La manopola del gas e la finanza
L’Ucraina, prima granaio d’Europa poi simbolo della devastazione di Chernobyl, oggi è l’icona della crisi del gas, perché il conflitto tra Nato e Russia mette a repentaglio le forniture di gas naturale russe all’intera Europa.
Questa crisi indica quanto l’Unione Europea sia vulnerabile e come la speculazione sui mercati delle materie prime sia un fattore destabilizzante per le economie degli stati europei.
Dall’autunno del 2021 l’effetto combinato del conflitto ucraino, di un rendimento dell’eolico inferiore alle attese e la ripresa economica in Asia hanno determinato uno squilibrio tra domanda e offerta di gas naturale, necessaria per sfamare l’Unione Europea, almeno per sopperire a circa il 22% della sua fame di energia.
La Russia, maggior fornitore di gas naturale per l’Europa e produttore di quasi il 30% del gas utilizzato in Italia, non ha aumentato le forniture che transitano nel gasdotto Northstream, a fronte di una domanda maggiore dovuta alla ripresa economica in Europa. Il nuovo gasdotto Northstream2, con maggiore portata – e anche a detta del governo russo con minori emissioni – e che non passa per il territorio ucraino, è già pronto per entrare in funzione. Per la Russia è la migliore opzione per incrementare le vendite di gas in Europa e per allontanare i riflettori dal conflitto in Ucraina. Per l’Europa è un modo per disporre di maggiore potenza energetica. Ma l’entrata in funzione della nuova pipeline è ancora in attesa di approvazione del via libera dalle autorità tedesche, almeno fino al mese prossimo.
In Asia la ripresa economica post pandemia, iniziata in anticipo, ha aumentato i fabbisogni di energia delle industrie che dipendono ampiamente dalle forniture dall’estero con un’impennata dei prezzi che dura dall’autunno scorso. Gli Stati Uniti, maggior produttore mondiale di gas e di shale gas, non riscontra rincari della stessa portata, e anzi beneficia della fame di gas asiatica ed europea per esportare il proprio gas a un prezzo assai maggiore di quello locale.
Il gas si colloca in un sistema di mercati e contratti, all’interno di una catena logistica assai complessa. Il mercato si basa su due categorie di contratti, i contratti di lungo termine e quelli a pronti (o spot) e due modalità di trasporto: condutture e navi gasiere.
I contratti di lungo termine, spesso ultradecennali, sono quelli che caratterizzano le forniture tramite condotta, risentono meno delle oscillazioni del mercato a pronti e garantiscono l’approvvigionamento continuo di gas. I contratti a pronti (spot) vengono utilizzati spesso per sopperire alla domanda nei momenti di picco, data anche la stagionalità dei prezzi, che aumentano durante il quarto trimestre per diminuire nel corso dell’anno, e per mantenere il livello delle scorte. Il gas scambiato su tale mercato si concretizza spesso nella fornitura immediata tramite navi.
Le navi gasiere, grazie allo stoccaggio del gas allo stato liquido in cisterne a bassissime temperature, ne riducono lo spazio di 600 volte, possono trasportare centinaia di migliaia di metri cubi di gas liquefatto. In Europa la Spagna e la Francia hanno sviluppato un sistema infrastrutturale per la catena logistica della rigassificazione. In caso di incidente grave una gasiera perdendo il proprio carico in mare potrebbe generare una catastrofe con danni equivalenti a quelli di una bomba nucleare (in Italia è operativo il rigassificatore a largo di Livorno). Ad oggi tale scenario è stato previsto solo da simulazioni digitali poiché non sono avvenuti incidenti gravi. La preoccupazione per ogni comunità che dovesse essere coinvolta da un incidente grave di una gasiera è giustificata dalla catena di devastazioni descritta dalle nubi di metano da Piero Angela nel libro “La sfida del secolo”. (2006 con L. Pinna, Mondadori). Il nostro Paese, ampiamente ricco di gasdotti, acquisisce in misura minore il gas con contratti a pronti e ricorre meno di frequente alla catena della rigassificazione via mare.
