La Neolingua del potere ci trasforma tutti in ‘complottisti’

Le minoranze politiche nei paesi occidentali, consapevoli del rischio di un conflitto a temdo indeterminato, se non direttamente militare ma certamente culturale ed economico, e impegnate a evitarlo in nome della convivenza, del rispetto e dell’autodeterminazione, continuano a subire attacchi mediatici da parte del “potere”, che le etichetta con termini ghettizzanti come “rossobruni”, “populisti” o “complottisti”.

La neolingua mediatica del potere che ghettizza le opposizioni

Partiamo da un assunto ormai metabolizzato dalla gran parte degli osservatori meno inclini alla fascinazione della semplicità del mainstream, ovvero che la neolingua mediatica del potere a cui facciamo riferimento in questo scritto, è uno strumento di propaganda e di controllo sociale che opera principalmente attraverso il linguaggio e mira a ghettizzare e isolare le minoranze politiche interne nei paesi occidentali.

Questi gruppi, spesso percepiti come portatori di istanze di convivenza, autodeterminazione e rispetto, vengono etichettati in modo dispregiativo dai media, che li inquadrano con appellativi ghettizzanti come “complottisti”, “rossobruni”, “populisti”. Questo tipo di retorica e di linguaggio ha lo scopo di marginalizzare le opposizioni, dipingendole come anacronistiche, irrazionali o pericolose.

Ora, essendo molti di noi anagraficamente debitori dell’immaginario novecentesco, e dunque pratici dei racconti di Salgari – e delle relative trasposizioni cinematografiche –  l’immagine dei pirati malesi che, a bordo di fragili giunche , attaccavano le imponenti cannoniere britanniche ci è cara.

Quasi sempre i ‘tigrotti’ di Mompracen venivano sopraffatti, ma a volte riuscivano nell’abbordaggio: sul ponte, nel corpo a corpo, il vantaggio tecnologico britannico si annullava, e lo scontro diventava finalmente equilibrato.

Questo rimando letterario non è solo un nostalgico ricordo giovanile, ma un parallelo con le minoranze politiche odierne che, come quei pirati, si oppongono al “potere” mediatico, tentando di sovvertire la narrazione dominante nonostante l’apparente inferiorità di risorse.

In passato, come accade ancora oggi, il confronto tra chi detiene un potere superiore e chi cerca di resistervi è sempre stato una lotta impari. Tuttavia, quando si arriva al “corpo a corpo” – ovvero a una più diretta interazione tra idee contrapposte – emerge una vulnerabilità del potere che le sole risorse materiali non possono colmare.

La costruzione di una narrativa che giustifica la sottomissione dei deboli da parte dei forti, infatti, non è una novità, ma affonda le radici nella storia dell’imperialismo.

Basterebbe andare a ristudiare la storia della Compagnia delle Indie, una delle prime entità coloniali e commerciali occidentali, che sfruttava la propria superiorità tecnologica per dominare interi popoli, giustificando l’imposizione della propria cultura come “missione civilizzatrice”.

Lo stesso fenomeno è oggi riproposto in una veste diversa, dove il linguaggio mediatico dipinge come “pericolosi” o “irrazionali” coloro che mettono in discussione l’ordine dominante. Questo tipo di neolingua ha un chiaro obiettivo: impedire un dialogo paritario con le opposizioni, riducendole a stereotipi.

Con il declino del dominio militare diretto dell’Occidente, che ha caratterizzato gran parte del XX secolo, il potere si è evoluto in una forma più sottile, economica e culturale, dominata dall’influenza americana. Tuttavia, oggi, alcune nazioni come la Cina hanno riconquistato il vantaggio tecnologico e iniziano a rispondere a quello che viene visto come un nuovo imperialismo.

Questo cambiamento ha portato ad una situazione di tensione globale che i media occidentali trattano con una narrativa bellicosa e predatoria, enfatizzando il pericolo che queste potenze “rivali” rappresenterebbero per la sicurezza globale.

Le minoranze interne ai paesi occidentali che cercano di contrastare questa narrazione intrisa di suprematismo, vengono dipinte dai media come “nemici” interni. L’uso di appellativi come “complottisti”, “rossobruni”, o “sovranisti” serve a costruire una rappresentazione polarizzata della realtà, in cui ogni forma di opposizione all’ideologia dominante viene ghettizzata e ridotta a caricatura. L’intento è quello di ridurre al silenzio queste voci, etichettandole come irrazionali, antiprogressiste o addirittura pericolose per la stabilità del sistema democratico.

Tuttavia, come nell’immagine dei pirati malesi che attaccano le cannoniere britanniche, queste opposizioni non sono totalmente sottomesse: il “corpo a corpo” simbolico rappresenta una possibilità di ribaltamento, un momento in cui la tecnologia e la superiorità materiale si dissolvono di fronte alla forza della volontà e delle idee.

Zela Satti

10/11/2024 https://www.kulturjam.it/

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