La lotta al cancro gioca con le statistiche enon fa progressi
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Rapporto Morgan e il tabù della chemioterapia incriticabile
Nel 2004, partendo dal dibattito su come il finanziamento dei medicinali citotossici stimolasse delle domande sull’effettivo contributo della chemioterapia curativa o coadiuvante alla sopravvivenza di pazienti oncologici adulti, uno studio australiano capeggiato dall’oncologo australiano Graeme Morgan ha eseguito una ricerca della letteratura medica per degli studi randomizzati sul beneficio attribuibile alla chemioterapia citotossica nei tumori degli adulti. Il contributo totale era la somma dei numeri assoluti che mostravano un beneficio nella sopravvivenza a distanza di 5 anni, espressa come percentuale del numero totale per ognuno dei 22 tipi di tumore. Lo studio ha concluso che il contributo totale della chemioterapia citotossica curativa o coadiuvante alla sopravvivenza a distanza di 5 anni negli adulti è stato stimato essere il 2,3% in Australia e il 2,1% negli USA.
Nel 2000, le statistiche scientifiche pubblicate da M.A. Richards, D Stockson e AA (BMJ 2000;320:895 –898) in uno studio condotto in Inghilterra e nel Galles su 782.902 pazienti neoplastici, con una varietà di 47 diverse forme tumorali, riportano 541.976 decessi a cinque anni dalla diagnosi. Gli autori, documentano pertanto una sopravvivenza del 29% a cinque anni. Percentuale quasi totalmente ottenuta dalla chirurgia e solo per il 2,5% ottenuto dalla chemio (Morgan et al, 2004 Dec;16(8):549-60). Metà di questo 2,5% di sopravvissuti a 5 anni con chemio, nel lungo termine, muore per tumore, come documentato da Lopez e AA. nello studio clinico “Long–term results…Experience at the 20 th…” GacMed Mex [1998 mar. Apr,134(2):145-5]:(Lopez et al, Gac Med Mex. 1998 Mar-Apr;134(2):145-51. La chirurgia ottiene pertanto il 26,5% di sopravvivenza a 5 anni di distanza.
L’errore metodologico nel calcolo delle statistiche sul cancro
Tutti sanno che il cancro è una malattia inesorabile, che non dà scampo a chi ne viene colpito. Ognuno di noi è consapevole del fatto che quando un conoscente, un parente o un amico si ammala di questa terribile malattia, le sue possibilità di sopravvivenza sono molto scarse: o è un cancro in fase precoce e quindi si può tenere sotto controllo, o solo un miracolo lo potrebbe salvare. Le statistiche ufficiali al contrario parlano di percentuali molto più incoraggianti, riportando mediamente valori di guarigione intorno al 50%, vale a dire 1 persona su 2 si salverebbe.
Il “Rapporto Morgan”, una delle più grandi indagini statistiche sui malati di cancro degli ultimi vent’anni, de facto smascherava l’errore metodologico con cui la medicina ufficiale produceva (e produce) le statistiche sui malati e sui guariti dal cancro.
Le statistiche sono alterate da un particolare che pare assurdo: le terapie oncologiche usate nelle statistiche hanno una durata di 5 anni, perciò se una persona muore entro il 5° anno viene conteggiata come caso negativo, ma se il decesso avviene per esempio il 5° anno più un giorno, non viene calcolato come caso negativo, ma rientra come guarigione. In sostanza le statistiche ufficiali considerano una persona “guarita” dal cancro se entro 5 anni non muore; mentre chi muore dopo sei anni, per una recidiva, ad esempio, è considerata guarita per i primi 5 anni, ed entrerà nelle statistiche delle guarigioni.
C’è anche un altro particolare: alcuni medici di base hanno segnalato che per non compromettere le loro statistiche i centri famosi per la cura del cancro di solito rifiutano il ricovero per i casi che ritengono di difficile guarigione. Se ad una donna viene diagnostico un tumore al seno e viene operata l’anno dopo, per poi morire qualche mese dopo per le metastasi a fegato e ossa, in alcune statistiche dei tumori al seno la donna risulterà guarita (andando ad incrementare il numero di guarigioni), mentre risulterà morta nelle statistiche dei tumori al fegato. Se fosse morta cinque anni dopo, ad esempio, sarebbe risultata tra le persone che, contraendo un cancro, guariscono del tutto.
