La modernità della rivoluzione zapatista
“I pirati della Selva” di Mario Balsamo (edizioni Red Star Press) ci ricordano la “modernità” della rivoluzione zapatista in Chiapas a 30 anni dall’insurrezione
Il 1° gennaio 1994 da tutti i teleschermi sbuca l’immagine che incrina l’onnipotenza capitalista del post muro di Berlino. Infrange una certezza divulgata come “fine della storia”. Irriverente, questo sgarbo agli idolatri del neoliberismo, arriva inaspettato da una delle periferie del pianeta proprio Il giorno in cui si celebrava l’ingresso del Messico nel Nafta 1 . Mentre si cancellavano le frontiere per garantire il libero accesso delle merci nordamericane e le risorse naturali di una intera Nazione diventavano un colossale supermercato per lo shopping delle multinazionali, eccoli lì, i pirati della selva, fuoriuscire dall’oblio della storia di oltre 500 anni di oppressione. Diversi municipi del Chiapas, tra i quali la ridente città coloniale di San Cristobal de las Casas, sono occupati da centinaia di indigeni armati di fucili, bastoni e zappe e con il volto coperto da un passamontagna nero. Contrariamente all’apparenza, quello di questo “esercito di straccioni” mette in atto una operazione militare studiata da tempo. Caserme della polizia prese di sorpresa, lo stesso esercito federale tarda ad entrare in azione perché non comprende i contorni di quello che sta succedendo.
Le prime immagini che rimbalzano dai teleschermi sono confuse, il mondo è ancora assonnato, quello occidentale è stordito per i festeggiamenti e i cenoni di fine anno. Ma non è il remake di vecchie guerriglie, anch’esse già consegnate alle soffitte del secolo che sta morendo. Volti e parole colpiscono perché se ne intuisce la modernità. Le telecamere potrebbero spegnersi da un momento all’altro, chiuse nell’indifferenza dopo aver saputo che i connazionali dalla pelle bianca – San Cristobal è una meta turistica molto ambita- sono in salvo e non più in pericolo. Ma quelle parole, quella radicalità, impongono di tenerle accese e danno inizio a uno dei più straordinari movimenti di solidarietà che attraverserà il Messico come un vento che non ha confini e che annuncia una nuova alba di lotte per la dignità dell’umanità.
Il loro grido è “Ya basta!”. Ora basta! Ed è un grido forte e carico di speranza. Nel mondo delle guerre spurie, dell’etnocidio, dei conflitti interreligiosi, delle mattanze di clan, ecco che la lotta riconquistava la sua fisionomia: i poveri più poveri contro i ricchi e i potenti. Una sveglia fragorosa per chi, avendo dimenticato che solo con la lotta si conquista la giustizia sociale, si stava adagiando stregato dal pensiero dominante.L’irrompere dell’Ezln segnalava alla sinistra internazionale, ancora sotto il trauma del crollo del socialismo reale, che era giunto il momento, per dirla con le parole del subcomandante Marcos, “di passare dalla difensiva all’offensiva”. Ed era giunto anche il momento di guardare il mondo con occhi nuovi.
La decisione di ristampare, aggiornandolo, il romanzo storico di Mario Balsamo 2, appare quanto mai opportuna approssimandosi al trentennale del Levantamiento zapatista. Si tratta di uno dei primi libri scritti da un italiano sull’assalto al cielo provato dagli indigeni del Chiapas. Rileggerlo oggi significa comprenderne la temperie, le ragioni di fondo, la forza innovativa che quell’insurrezione portò al Messico e a tutto il movimento di liberazione dei popoli a livello globale. Anche e soprattutto a chi non era nato nel 1994, il romanzo ha una capacità descrittiva ed un fascino che sono di grande utilità per conoscere le origini del movimento zapatista. Ci ricorda la brutale situazione di sfruttamento e di cancellazione a cui erano ridotti gli indigeni, cacciati dalle loro terre, ridotti in schiavitù e costretti a trovare riparo nella Selva Lacandona, uno degli ultimi polmoni verdi del pianeta. Il cinquecentesimo anniversario della conquista era appena passato da due anni e quei cinque secoli di “civiltà europea” imposti con la spada e con la croce avevano portato al più grande olocausto umano della storia. Intere popolazioni cancellate, ridotte in schiavitù, alla mercé di approfittatori e di malattie letali portate dall’uomo bianco. La storia quel 1° di gennaio aveva finalmente una torsione, si sollevava appunto. La penna di Balsamo ha la forza di viaggiare parallelamente nel tempo, facendo percorrere al lettore, le storie di Rafael Sebastián Guillén Vicente, di Fabiola, di Emiliano Zapata, del vecchio Antonio, quella del Subcomandante Marcos e del vescovo di san Cristobal de las Casas don Samuel Ruiz Garcia, dando un quadro d’insieme dei processi che si andavano intrecciando in quegli anni così intensi della storia dello zapatismo vecchio e nuovo.
