La nebbia sulla sanità privata in Lombardia

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Premessa

Non sempre i fatti generati dall’azione politica del governo vengono descritti per quello che sono dal discorso politico. In qualche caso può capitare che i risultati dell’azione, pur essendo stati perseguiti con impegno, una volta raggiunti, vengano dissimulati in tutto o in parte per rispondere a complessi sistemi di interessi e a nuove opportunità strategiche. Per non correre il rischio di essere indotti a distogliere l’attenzione dagli elementi della realtà è importante/conveniente in generale discostarsi dal mero discorso politico.

Scusate l’incipit duro e il tono perentorio con cui sto affrontando il tema della privatizzazione del Servizio sanitario della Lombardia, ma credo essi si giustifichino in quanto intendono sottolineare e, per quanto possibile, contrastare una pratica comunicativa che non produce la necessaria informazione, e quindi non consente una sufficiente consapevolezza del fenomeno di cui ci si occupa qui.

Qualcosa deve essere fatto per diradare le nebbie in cui siamo avvolti, per rompere atmosfere che ci confondono e trasformare supposti confronti che ostacolano le possibilità di conoscenza in confronti veri.

Se il diritto di essere informati in quanto finanziatori e diretti beneficiari del Servizio sanitario regionale della Lombardia non è soddisfatto pienamente dalle istituzioni come dovrebbe essere[1], allora tentare di recuperare i tratti della realtà diventa una necessità per i cittadini, oltre che la materia della buona politica, l’ambito del controllo per chi deve, per obbligo istituzionale, sorvegliare il sistema e  l’oggetto di studio delle scienze sociali, quando svolgono davvero il loro mestiere.

Il recupero dei fatti “veri” (e non dei fattoidi, cioè delle versioni solo verosimili dei fatti), serve per costruire una maggiore consapevolezza che può produrre il miglioramento del quadro e consentire di esercitare una responsabilità civica, quando necessaria. E questo tema della privatizzazione del Servizio Sanitario Lombardo (SSL) sembra proprio richiamare a gran voce tale responsabilità.

La dissimulazione del processo di privatizzazione

Tre sono le principali constatazioni rispetto a quanto è accaduto in Lombardia, in particolare con riguardo ai comportamenti comunicativi passati e recenti dell’ente Regione:

  • Non è stato comunicato il fenomeno della privatizzazione del SSL come si sarebbe dovuto fare: nei flussi informativi, e soprattutto nelle elaborazioni primarie di tali flussi rese pubbliche, non sono state sempre evidenziate le variabili “natura privata” e “natura pubblica” delle strutture e delle attività di erogazione dei servizi in serie storiche di lungo periodo. Ad un certo punto del processo (intorno soprattutto alle metà degli anni 2000), queste importanti informazioni sono per lo più sparite dai resoconti e le serie storiche dei dati che le contenevano sono state interrotte e non sono state mai più adeguatamente ricomposte, raccordandone i diversi segmenti.
  • Ma anche quando è stata resa disponibile l’informazione circa la natura pubblica o privata degli erogatori e delle attività da loro erogate – e questo è successo sempre più raramente nelle fasi più avanzate del processo di privatizzazione – questa informazione non è stata comunicata in forme che consentissero di avere una nozione completa del fenomeno: le informazioni non sono state aggregate in un modo significativo, tale da essere esplicative di ciò che era rilevante conoscere.
  • E per finire, come naturale conseguenza di quanto affermato ai punti 1 e 2, non è stato adeguatamente misurato un fenomeno di cui si è trascurato di evidenziarne l’esistenza e l’importanza. Un comportamento comunicativo non trasparente ha finito così per consentire di non dover registrare la dimensione quantitativa della privatizzazione, cioè di misurare lo sbilanciamento avvenuto verso il privato del SSL.

Date le limitazioni di un’informazione istituzionale costruita molto accuratamente per finalità che non sono quelle di una completa trasparenza nei confronti del cittadino, i dati che consentono di misurare quanto si è spinto in avanti lo sbilanciamento non possono essere acquisiti facilmente. La difficoltà riguarda chiunque, all’esterno dell’istituzione, voglia registrare la realtà.

