La morte tragica di Joele: c’è anche il razzismo nella “guerra fra poveri”
Chi ha sdoganato il razzismo con i suoi truculenti luoghi comuni leghisti scopre di essere non solo carnefice ma anche vittima
«Gli italiani cominciano ad esagerare con le loro pretese. Presto ci tratteranno come un Paese conquistato. (…) Fanno concorrenza alla manodopera francese e si accaparrano i nostri soldi a vantaggio del loro Paese.». Il brano è preso da un articolo del quotidiano Aix uscito nell’agosto del 1893 (120 anni fa) dopo l’eccidio di Aigues Mortes. Lavoratori nelle saline, italiani che “rubavano” il lavoro e il salario ai francesi. Torna in mente quella storia orribile nel pensare a quanto accaduto a Joele Leotta a Maidstone, paesino del Kent. Dalle prime ricostruzioni effettuate dalla polizia britannica, un gruppo di ragazzi, fra i 19 e i 25 anni ha incrociato Joele e un altro suo amico italiano, hanno cominciato a ricoprirlo di insulti e minacce, le stesse minacce e gli stessi insulti che venivano rivolte 120 anni fa negli acquitrini della Camargue. Joele aveva 19 anni, era andato in Inghilterra per imparare l’inglese e per lavorare, aveva trovato posto in una pizzeria italiana, voleva disegnarsi un futuro migliore, acquisire strumenti che questo Paese non è in grado di dare. Ha ricevuto calci, pugni, forse bastonate e colpi di coltello. Joele è un morto di quel nuovo razzismo che della crisi è l’immondo frutto ideologico, la guerra fra ultimi e penultimi. Ancora non è chiara l’intera dinamica mi pare urlassero ai due ragazzi “italiani di merda”, non è la prima volta che i compatrioti vengono visti come coloro da contrastare nella caccia ad un posto di lavoro, è la prima volta che una persona “italiana” ci lascia la vita. Accade ed è già accaduto con lavoratori e immigrati di serie B, accade ed è accaduto anche nell’impunità perché certe vite non contano. Ma qualcosa sta cambiando ed in peggio. Il bel Paese che aveva sdoganato il razzismo con i suoi truculenti luoghi comuni leghisti sta scoprendo di poter essere non solo carnefice ma anche vittima. L’odio che un tempo era riservato ai “terroni” e poi via via verso le figure sociali non riconducibili alla “italianità” ha cambiato orizzonte. Oggi si odiano i poveri e quelli che competono per un posto di lavoro, per un servizio, per quella fascia di diritti che prima della crisi erano minimamente distribuiti. Un razzismo che ha maggiori connotati razzisti insomma, più infido, pericoloso e transnazionale. E intanto nella stessa Italia, soltanto ieri il vicepremier, parte di un governo che accomuna centro destra e Pd, dichiarava come se nulla fosse che “prima devono venire gli italiani”. Lo vada a dire a Londra, lo vada a dire a chi, in ogni parte del mondo si muove per ricostruirsi un futuro che qui non è garantito, lo vada a dire alle decine di migliaia di ragazzi che hanno lasciato questo Paese o altri di ogni continente per affrontare una crisi o una guerra che ha portato deserto e assenza di prospettive. E vada a parlare con i tanti Joele che vivono in Italia senza avere la cittadinanza, dica loro le stesse cose. O, e sarebbe meglio, se ne vada a casa e lasci perdere un incarico che non è degno di ricoprire.
Stefano Galieni
24/10/2013 www.liberazione.it
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