, Ingrao, Reichlin, (e potrei citarne all’infinito), la cui vita resta ancora oggi modello di riferimento per tante generazioni.
Il loro messaggio, condiviso dai padri socialisti, rimane come pietra scolpita nel tempo: la democrazia è un fine, e ha molti limiti, per questo va riformata, poiché quella liberista determina forme estreme di diseguaglianze e fratture sociali, esclusioni ed espulsioni, povertà ed emarginazione. La democrazia è il limite politico allo strapotere di ogni forma illiberale di capitalismo (termine che il ministro si è guardato bene dal citare). Contrapporre, come fa il professor Valditara, il crollo del Muro di Berlino alla vittoria delle sorti “magnifiche e progressive” della liberaldemocrazia non è altro che l’introduzione nelle nostre scuole di una indicazione e una mistificazione ideologica.
È fondamentale studiare e conoscere la storia del Novecento, e sarebbe importantissimo riuscire a far riflettere le nostre studentesse e i nostri studenti su cosa è accaduto anche dopo il 1989 per comprendere la crisi profonda in cui si trova oggi l’umanità ben esemplificata dalla guerra in Ucraina.
Ho festeggiato con entusiasmo la caduta del muro di Berlino sulle note di Roger Waters e dei Pink Floyd, ma so bene, oggi nel 2022, che il 1989 ha rappresentato uno spartiacque. Quella che Francis Fukuyama ha chiamato la fine della storia ha significato il dilagare del mercato senza limiti e della dimensione predatoria del capitale spinto dalla globalizzazione.
Quando il ministro cita esplicitamente l’attualità della guerra in Ucraina, compie un errore, di lettura storica e di interpretazione degli eventi. Egli, infatti, scrive: “Questa consapevolezza è ancora più attuale oggi, di fronte al risorgere di aggressive nostalgie dell’impero sovietico e alle nuove minacce per la pace in Europa. Il crollo del Muro di Berlino segna il fallimento definitivo dell’utopia rivoluzionaria. E non può che essere, allora, una festa della nostra liberaldemocrazia”. Come si vede, si tratta di una mistificazione ideologica. Cos’è stata infatti la storia della Federazione russa dopo il 1989? E qual è oggi l’impianto ideologico della Russia di Putin? Perché dopo l’entusiasmo per la Perestroika e la difesa del parlamento dal tentato golpe del 1991 il popolo russo si è fatto sedurre dal nazionalismo totalitario di Putin? Quali sono le responsabilità di questa deriva? Chi li ha abbandonati quando si erano affidati all’Occidente e si sono ritrovati alla fame? Sono interrogativi decisivi ai quali non si può rispondere con una frasetta in una lettera. Sono gli interrogativi alla base di una guerra atroce e disumana di cui tutto il mondo sente il peso. Questi sono interrogativi decisivi per una scuola che voglia assolvere alla sua missione: educare ad un essere cittadini in un mondo complesso, ad affrontare la complessità.
Il compito della scuola, però, non è quello di crearsi vecchi e nuovi nemici, contro i quali puntare vecchi e nuovi cannoni. Il compito della scuola è quello di insegnare a pensare criticamente, è quello di illustrare eventi e fatti storici con rigore scientifico, nella più totale libertà di insegnamento, di ricerca e di dialogo tra docenti e studenti. Quando un ministro parla di “aggressive nostalgie dell’impero sovietico” quale messaggio lancia sul piano didattico? Quale interpretazione storica introduce nelle nostre aule? È qui che la legittimità della letterina relativa a una Giornata diventa esercizio illegittimo di una ideologia. Vorrei sommessamente dire al ministro che il presidente russo Putin in tante occasioni, pubbliche e private, ha voluto presentarsi quale erede dell’epopea degli zar, della Grande Madre Russia, dell’identità linguistica, culturale e politica di “quel” popolo russo. Quella stessa identità gli è servita quale pretesto per invadere l’Ucraina, nel tentativo, tutto propagandistico, di “denazificarla” pretendendo territori, aree, città. Insomma, più Caterina seconda che Stalin. Quale messaggio dunque intendeva lanciare Putin? Non deve dirlo il ministro, ma la libera ricerca nel dialogo libero e fruttuoso tra docenti e i loro studenti. Questa è la scuola pubblica, questo ne è il senso, questo ne è l’indirizzo culturale e pedagogico. Se non si intende questo passaggio, è giustificata la sensazione di un ministro che punta a introdurre tracce ideologiche più che seguire i valori e le libertà.
Infine, un interrogativo vorrei rivolgere al ministro Valditara. Egli è entrato oggi “a gamba tesa” su un tema assai delicato: come si insegna la storia del Novecento a studenti nati nel ventunesimo secolo, che esprimono bisogni cognitivi inediti, forme di apprendimento diverse dalle generazioni precedenti, usano altri linguaggi, sono sottoposti a valanghe di sollecitazioni e informazioni molte delle quali esterne alla didattica scolastica? Per trovare risposte a questo interrogativo fior di ricercatori, filosofi, pedagogisti, storici lavorano in tutto il mondo.
Sarebbe il caso che il ministro Valditara lo ricordasse prima di inviare lettere da Minculpop più che da ministro della repubblica.
10/11/2022
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