È stata così necessaria una ricostruzione dei fatti pure da parte mia, anche perché gli atteggiamenti degli esponenti della istituzione e le teorie che li ispiravano sono stati:

  • La perseverante minimizzazione del fenomeno: in altre parole, si è sostenuto che il processo era sì in corso, ma non era poi di dimensioni così rilevanti. E in ogni caso, proprio per la non rilevanza quantitativa del fenomeno, nulla di significativo poteva essere accaduto tanto da cambiare consistentemente il sistema.
    È questa – a grandi linee – una delle possibili traduzioni delle tesi sia degli ultimi governi della Regione[2], di pari o assimilabile orientamento ideologico-partitico sia, sembra, dei maggiori luoghi di produzione del pensiero, istituiti o sponsorizzati dai principali portatori di interesse che sono direttamente parte in causa. Anche i risultati delle ricerche, effettuate dai centri di ricerca/scuole delle facoltà di economia e di management con sede in Lombardia, non hanno compiutamente descritto il fenomeno che in qualche modo contribuivano a far crescere. In quanto dedite in parallelo anche alla consulenza direzionale sperimentano ancora un vero e proprio conflitto di interesse. Le ricerche non hanno quindi rimesso ordine nel quadro proposto dalla Regione.
    Come si spiega tutto questo?
    Affermare, sulla base dei dati di fatto correttamente comunicati, che esiste un consistente sbilanciamento dell’asse pubblico privato, a favore del privato, comporta come conseguenza la necessità di una spiegazione sia del fenomeno sia delle possibili /prevedibili ricadute sul SSL.
    E la spiegazione avrebbe richiesto un’analisi che portasse ad un’identificazione dei fattori di contesto che facilitano la privatizzazione e anche – principalmente – delle scelte politiche che l’hanno forse indotta.
    Insomma, affermare l’esistenza di un consistente fenomeno di privatizzazione avrebbe significato esporsi al rischio di un’attività di analisi approfondita del fenomeno che avrebbe complicato l’azione di un governo che avesse inteso continuare liberamente a facilitare tale processo. Ma il punto è: esiste oggi un qualche ambito sicuramente indipendente in grado di effettuare una simile analisi?
  • La supposta bassa significatività degli esiti del processo di privatizzazione sul sistema, continuamente dichiarata.
    Il che corrisponde nella sostanza a dire che il processo in corso, secondo i governi, non presentava alcuna rilevanza perché nel funzionamento del sistema non si era registrata a loro dire alcuna consistente modificazione. E, se c’era stata, non poteva che essere migliorativa, considerata la supposta “maggiore efficienza del privato” (stereotipo comunque da verificare!). Anche per quanto riguarda la tutela della salute del cittadino, dal loro punto di vista, tutto era continuato ad essere come prima, perché –sempre a loro dire- non erano state osservate rilevanti differenze negli orientamenti e nei comportamenti di servizio da parte dei soggetti privati rispetto ai soggetti erogatori di parte pubblica (ma era proprio così?). Il privato insomma, secondo i governi della regione dell’ultimo ventennio e più, poteva e può erogare servizi di pubblica utilità perché si suppone abbia gli stessi orientamenti valoriali e gli stessi interessi di quelli presupposti nel soggetto pubblico.

Con queste ultime argomentazioni non si afferma forse come esistente ciò che si desidera venga creduto tale? Nasce il dubbio che si tratti di una copertura, di una dissimulazione.
Ma, come qualcuno ha osservato, perché il governo della regione Lombardia dovrebbe coprire uno sbilanciamento del sistema a favore del privato, legittimamente perseguito, in quanto frutto diretto del suo orientamento politico?
Provo a rispondere. In questo caso, ciò che potrebbe essere fonte di preoccupazione per il governo della Regione, tale da giustificare una dissimulazione, è che l’opinione pubblica, una volta informata sul grado di sbilanciamento effettivo del sistema a favore del privato, possa in qualche modo esserne colpita e contrariata. E questo perché, anche in presenza di un’insufficiente informazione, i ripetuti e scioccanti fatti di cronaca e i brevi resoconti giornalistici su alcune gestioni di strutture private in Lombardia per nulla efficienti e sperperanti denaro pubblico[3e insieme talvolta anche rovinosamente non efficaci tanto da essere penalmente perseguite[4]non si dimenticano facilmente. E quindi il cittadino potrebbe passare gradualmente da un atteggiamento di inconsapevole passività nei confronti delle politiche sanitarie regionali ad una consapevolezza attiva che rimette in discussione anche le scelte già effettuate.