Se viene ospedalizzata una paziente con, ad esempio, tumore al seno e, dopo la terapia, viene dimessa, nelle statistiche non viene chiamata “dimissione”, ma “guarigione”. Se, purtroppo, dopo 3 mesi la paziente ritorna con un tumore al fegato, secondo le statistiche attuali non è certo da ricollegarsi a quanto successo prima. Se un paziente viene dimesso, e poi ritorna anche per controlli e viene di nuovo dimesso ad ogni passaggio, nelle statistiche ufficiali è riportato come un dato positivo. Dato che si può morire solo 1 volta, anche se si viene dimessi 9 volte, alla fine il risultato sarebbe del 90% di guarigioni e del 10% di mortalità.
Le statistiche relative ai tumori, inoltre, non tengono conto di un fattore importantissimo: il numero di persone che guariscono grazie a terapie alternative non-convenzionali. Le persone guarite da cancro con terapie non-allopatiche non sono assolutamente conteggiate.
Quando oggi sentiamo durante le grandi serate TV dedicate a Telethon, con ospiti che raccontano le guarigioni dai tumori sparando grandi percentuali, citano dei dati parziali derivanti da statistiche incomplete. Le periodiche dichiarazioni sulla riduzione del 50% delle morti per cancro sono dunque fasulle? Le statistiche ufficiali mentono? A rispondere era Francesco Bottaccioli, membro dell’Accademia delle Scienze di New York, docente di Psico-oncologia presso la Facoltà “La Sapienza” di Roma: Il 50% di cui parlano gli oncologi non è effettivamente la metà del numero in valore assoluto di malati di tumore, come si è indotti a credere, ma la media delle varie percentuali di guarigione dei diversi tipi di cancro. Si somma, per esempio, l’87% di guarigione del cancro al testicolo con il 10-12% di quella del polmone e si fa la media delle percentuali di guarigione, non calcolando che i malati di carcinoma al testicolo sono solo 2.000 l’anno, mentre le persone che si ammalano di tumore al polmone sono attorno alle 40.000”.
A questo punto la media non può essere più 50%, senza tenere conto che il numero di persone ammalate di tumore al fegato è 100 volte più grande di quello delle persone ammalate di tumori al testicolo.
C’è inoltre una statistica che non si fa mai, ovvero: a fronte del prezzo pagato in termini economici e di sofferenza, non si conosce se lo stesso paziente potrebbe vivere di più se si escludesse qualsiasi intervento terapeutico. A riguardo ci sono statistiche che parlano chiaro: l’aggressività di un tumore recidivante diventa esponenziale dopo la chemioterapia. L’estrema difficoltà, se non l’impossibilità di “terapeutizzare” il tumore se la necessità di una chemioterapia si ripresenta, è il sacrificio che un paziente deve pagare sulle terapie chemioterapiche.
L’errore metodologico e la sopravvivenza dal cancro
Gli elementi di distorsione e deviazione esaminati, dunque, inducono gli scienziati a commettere spesso errori di valutazione, che si amplificano man mano che passano di ricercatore in ricercatore. Che cos’è che permette agli studiosi di confezionare quelle tabelle statistiche così accattivanti e rassicuranti che ingannano continuamente l’opinione pubblica? Senz’altro è quella terra di nessuno che divide i tumori certi dalle malattie che non sono tumori. Appare utile indagare a questo punto più da vicino queste statistiche sulla sopravvivenza al cancro, analizzando i dati ufficialmente riportati. Gianni Bonadonna, uno dei padri dell’oncologia milanese e italiana, è stato il primo a introdurre in Italia la metodologia degli studi clinici controllati in oncologia medica, il primo a trattare il tumore con farmaci chemioterapici, a rendere curabile il tumore di Hodgkin e a dare speranze di guarigione a alle donne colpite dal tumore alla mammella. Nel 2006, dopo che gli è stata diagnosticata una grave malattia, ha scritto il libro “Dall’altra parte”, con altri suoi due colleghi, indicando la strada da seguire per giungere a una medicina più umana, modellata non da interessi economici e politici ma a partire dalle sofferenze dei pazienti. Fu lui, in una sua pubblicazione scientifica, a mettere in luce per la prima volta i dati reali sulla sopravvivenza al cancro.
Esiste una classificazione internazionale (il sistema TNM) che suddivide i tumori negli stadi I, II, III, IV e sottogruppi, in base alla loro gravità. Con riferimento alla lettera T, che descrive l’estensione del tumore, per le configurazioni meno gravi, vengono riportati (ad esempio per il cancro della mammella) gli stadi Tx, T0, Tis, T1a, T1b, le cui dimensioni, spesso non evidenziabili, possono raggiungere 5 millimetri o poco più (pag. 734). Accanto a questi tumori iniziali, esistono poi altre denominazioni di lesioni dubbie o ai limiti della malignità (leucoplachia, lesione precancerosa, simil cancerosa e altro), che il più delle volte vengono conteggiate nella malattia neoplastica. È chiaro che le lesioni iniziali, dubbie o ai limiti della malignità rappresentino la stragrande maggioranza delle “neoplasie” osservate. È altresì chiaro però, come spesso queste presunte neoplasie, soggette a fraintendimenti e manipolazioni, gonfino le statistiche fino all’inverosimile. Dunque nei primi stadi, quelli dubbi, le percentuali di guarigione sono altissime; negli stadi successivi, quelli dei tumori certi, le percentuali sono appena al di sopra dello zero.