Il mercato a pronti del gas ha come riferimento i prezzi di tre hub continentali in Europa (Amsterdam), Asia e Stati Uniti. I tre hub di riferimento possiedono ampie differenze di prezzo tra loro che si acuiscono nei momenti di picco. A fine 2020, come documentato dal ministero dello Sviluppo economico (Mise) nella Relazione annuale situazione energetica nazionale, dati 2020 (nota 1), dopo il crollo dei prezzi per la pandemia, il prezzo a pronti del gas in Europa era il doppio degli Stati Uniti e meno della metà del prezzo asiatico. Le differenze di prezzo tra gli hub decidono le rotte delle gasiere statunitensi, il più grande esportatore mondiale di gas grazie all’insostenibile successo dello shale gas, che approdano nei porti che in cui vengono meglio remunerate. L’ascesa dei prezzi sull’hub europeo, che hanno raggiunto quelli asiatici, ha spinto diversi produttori americani a dirigere le proprie navi cisterna verso l’Europa in cambio di maggiori remunerazioni fino ad oggi in crescita ma assai lontane dalla scala degli aumenti registrati nell’hub di Amsterdam.
Infatti prezzo di riferimento dei mercati finanziari del gas, come per i mercati dello spread fra titoli dei debiti sovrani, durante i periodi di crisi, non riflette la realtà, poiché viene sospinto da una catena di possibili rendimenti di natura esclusivamente speculativa non legate alle esigenze reali di gas. Come lo spettro dello spread di 500 punti fra CCT e Bund del 2011 non ha mai trovato un riscontro nelle emissioni di titolo di debito pubblico italiano che anche nei periodi più bui della crisi veniva ceduto dal MEF a tassi di interesse simili a quelli dei Bund tedeschi senza problemi, così i prezzi sul mercato finanziario di gas, normalmente simili a quelli dichiarati alle dogane per le importazioni di gas liquefatto, dall’estate del 2021 stanno registrano livelli fino a due e le tre volte maggiori del prezzo doganale (nota 2). I mercati finanziari europei del gas da diversi mesi stanno amplificando la crisi, incoraggiando volatilità e livelli dei prezzi in crescita, ben oltre le reali condizioni di domanda e offerta sul mercato reale e spingono il prezzo del gas a livelli giustificati nella realtà solo da eventi estremi quali guerre aperte e cessazione non solo delle forniture russe ma anche degli altri paesi produttori.
La bolla speculativa sul gas sta favorendo la creazione di extra profitti per i fondi di investimento energetici e per i titoli delle società produttrici di energia elettrica in special modo per quelle con produzione da fonti rinnovabili, per le compagnie americane del gas che hanno ampliato i mercati di sbocco, per le imprese che commerciano gas sul mercato all’ingrosso, specie per i maggiori guadagni dovuti all’utilizzo delle scorte di gas accumulate nel tempo, per le compagnie di produzione di energia per la parte di produzione che deriva da fonti rinnovabili.
Assai incerto invece è il beneficio per la Russia, che limita gli introiti del maggior prezzo del gas perché non riesce ancora ad aprire la rotta del Northstream 2 e non aumenta la quantità di gas recapitato tramite il condotto Northstream. Al contrario gli utenti finali – come le famiglie e le piccole imprese – si trovano a scontare maggiori costi, solo in parte sterilizzati dagli interventi del governo, assai timidi e limitati solo ad alcune categorie, tanto che in ogni paese europeo i governi hanno attivato misure per il contenimento dei rincari delle bollette e in alcuni casi, come in Spagna, hanno previsto una tassazione addizionale per le compagnie che producono energia da fonti rinnovabili e dal nucleare.
Nel novero dei paesi dell’Unione Europea la situazione italiana non è tra quelle più compromesse dalla crisi Ucraina. L’Italia importa oltre il 93% del proprio fabbisogno annuale di gas, circa 70 miliardi di metri cubi, tramite condutture che la collegano con diversi produttori europei, asiatici e africani: Russia, Algeria, Libia, Olanda, Azerbaijan e Norvegia. Il mercato italiano del gas all’ingrosso nel terzo trimestre del 2021 si collocava tra quelli con i prezzi più bassi in Europa, probabilmente perché rifornito con contratti ultradecennali che garantiscono continuità e prezzi meno volatili oltre ad un ammontare di scorte elevato illustrato nell’ultimo report trimestrale della Commissione Europea sui mercati europei del gas (nota 3).