Le prese di posizione riguardanti la minimizzazione del fenomeno di privatizzazione e l’irrilevanza dei suoi esiti – descritte nei punti a) e b) – sono state nette e ripetute nella comunicazione dell’ente regione e ci aiutano a spiegare i comportamenti comunicativi di trascuratezza nella descrizione del processo di privatizzazione e di non considerazione dei suoi esiti descritti precedentemente (vedi i punti elenco 1, 2, 3).

Non ci resta quindi che accertare i fatti riferiti agli esiti del processo di privatizzazione della sanità lombarda, verificando come stiano davvero le cose oggi e quindi anche quale sia il fondamento delle affermazioni di minimizzazione del fenomeno.

Sarà questo l’oggetto del mio prossimo contributo. Eccone una anticipazione: se si considerano i risultati della ricostruzione dei fatti e si misurano i fenomeni che rappresentano, come ho cercato di fare,  si può affermare “al di là di ogni ragionevole dubbio” che la privatizzazione del SSL, intesa come processo che ha spostato l’equilibrio del servizio sanitario lombardo verso un maggior peso della componente privata della sanità (gli erogatori privati), appare come un fatto del tutto incontrovertibile, rilevante e dai prevedibili notevoli effetti presenti e futuri sul servizio sanitario nel suo complesso, non solo lombardo. Ne darò conto al più presto.

Questo è il primo di quattro miei articoli,  fra loro strettamente collegati, riguardanti il tema: “La privatizzazione del SSR della Lombardia e il soverchiante peso del settore privato”.

Maria Elisa Sartor

Professore a contratto – Università degli Studi di Milano. Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità

Bibliografia

  1. La recente normativa sulla trasparenza della pubblica amministrazione fortunatamente comincia ad essere di un qualche aiuto nel farci recuperare qualche informazione significativa precedentemente preclusa.
  2. Mi riferisco alle comunicazioni della Direzione Generale Sanità (ora Direzione generale del Welfare), in occasioni pubbliche o in seminari ad invito; una fra queste, forse la più emblematica nel rappresentare questo tipo di atteggiamento, riguarda l’evento ad invito organizzato nel 2008 dal vertice della Regione in collaborazione con lo Studio Ambrosetti di Milano, in occasione della celebrazione del decennale della riforma sanitaria di Formigoni (LR 31/1997). In particolare è degno di nota il modo usato per presentare la dinamica pubblico – privato dei posti letto: quelli delle strutture di ricovero pubbliche già esistenti erano stati tagliati e in parallelo nuovi posti letto degli erogatori privati erano stati creati. Una scelta per lo meno da spiegare. Ma la dimensione del fenomeno non è stata in quell’occasione illustrata pienamente in quanto le serie storiche non erano complete (uno slittamento temporale escludeva forse gli anni decisivi dello sbilanciamento che non venivano quindi menzionati e inclusi nel periodo) e i commenti su quei dati, evidentemente incompleti, e tali da ridimensionare il fenomeno, giustificavano le scelte effettuate dalla Regione minimizzandone la portata (Cfr. slide presentate nell’occasione).
  3. Come nel caso del fallimento del gruppo privato Maugeri, avvenuto nonostante i finanziamenti pubblici illeciti accertati dalla magistratura – gruppo successivamente rilevato da una banca d’affari statunitense; e nel caso degli ingenti debiti accumulati nei confronti della Regione da parte di un ospedale privato, Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma – chiamato ad una sperimentazione gestionale a fianco di un ospedale pubblico, l’Ospedale San Gerardo di Monza. Collaborazione rivelatasi del tutto fallimentare…
  4. Vedi il caso dell’ospedale Galeazzi che, dopo i fatti tragici della camera iperbarica, è passato dal gruppo Ligresti nelle mani del gruppo San Donato; e il caso della Clinica Santa Rita, una struttura privata dove si effettuavano interventi chirurgici inutili, che ora è a contratto con il SSL sotto altro nome. Solo per citare i casi più noti, ma l’elenco potrebbe essere molto lungo e aggiornato fino ai nostri giorni.
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