Per capire meglio questo sistema così contraddittorio, sembra utile partire dalla comprensione delle neoformazioni della pelle, che possono essere analizzate in maniera diretta. Secondo i dati riportati da Bonadonna è fin troppo evidente che, di tutti i noduli riscontrabili in questa sede (tumori maligni, tumori benigni, cisti, lipomi, dermatiti, escrescenze, piccole cicatrici e altro), solo una minima parte appartiene alla categoria delle neoplasie. Per le neoformazioni degli organi interni invece, dove non è possibile una visione e un controllo diretto, è lecito aspettarsi di regola sia l’errore che la mistificazione. Il fenomeno descritto si rende ancor più evidente nella sua complessità, quando l’oggetto di studio è rappresentato da quelle neoplasie maligne che già di per sé tendono ad avere caratteristiche di benignità, come ad esempio quelle della tiroide, di altre ghiandole o di altri organi ben strutturati. Laddove invece le distorsioni o i fraintendimenti sono difficili da attuare, come ad esempio negli organi parenchimali (polmone, fegato, o cervello), le statistiche si attestano intorno a valori insignificanti. A tal proposito è utile riportare i tassi di sopravvivenza a 5 anni di alcune importanti neoplasie: glomi maligni (cervello) < 10%, distretto cervico facciale < 5%, melanomi maligni < 20%, neoplasie maligne dell’orecchio e della mastoide < 25%, polmone 7,5%, mesotelioma della pleura 0%, carcinoma dell’esofago <10%, carcinoma dello stomaco < 13%, neoplasie del piccolo intestino 25%, carcinoma del fegato 0-2%, carcinoma della colecisti < 3%, carcinoma del pancreas 2%, carcinoma mammario localmente avanzato 5%. In conclusione, dove sta questo famoso 50% di guarigioni? Nei libri e trattati classici viene riportato un tasso di guarigioni dal cancro che oscilla intorno al 7% (cioè pressoché 0, con le dovute correzioni). C’è da sottolineare inoltre, che interessa poco se si riescono ad estirpare delle neoformazioni subcentimetriche, che non danno mai nessun problema. Al contrario, sono quelle avanzate che le terapie oncologiche ufficiali dovrebbero far regredire e guarire per dimostrare la loro efficacia.
La ricerca oncologica internazionale non fa progressi… per interesse?
In questi anni, diverse istituzioni sanitarie hanno proclamato alla stampa che “la terapia oncologica sta facendo passi di grandi rilievo, gli anticorpi monoclonali…” e molto altro. E’ sufficiente collegarsi al portale del National Cancer Institute o agli atti dei recenti congressi dell’American Society of Clinical Oncology, per comprendere le ragioni della delusione seguita alle grandi aspettative indotte dagli anticorpi monoclonali e dai cosiddetti “farmaci intelligenti” impropriamente definiti biologici, che incrementano l’aspettativa di vita da poche settimane a qualche mese, malgrado gli elevatissimi costi e una tossicità a volte rilevante.
Le vere possibilità della chemioterapia, della chirurgia, della radioterapia, dei farmaci biologici, tratte da una revisione della letteratura e dai dati del National Cancer Institute, smentiscono gli interessati ottimismi di certi imbonitori dell’informazione mainstream.
Tra il 27 e il 30 agosto 2012, oltre 4.000 ricercatori, operatori sanitari e di organizzazioni per la lotta contro il cancro, politici e amministratori pubblici, presenti a Montreal, in Canada, durante il Congresso Mondiale sul Cancro, organizzato dall’Unione Internazionale per il Controllo del Cancro (UICC),
hanno dovuto prendere atto che:
. negli ultimi 50 anni i costi dei trattamenti per il cancro sono aumentati di ben 100 volte;
. la riduzione del 5% della mortalità conseguita in questi 50 anni non è dovuta a nuovi modi di cura, ma solo alla diminuzione dei fumatori e al cambiamento di stile di vita per la diffusione di miglioramenti nell’alimentazione, delle pratiche sportive e dalla maggiore frequenza degli esami di controllo.
