La manovra in pillole avvelenate: il reddito di cittadinanza
Luca Zaia, esperto governatore della Lega, in una intervista al corriere della sera di domenica 30 Settembre ha dichiarato: “nei primi mesi ti do i pesci, poi però ti dò la canna e vai a pescare”. In questa battuta è condensato tutto il senso che il governo giallo-verde attribuisce a quello che sembra essere uno dei perni principali intorno al quale ruota la complessa manovra finanziaria: il reddito di cittadinanza.
Il ministro Tria è stato ancora più chiaro, infatti sul sole 24 ore dichiara: “il reddito di cittadinanza è una politica attiva del lavoro”.
Infine Di Maio a Dimartedì punta a tranquillizzare i mercati mettendo in chiaro una volta per tutte, se qualcuno non lo avesse ancora inteso, che le teorie economiche su cui si basa la manovra sono state elaborate in seno alle “collaborazioni con docenti delle università americane e non sovietiche”.
Nel complesso la manovra può essere sintetizzata, in quattro punti più la riserva, in questo modo:
A. Il reddito di cittadinanza, erogato ai ceti popolari in difficoltà, dovrebbe puntare a generare consumi (i “pesci”) e contestualmente mediante programmi ad hoc a formare lavoratori potenziali (la “canna da pesca”).
B. I consumi, se mirati al made in italy, dovrebbero creare posti di lavoro e maggiori entrate.
B. I posti di lavoro dovrebbero essere occupati dai lavoratori formati in precedenza (la famosa “canna da pesca”).
A. La maggior crescita dell’economia, infine, andrà a risanare il deficit.
C. se per qualche motivo le cose non dovessero andare come previsto scatterà un taglio drastico della spesa a copertura del deficit.
Apparentemente il cerchio (a-b-b-a) sembra chiudersi ma probabilmente qualcosa non torna essendo che i primi a lamentarsi di questa manovra sono proprio i circoli neoliberali più estremisti. L’ex governatore Monti dalle colonne del Corriere della Sera, preoccupato per il deficit, giudica la manovra azzardata in quanto ci pone fuori dalla possibilità di usare il salvagente del Fondo salva stati; francamente non è chiarissima la sua posizione, a dire il vero sembra che ci sia proprio del non detto.
Compie qualche passo in avanti Tajani che, sempre sul Corriere, esprime più coerentemente la posizione liberale classica quando afferma che, non essendoci lavoro, il reddito di cittadinanza finirà solo per tenere le persone sul divano. Forse Tajani è preoccupato che questo sia uno strumento per rifiutare i salari da fame? Se è così è bene che stia tranquillo perché semmai è proprio l’opposto.
Intorno al “reddito”, dunque, va sorgendo un problema di interpretazione tra le classi padronali che richiederà la ricerca di un equilibrio: i circoli neoliberali classici preferiscono la più “sana” disoccupazione quale arma potente per tenere bassi i salari, la media borghesia italiana vuole investimenti nel made in Italy, tali investimenti però debbono passare per qualche forma di assistenzialismo, (altrimenti i voti non tornano), tali forme di assistenzialismo però non devono andare a pesare sul “costo del lavoro”, ossia non devono essere la leva per alzare i salari.
Questo giornale non ha mai ceduto alle sirene del reddito di cittadinanza neanche a chi lo proponeva da sinistra, abbiamo sempre concluso che tale pratica in regime borghese ha una sola ed unica possibilità di divenire reale e cioè quella di una redistribuzione al ribasso di ricchezza all’interno stesso della classe operaia. Ora rischiamo di avere la dimostrazione delle “nostre” analisi.
Ricordiamo che la parola d’ordine del reddito di cittadinanza nasceva qualche decennio fa nei circoli politici, post-moderni e post-ideologici, istallatisi a cavallo tra la Francia, il nord Europa e la Silicon Valley, i quali elaboravano la teoria della fine del lavoro e l’inizio di una nuova era in cui un pugno di macchine robotizzate avrebbe svolto tutto il lavoro degli uomini i quali non avevano che da vivere con un semplice reddito di cittadinanza.
Questa visione profondamente distorta dei rapporti di proprietà e di produzione sociale all’interno del modo di produzione capitalistico non può che portare ad una visione utopistica. La stessa che ritroviamo in questa bozza di manovra finanziaria.
Analizziamone infatti i limiti. Innanzitutto il made in Italy non è a buon mercato per le classi meno abbienti e anche laddove si riuscisse ad architettare un sistema che, mediante una card elettronica, consentisse di spendere il reddito solo in alcuni esercizi commerciali e per alcuni prodotti, una sorta di protezionismo, difficilmente potranno rivolgersi ad esso le fasce basse della popolazione. Inoltre non possiamo certo vivere solo di buon vino e scarpe di pelle: macchine, computer, telefonini, prodotti in plastica, (insomma i prodotti più gettonati e di largo consumo) vengono importati, dunque un aumento dei consumi in Italia avrebbe come effetto lo sviluppo dell’economia coreana o statunitense o giapponese… Bel colpo per i sovranisti!
In questo caos, la quadra tra il governo giallo-verde e i mercati sarà possibile trovarla solo in un senso: i lavoratori che percepiranno il reddito dovranno lavorare a bassissimo costo per le imprese e la differenza dovrà pagarla lo Stato, il quale non riuscendo a rimpinguare le casse mediante un aumento di entrate fiscali sarà costretto ad estinguere il deficit mediante un taglio alla spesa pubblica. Il reddito di cittadinanza a regime si configurerà dunque come un paghetta attraverso la quale sarà possibile più o meno pagare i servizi di base e accettare lavori a bassissimi salari. E non siamo noi a dirlo ma proprio il governo che nella nota di aggiornamento al Def appena pubblicata scrive che “l’introduzione del Reddito di Cittadinanza ha un duplice scopo: i) sostenere il reddito di chi si trova al di sotto della soglia di povertà relativa (pari a 780 euro
mensili); ii) fornire un incentivo a rientrare nel mercato del lavoro, attraverso la previsione di un percorso formativo vincolante, e dell’obbligo di accettare almeno una delle prime tre proposte di lavoro eque e non lontane dal luogo di residenza del lavoratore” (p. 91).
L’effetto principale, dunque, sarà un generalizzato abbassamento dei salari in quanto una parte della riproduzione della forza-lavoro potrà essere pagata col reddito pubblico (il sussidio, appunto) invece che col capitale. Con annessa esplosione del lavoro nero e dei finti part-time. Per questo nei paesi capitalisti avanzati ci sono forme di sussidio di tal genere, perché alle imprese conviene! Una manovra reazionaria, dunque, che punta alla socializzazione della povertà.
L’altra soluzione possibile per chiudere il cerchio sarebbe una tassa patrimoniale ma sappiamo che questo tipo di manovra richiede una forza politica che necessariamente potrà avere solo un governo fortemente influenzato dai lavoratori.
Pasquale Vecchiarelli
06/10/2018 www.lacittafutura.it
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