Il sottocomandante – perché il vero comandante è il popolo- di quella rivolta è un finissimo intellettuale ed una grande comunicatore. Lo si capisce subito dalla modernità del linguaggio e dalla sua capacità di mobilitare, al fianco della loro causa, l’opinione pubblica internazionale e giocarla tutta conto il Governo del Messico. È un bianco (meticcio lo definisce Balsamo), che da oltre 10 anni ha lasciato l’università di Città del Messico, per salire sulle montagne del Chiapas immergendosi in una cultura millenaria. Dal cuore indigeno della montagna ha assimilato la saggezza degli anziani, il rispetto per tutti gli esseri viventi e la natura, la forza della memoria degli avi. Un marxista ma al tempo stesso un rifondatore dello stesso, curioso del mondo e convinto che il tentativo di Emiliano Zapata di cambiare il Messico e la società debba essere di nuovo tentato. Nel suo pensiero c’è anche una venatura anarchica e libertaria. Il suo volto bianco con la barba scura, occhi da seduttore e un nasone vistoso, è nascosto da un passamontagna nero e calza un berretto verde. Il suo spagnolo è perfetto, la sua scrittura incessante, a tratti magnetica. Ed è lì per servire una causa e non per servirsene. È sottocomandante di un esercito nato affinché un domani non ci siano più eserciti. Un apparente ossimoro, in verità un programma politico. Se il Levantamiento a Capodanno si è preso i teleschermi di mezzo mondo, è lui con i suoi comunicati a mantenerne alta l’attenzione e a far parlare di sé la stampa internazionale. Usa con grande abilità internet in una epoca in cui non esistevano i social network: è sferzante, efficace, ironico. Il potere teme i suoi comunicati, i potenti di essere presi di mira dalla sua penna.
La forza dell’Ezln infatti non è mai stata nelle armi – anche se queste vennero usate nel Levantamiento– ma nella capacità di parlare ai popoli (le innumerevoli e plurali etnie indios), ad una nazione (il Messico e la sua carta costituzionale “tradita”), all’umanità nel suo insieme (sempre più minacciata dalla giungla del “libero” mercato).
Nella prima dichiarazione della Selva Lacandona (resa pubblica proprio il 1° gennaio del 1994) gli zapatisti chiedono a tutto il popolo di unirsi nella lotta per lavoro, terra, casa, cibo, salute, educazione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia e pace. Rivendicazione al tempo stesso elementari e rivoluzionarie, perché, come gli zapatisti verranno chiedendo fino ad oggi, queste rivendicazioni potranno essere realizzate solo attraverso una profonda trasformazione del sistema politico ed economico. Fin dal primo momento è la mancanza di democrazia ad essere indicata dagli zapatisti come radice dei problemi e sarà sulla democrazia che si cimenteranno nelle loro comunità, con un susseguirsi di istituzioni e sperimentazioni, dalle giunte del buon governo ai Caracoles. Basate sui principi del mandar obedeciendo fra i quali “servire e non servirsi”, “proporre e non imporre”, “convincere e non vincere.” Con cariche che si esercitano sempre in forma collegiale, senza particolari specializzazioni all’interno dei diversi organi, e sotto il costante controllo da una parte di una commissione che ha il compito di verificare i conti dei vari consigli, e dall’altra della popolazione, dal momento che i mandati, non rinnovabili, sono revocabili in ogni momento. 3
Come ha giustamente rilevato Giulio Girardi il concetto di democrazia dell’Ezln permette di cogliere anche su questo terreno l’intreccio tra le rivendicazioni indigene e quelle più generali. Rompendo con l’idea centralista dello Stato “consentendo a regioni, municipi e comunità di autogovernarsi con autonomia politica, economica e culturale, si tratti di collettività indigene o meno.” Per cui il diritto di autodeterminazione dei popoli indigeni può effettivamente essere esercitato solo dentro una cornice di Stato multietnico e multiculturale. E’ la cosa che non vogliono i vari inquilini de Los Pinos – la residenza del Presidente del Messico- che cercheranno di negare sempre nelle varie trattive con l’Ezln – dal dialogo nella Cattedrale del 1994 al processo di riforma Costituzionale che ha tradito gli accordi di pace di San Andrès: di dare agli zapatisti un ruolo nazionale, confinandoli a problema locale, al massimo dello Stato del Chiapas.
