La nuova emigrazione italiana tra cause strutturali e grandi aspettative
In Italia, la Grande Recessione del 2008 ha avuto forti conseguenze sulle dinamiche non solo occupazionali, ma anche migratorie. Se, da un lato, ha portato ad un rallentamento dei flussi migratori in ingresso di lavoratori stranieri, dall’altro ha innescato una ripresa, a distanza di diversi decenni, dell’emigrazione di cittadini italiani. Nel 2019 si sono registrati circa 122 mila trasferimenti di residenza all’estero di cittadini italiani, in costante aumento dai circa 40 mila del 2010. Ma al di là degli aspetti quantitativi, destano interesse soprattutto le caratteristiche dei nuovi emigrati: due su tre hanno un’età compresa tra i 20 e i 49 anni e circa un terzo del totale con almeno 25 anni è in possesso della laurea, quota in costante crescita soprattutto tra le donne (ISTAT 2021).
Alla ricerca di opportunità di lavoro e ascesa sociale?
Se la recente crisi economica, i cui contraccolpi sono stati più forti tra i giovani, ha certamente rappresentato un fattore di rottura, la ripresa dell’emigrazione ha, in realtà, radici più profonde. Essa, almeno nella sua componente altamente qualificata, si può infatti interpretare come il risultato della strutturale incapacità del nostro paese di offrire opportunità di lavoro qualificato e stabile. A partire dalla seconda metà degli anni Novanta, a fronte di un aumento considerevole del numero di laureati, la domanda di lavoro non manuale qualificato da parte dell’economia italiana è rimasta sostanzialmente stabile e su livelli relativamente bassi. Questo ha generato un surplus di laureati che faticano a trovare un lavoro corrispondente al loro livello di istruzione (Fullin e Reyneri 2015). Nello stesso periodo, per i giovani laureati sono fortemente aumentati i rischi di instabilità e frammentazione delle carriere lavorative, soprattutto nei primi anni successivi all’uscita dal sistema scolastico (Trivellato 2019). Le scarse opportunità di buona occupazione sono anche distribuite in maniera fortemente diseguale secondo l’origine sociale. L’Italia si caratterizza, infatti, come uno dei paesi economicamente avanzati dove più forte è l’influenza della famiglia di origine sui destini occupazionali dei figli (Ballarino, Barone e Panichella 2016), a prescindere dal livello di istruzione da questi raggiunto.
Le ragioni di questo stato di cose risiedono nelle caratteristiche di un sistema produttivo basato su piccole imprese in settori a basso contenuto di capitale umano, e in cui l’importanza dei legami personali e familiari è centrale nei processi di reclutamento. Ciononostante, gli italiani entrati nel mercato del lavoro durante gli anni del “miracolo economico”, periodo in cui persino l’associazione tra la classe sociale dei padri e quella dei figli si era affievolita (Barone e Guetto 2016), avevano sperimentato un deciso miglioramento nelle condizioni di lavoro e di vita, rispetto alle generazioni precedenti. E fino alla prima metà degli anni Ottanta una laurea ha continuato ad assicurare un “buon lavoro” sia in termini di stabilità che di qualificazione professionale. Questi trend, tuttavia, si sono arrestati tra le coorti più giovani, proprio quando i figli (e sopratutto le figlie) dei baby boomers iniziavano a investire in istruzione universitaria nell’aspettativa di raggiungere condizioni di vita pari (o superiori) a quelle dei propri genitori.
Il ruolo di immaginari e rappresentazioni sociali
Analisi empiriche mostrano che la scelta di emigrare dei laureati italiani è associata a indubbi e sostanziali ritorni, in termini di una maggiore probabilità di svolgere un lavoro qualificato, soddisfazione per il lavoro e salari più elevati, rispetto alle loro controparti che, terminati gli studi, sono rimaste in Italia (Assirelli, Barone e Recchi 2019). Tuttavia, queste evidenze, così come le condizioni strutturali che producono una mancanza oggettiva di opportunità di buona occupazione nel nostro paese, non sono, di per sé, sufficienti a fornire una spiegazione esaustiva della nuova emigrazione.
Innanzitutto, le migrazioni comportano sempre dei costi, di natura economica ma anche psicologica e sociale. Ma, soprattutto, l’“eccesso” di laureati e la progressiva riduzione dei ritorni occupazionali della laurea non contribuiscono a spiegare perché le nuove emigrazioni, dall’Italia come da altri paesi dell’Europa meridionale, coinvolgano anche molti individui a media e bassa qualificazione.