. in mezzo secolo il cancro nel mondo ha provocato un costo totale tra ricerche, medicinali, cure e ore di lavoro perse per oltre 25.000 miliardi di euro, mentre oggi si viaggia alla velocità di 1.100 miliardi di euro all’anno;
. negli ultimi 50 anni i morti a causa del cancro, nella fascia di età 55-74 anni, sono stati 200 milioni, mentre oggi la media annuale è salita a 6,5 milioni persone.
. Per la fascia di età tra i 60 e i 75 anni la mortalità è addirittura aumentata, sia pure di poco, passando nel ventennio 1980-2000 da 800 a 802 casi.
. Nel 2010, negli Usa il costo complessivo dei decessi prematuri da cancro è stato di 263,8 miliardi di dollari, ovvero 102 miliardi per il costo diretto delle medicine e cure e 20,9 miliardi per la perdita di lavoro dovuto alla malattia. La spesa pro capite per ognuno dei 302 milioni di cittadini Usa viaggiava quindi verso i 900 euro, cifra oggi sicuramente superata.
. “Il costo per ogni singolo cittadino italiano del flagello chiamato cancro è certo non inferiore a quello degli Usa, oggi stimabile sul livello di 1.000 euro l’anno per ogni abitante” – dichiarò Dario Crosetto, collaboratore di Università e laboratori di ricerca (CERN, FERMILAB e altri) in tema di fisica delle alte energie nonché pioniere dei sistemi di acquisizioni di immagini biomediche tramite il rilevamento delle particelle elementari anziché tramite raggi X, possibile causa di cancro.
. se si va avanti di questo passo nel 2030, i morti saranno il doppio, ovvero 13 milioni
La tanto ambita “guerra al cancro” è iniziata nel 1980, quando il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon si scagliò contro il “male del secolo”, promettendo traguardi ambiziosi. È dal 2008 che l’UICC proclama che l’obiettivo per il 2020 sarebbe stata una forte riduzione della mortalità da cancro e dei relativi costi, ma la realtà ad oggi – con un aumento dei casi di cancro negli ultimi anni – dimostra che se non si mettono in atto progetti specifici, caratterizzati da obiettivi a tappe, e modalità diverse da quelle odierne, non vi saranno mai traguardi.
Ad oggi la famosa affermazione dell’ex direttore dello statunitense National Cancer Institute (NCI), Andrew Von Eschenbach: “desidero guidare il NCI in una missione che prevenga la malattia per diagnosticarla abbastanza precocemente da poterla eliminare”, è rimasta un desiderio che deve fare i conti con chi dal cancro incassa giri d’affari di miliardi di euro.
Non a caso oggi, le statistiche relative ai successi della medicina ufficiale sul cancro, spesso escono in occasione del Natale, della denuncia dei redditi con il 730 per convincere il cittadino medio a donare il suo denaro alla ricerca. Vengono pubblicate continue scoperte per la lotta contro il cancro che alla fine – questa frase sta sempre in fondo ad ogni articolo – “saranno pronte tra qualche anno”. Questi articoli appaiono al solo fine di ricevere donazioni dai cittadini ignari di quella che è la realtà, ovvero che gli studi e le scoperte sono di fatto ferme. Ci si domanda, purtroppo cinicamente, se a non curare il cancro ci sia un reale interesse per il business farmaceutico.
Nel 1985 in un articolo su Fortune, il giornalista Clifton Leaf annunciava risultati miracolosi dovuti a nuove medicine, ma in un suo articolo del 22 marzo 2004 era lo stesso Leaf ad ammettere che nonostante gli enormi investimenti stanziati a partire dal 1971 negli USA, questa malattia sembra destinata ad aumentare. Oggi è terribilmente vero. Leaf concludeva il suo articolo riconoscendo già allora che, nonostante decenni di scoperte abbiano continuamente alimentato speranze, le aspettative di miglioramenti significativi sono andate deluse.
Mentre la ricerca sul cancro non progrediva, nel frattempo si è riusciti invece a ridurre notevolmente i casi di morte dovuti a malattie cardiache. Negli Usa come in Europa, Italia compresa, la ricerca ha fatto progressi notevoli per quanto riguarda le malattie cardiache, ma non per il cancro. Infatti, mentre per le prime negli Usa le morti premature ogni 100.000 persone sono state ridotte da 791 a 393,9, cioè di circa la metà, per quanto riguarda il secondo la mortalità nello stesso periodo e fascia d’età è solo diminuita da 583,5 a 530,7.
Perché la ricerca sul cancro ha smesso di dare successi e la ricerca sulle malattie cardiache ha dato i suoi frutti? Perché le istituzioni sanitarie nel mondo si sono rifiutate di fare studi ufficiali per convalidare terapie non-allopatiche o non-convenzionali che sembravano dare speranze ai pazienti?
Lorenzo Poli
Collaboratore redazionale di Lavoro e Salute
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