La politica di riduzione delle emissioni in Italia ha aumentato il peso delle rinnovabili nel produrre energia elettrica, favorendone l’utilizzo al posto del petrolio anche per l’autotrazione. Per quanto l’energia elettrica sia prodotta, come certificato dall’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), per il 45% da fonti rinnovabili ancora nel 2020, mentre il 42% proviene dal gas necessario a fare girare le turbine delle centrali elettriche e quindi è alla fonte del rincaro delle bollette elettriche per le famiglie e le imprese.
La bolletta elettrica per le famiglie non si limita a compensare la fornitura elettrica diretta (che pesa per il 50-60%) poiché racchiude il finanziamento alle rinnovabili (oneri generali relativi al sostegno delle energie da fonti rinnovabili e alla cogenerazione CIP 6/92) e la copertura di costi relativi ad attività di interesse generale per il sistema elettrico, come centrali elettronucleari dismesse e ricerca nel settore elettrico, che vengono pagati da tutti i clienti finali del servizio elettrico (15-20%) e in più la spesa per il trasporto, stoccaggio delle scorte e la gestione del contatore (15-20%), oltre alle accise, l’Iva (10% del totale della bolletta) e il canone Rai di circa 90 euro annuali. L’appesantimento di diverse componenti non legate strettamente alla fornitura di energia elettrica, come gli oneri di sistema e del canone Rai, proviene dalla stratificazione, nei decenni, di interventi finalizzati a garantire il sistema di produzione e distribuzione di energia integrato con un sistema di riscossione affidabile. Nel caso dei generosi incentivi alle rinnovabili degli anni scorsi la bolletta è diventata il veicolo per finanziare tali incentivi senza gravare sulle leggi di bilancio, esempio di “finanza creativa” di un celebre ministro dei governi Berlusconi. Invece, per quanto riguarda il costo della bolletta del gas, l’Italia si distingue tra i paesi più economici per le utenze industriali e tra quelli più cari per le utenze private (nota 4).
L’urgenza della situazione richiede nell’immediato interventi più incisivi, a cominciare dalla combinazione riduzione del carico fiscale e calmieramento amministrativo (temporaneo) dei prezzi al dettaglio di gas e energia elettrica fino al loro congelamento nei casi di produttori che non utilizzino il gas per vendere energia elettrica. Nel medio termine la politica dell’energia non può prescindere da un’accelerazione della riduzione dei Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD), come proposto nel 2020 anche da Sbilanciamoci! (nota 5).
Il PNRR dovrebbe essere lo strumento deputato a realizzare misure proposte da Sbilanciamoci! per raggiungere in anticipo l’obiettivo del 72% di rinnovabili nella produzione elettrica, oggi pari al 45%, previsto dal Green Deal per il 2030. Tali politiche sgancerebbero il Paese dalla dipendenza dal gas estero, con circa 30 miliardi annui di risparmi, e dall’instabilità dei mercati finanziari delle materie prime. Nell’agenda della Commissione Europea andrebbe fatta una riflessione sul meccanismo del mercato del gas europeo di Amsterdam con provvedimenti che disincentivino le bolle speculative.
La deregolamentazione di tale mercato, come per lo spread dei titoli pubblici, sta portando l’Europa in un tunnel invece di garantire prezzi stabili. L’introduzione di una tassazione europea sul trading dell’hub di Amsterdam scoraggerebbe le bolle speculative stabilizzando i prezzi, fornirebbe maggiori risorse per le energie rinnovabili e darebbe maggiore autonomia al continente europeo rispetto alle perturbazioni dovute ai conflitti locali.
NOTE:
5 https://sbilanciamoci.info/i-sussidi-ambientalmente-dannosi/
Leopoldo Nascia
14/2/2022 https://sbilanciamoci.info
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