Aids/Hiv. La miglior cura resta la conoscenza
L’Osservatorio AiDS/Aids Diritti Salute, rete nazionale di organizzazioni della società civile che lavorano sulla salute globale, insieme a Friends of the Global Fund Europe, e in collaborazione con Aidos (Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo) e Bluestocking, presenta il progetto “Aids, Tubercolosi e Malaria: fatti e stereotipi”. Tre spot per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tre grandi epidemie che ancora oggi uccidono milioni di persone nel mondo. Tre brevi video costruiti attorno agli stereotipi più comuni diffusi sulle tre malattie e sul ruolo del Fondo Globale per sconfiggerle. Il primo video viene lanciato oggi, 1 dicembre, trentennale della giornata mondiale per sconfiggere l’Aids.
Stefania Burbo, coordinatrice dell’Osservatorio, e Marco Simonelli di Friends hanno approfondito con noi alcune questioni, anche in merito al lavoro svolto dalle associazioni della società civile.
Cosa fanno praticamente le ong italiane attive sull’Aids?
Le attività svolte dalle Ong sul campo non si limitano all’area strettamente sanitaria, perché l’Hiv/Aids non può essere intesa come una malattia in senso stretto, è piuttosto una problematica sociale, spesso purtroppo può generare stigma e discriminazione nei confronti delle persone sieropositive, limitandone i propri diritti. Per questo motivo, si fa prevenzione dalle attività nei centri sanitari e nei consultori familiari all’educazione nelle scuole. Attenzione particolare è riservata alle ragazze e alle donne, al fine di promuovere l’uguaglianza di genere, prevenire gravidanze indesiderate e la trasmissione del virus dalle madri ai propri bambini. Sono inoltre realizzate attività di counselling individuale pre test, test dell’Hiv e counselling post-test.
E rispetto alle cure?
Un’attività fondamentale è la somministrazione dei farmaci antiretrovirali salvavita alle persone che hanno contratto il virus e il controllo dell’aderenza alla terapia. Accanto a questo, ci sono le attività di sostegno: alle donne e i loro bambini durante il parto e nei primi giorni di vita, agli orfani, di appoggio finanziario per esempio attraverso progetti generatori di reddito o per garantire la sicurezza alimentare delle famiglie vulnerabili. Sono inoltre realizzate azioni volte da un lato a migliorare la capacità dei sistemi sanitari di raggiungere le persone sieropositive e dall’altro a rafforzare le competenze degli operatori sanitari di comunità.
Qual è il ruolo del Fondo Globale per sostenere la cooperazione?
Fino agli inizi del 2000, Aids, tubercolosi e malaria sembravano inarrestabili. In molti paesi, l’Aids ha devastato un’intera generazione, distrutto comunità e lasciato un numero infinito di orfani. Nel 2002 il mondo ha reagito ed è stato creato il Fondo Globale per la lotta ad Aids, tubercolosi e malaria, un partenariato fra governi, società civile, settore privato, attivisti e persone colpite dalle malattie che attualmente investe circa 4 miliardi di euro l’anno per sostenere programmi di lotta a queste malattie, gestiti da personale locale in oltre cento paesi nel mondo, in particolare fra quelli più poveri e maggiormente colpiti e che ad oggi ha contribuito a mettere in terapia antiretrovirale circa 18 milioni di persone e ha fatto eseguire ottanta milioni di test per l’Hiv. La particolarità del Fondo Globale nel mondo della cooperazione è che si tratta di un’organizzazione che non realizza progetti propri ma lascia spazio alle comunità dei paesi partner nel determinare le strategie più efficaci per combattere le epidemie e/o rafforzare il proprio sistema sanitario.
Chi coordina quindi i progetti da realizzare?
Esistono meccanismi a “livello paese” che coinvolgono oltre ad autorità e istituzioni governative, anche la società civile, le comunità colpite dalle malattie, le organizzazioni religiose, il settore privato e partner tecnici (come le Nazioni Unite) e che elaborano proposte di intervento che vengono presentate al Fondo Globale. Il Fondo le finanzia lasciando la piena titolarità degli interventi al livello locale, in un sistema a cascata che – coinvolgendo anche le organizzazioni più piccole ma ben radicate nel territorio, riesce a raggiungere anche le aree rurali più remote e le popolazioni più svantaggiate e marginalizzate. È importante far notare che la titolarità del paese è data anche dal fatto che ogni paese deve contribuire alla realizzazione delle attività anche con fondi propri.
Quante risorse mancano per fermare le tre epidemie a livello globale?
Secondo le stime delle organizzazioni internazionali che si occupano di salute circolate a luglio, in occasione della 22a conferenza internazionale sull’Aids di Amsterdam, sono attualmente investiti 27,5 miliardi di dollari/anno per finanziare la lotta contro Aids, tubercolosi e malaria nei paesi a basso e medio reddito. Di questi, 11,9 miliardi provengono dall’aiuto internazionale e 15,6 miliardi sono risorse impiegate dai paesi a basso e medio reddito. Sempre secondo le stime, nel triennio 2020-2022 saranno necessari 46 miliardi di dollari all’anno per contrastare efficacemente le tre epidemie in queste regioni del mondo, di cui 18 miliardi dovranno provenire dall’aiuto internazionale.
Anche se i decessi diminuiscono e l’accesso alle terapie migliora, i dati più recenti indicano che il ritmo dei progressi per sconfiggere le tre epidemie sta rallentando. Si tratta di epidemie dinamiche, pronte a diffondersi di nuovo velocemente qualora l’impegno della comunità internazionale vacillasse. Senza un incremento degli investimenti non sarà possibile raggiungere l’obiettivo di porre fine alle epidemie di Aids, tubercolosi e malaria entro il 2030 contenuto nell’Agenda per lo sviluppo sostenibile che gli stati membri delle Nazioni Unite hanno sottoscritto nel 2015.
Qual è la situazione italiana attuale?
Sebbene in Italia l’incidenza di Aids, i nuovi casi di malattia, sia in lieve costante diminuzione negli ultimi quattro anni, l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) ci fa notare che l’incidenza più alta è fra i giovani di età 25-29 anni; il che significa che questa fascia di età oggi non ricorda più quella che è stata l’epidemia negli anni Novanta. A conferma che vi è oggi un’enorme mancanza di consapevolezza nei confronti dell’Aids, l’Iss nota anche che nell’ultimo decennio è aumentata la proporzione delle persone con nuova diagnosi di Aids che ignora la propria sieropositività e ha scoperto di essere Hiv-positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi di Aids, passando dal 20,5 per cento del 1996 al 76,3 per cento del 2015.
30/11/2018 https://comune-info.net
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