La forza degli zapatisti è invece quella della convocatoria della società civile nazionale ed internazionale che vedrà persone come Fabiola venire dall’Italia e farsi 36 ore di pullman da Città del Messico insieme ad altri 7mila delegati messicani ed internazionali per partecipare, nel cuore della Selva Lacandona, alla Convenzione Nazionale Democratica. Il tentativo era di proporre quell’incontro tra i rivoluzionari armati e quelli disarmati della società civile come provò a realizzare ad Aguascalientes Emilio Zapata nel 1914. Qui, in questa assise internazionale nel cuore della foresta chiapaneca, salpa la “nave pirata” degli zapatisti…Seguiranno altri tentativi di Aguascalientes, anche fuori dal Chiapas e dal Messico tra i quali due incontri “intergalattici” dell’umanità contro il neoliberismo e la straordinaria partecipazione di popolo alla Marciadel color della Terra. La forza attrattiva dell’esperienza zapatista si è potuta misurare anche con la presenza per lunghi anni di centinaia di osservatori internazionali e dei “campamentos civiles por la paz”, nelle comunità indigene minacciate dall’esercito federale. Come una forza di dissuasione pacifica la sola presenza di questi attivisti negli anni più caldi della repressione e della controffensiva militare, ha impedito la soluzione finale da parte del governo federale. La guerra a bassa intensità combattuta contro gli zapatisti non poteva infatti dispiegarsi in tutta la sua portata di fronte agli occhi vigili della comunità internazionale.La pratica degli stupri contro le donne da parte dei soldati federali e dei paramilitari- intensissima durante lo sfondamento militare del febbraio/marzo1995 dove nei villaggi erano rimaste solo donne , anziani e bambini- venne scoraggiata grazie alle precise denunce degli organismi per i diritti umani che hanno potuto compilare dettagliati rapporti grazie ai resoconti e alle testimonianze degli osservatori e degli accampamentisti presenti sul posto (e per questo mal tollerati dalle autorità messicane). La pratica dell’inquinamento delle fonti idriche, del sequestro del raccolto agricolo, della distruzione di capanne e ambulatori, il blocco ermetico nei confronti dei convogli di aiuti destinati alle comunità, hanno caratterizzato (e caratterizzano) il tentativo del potere di piegare la resistenza indigena minando il consenso verso l’Ezln.Nell’attuale Messico, una Nazione stravolta da un tasso di morti ammazzati che nel 2021 ha toccato la cifra di 33.308 omicidi, oltre 91 al giorno, in cui la penetrazione dei cartelli criminali ha invaso quasi ogni ambito della società, anche le comunità zapatiste sono costrette a fronteggiare il fenomeno. In particolar modo i cartelli del narcotraffico hanno accresciuto molto il loro potere di minaccia, in uno Stato, quello del Chiapas, che confina per centinaia di chilometri con il Guatemala porta d’ingresso della droga dal centro/sud America verso Usa e Canada.
Chi scrive questa breve articolo ha avuto il privilegio di seguire per anni per conto del quotidiano “Liberazione” tutte le vicende dello zapatismo, aprendo un canale di contatto tra la Comandancia General dell’Ezln ed esponenti della Sinistra Europea. Ho avuto occasione d’incontrare il Subcomandante Marcos e gli altri comandanti zapatisti da solo o con delegazioni dei movimenti di solidarietà. Insieme a Ramon Mantovani organizzai l’incontro tra Fausto Bertinotti e la delegazione dell’Ezln guidata da Marcos: fu un incontro di grande spessore intellettuale, sui destini del mondo e dei processi di globalizzazione capitalista.Il dialogo proseguì anche negli anni successivi, per via epistolare. Purtroppo l’ecclissarsi della sinistra in Italia con la sua attuale marginalizzazione, ha fatto sì che questo confronto non proseguisse. L’esperimento zapatista, pur dentro enormi difficoltà, è ancora lì, in piedi a dimostrare la sua vitalità. Ed il fatto di esserci ancora, in un mondo dove la velocità e l’inclemenza del trascorrere del tempo spazza via forze apparentemente più forti e strutturate, rende giustizia ai tanti che in occidente, bollavano il neozapatismo come una moda temporanea che non avrebbe lasciato alcun segno tangibile.
1 L’Accordo nordamericano per il libero scambio (in inglese: North American Free Trade Agreement, NAFTA; in spagnolo: Tratado de Libre Comercio de América del Norte, TLCAN) è un trattato di libero scambio commerciale stipulato tra Stati Uniti, Canada e Messico entrato in vigore il 1° gennaio 1994
2 Il romanzo uscì il 1 dicembre del 1995 con il titolo Que viva Marcos. Storie del Chiapas in rivolta
3 Brevi osservazioni sull’autonomia zapatista di Jérôme Baschet
Alfio Nicotra
28/12/2023 http://www.rifondazione.it/
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