In realtà, le decisioni individuali di emigrare sono solo in parte determinate da valutazioni razionali sui costi e i benefici della migrazione, essendo influenzate anche da “immaginari”, ovvero rappresentazioni sociali condivise sia del luogo di origine che, soprattutto, delle potenziali destinazioni. Nel caso della nuova emigrazioni degli italiani, un ruolo decisivo nel dare forma a tali rappresentazioni è svolto dai (social) media. È questo uno dei risultati principali di una serie di studi qualitativi svolti all’interno di un progetto europeo intitolato “Growth, Equal Opportunities, Migration and Markets” (GEMM). L’obiettivo di questi studi (Coletto e Fullin 2019; Dimitriadis, Fullin e Fischer-Souan 2019) era indagare le motivazioni sottostanti alla decisione di emigrare di individui originari da paesi dell’Europa meridionale (Italia e Spagna) e orientale (Romania e Bulgaria), con livelli di istruzione ed esperienze lavorative diversi, intervistati prima e dopo la migrazione verso Germania e Gran Bretagna.
Prima della partenza: le rappresentazioni dei paesi di origine e di destinazione
Prima della partenza, i paesi di destinazione, e l’Unione Europea in generale, sono descritti dagli intervistati come uno “spazio di libero movimento”. I futuri emigranti vedono lo spostamento verso altri paesi dell’Unione Europea come una scelta facilmente reversibile, e anche per questo i tempi di preparazione alla migrazione sono relativamente rapidi, anche alla luce di una percezione di bassi costi ad essa associati. A facilitare ulteriormente la decisione, e ad abbassarne ulteriormente i costi percepiti, contribuiscono specifiche rappresentazioni positive non già dei paesi di destinazione nel complesso, ma delle grandi “città globali” europee: Londra e Berlino, tra le mete preferite degli emigranti italiani, sono descritte come realtà “aperte”, “vivaci” e “dinamiche”. Ed è emerso, a questo proposito, il ruolo centrale dei social media, in particolare dei gruppi Facebook (“Italiani a Londra”) che, da un lato, fungono da reti per ottenere informazioni su come trovare lavoro o un luogo in cui vivere da persone già espatriate; dall’altro, rappresentano dei catalizzatori di narrazioni positive dei luoghi di destinazione, dato che vengono descritte soprattutto le esperienze di successo.
Fanno da contraltare a queste rappresentazioni positive le rappresentazioni molto negative dei paesi di origine, descritti come “senza speranza”. Tali rappresentazioni sono rafforzate dalla “spettacolarizzazione” della crisi economica: gli intervistati hanno fatto esplicito riferimento alla narrazione mediatica della Grande Recessione e delle sue conseguenze tra i fattori influenzanti la decisione di emigrare. Più che dalla mancanza di lavoro, la decisione di emigrare viene motivata dalla diffusa precarietà e da condizioni di lavoro considerate inaccettabili, non solo da un punto di vista economico: la mancanza di meritocrazia, infatti, viene chiamata in causa spessissimo dai futuri emigranti. Italia e Spagna sono descritti come paesi che non riconoscono il talento, soprattutto a causa delle pratiche nepotistiche di reclutamento.
Tuttavia, è importante sottolineare come questa narrazione sia spesso il frutto di una percezione indiretta e astratta di “mancanza di meritocrazia”, senza che le persone abbiamo sperimentato direttamente episodi di nepotismo.
Le grandi aspettative alla prova dei fatti
Un aspetto fondamentale sottostante alle rappresentazioni positive dei paesi di destinazione e a quelle negative dei paesi di origine è che esse si configurano come una retorica generalizzata, condivisa egualmente da soggetti con alta e medio-bassa qualificazione, nonostante i vantaggi della migrazione, per questi ultimi, siano tutt’altro che scontati.
Le grandi aspettative che gli emigranti hanno non appena giunti nei paesi di destinazione trovano spesso un riscontro positivo tra quanti avevano già un’offerta di lavoro soddisfacente prima di emigrare. È questo un caso piuttosto comune tra i laureati, che prediligono canali istituzionali di ricerca del lavoro, soprattutto tra quanti avevano già avuto un’esperienza all’estero, ad esempio un Erasmus durante gli studi universitari. Ma in molti altri casi dopo la partenza non sono infrequenti esperienze di lavoro nell’economia informale, in settori poco qualificati e in condizioni di lavoro disagevoli. È questa una situazione molto comune tra i migranti con basso titolo di studio, per i quali svolgono un ruolo decisivo i contatti informali con amici e parenti che sono già emigrati in precedenza, sia nella decisione di emigrare che nella ricerca di lavoro una volta emigrati.
Tuttavia, anche occupazioni non migliori di quelle che i migranti a medio-bassa qualificazione avrebbero potuto trovare in Italia sono riviste alla luce della narrazione positiva che circonda i paesi di destinazione. Esse, infatti, sono interpretate come “utili esperienze” nella speranza di poter successivamente migliorare la propria condizione, in contesti come Londra e Berlino, ricchi di opportunità e in cui i datori di lavoro favoriscono il “talento”.
Conclusioni: l’emigrazione come foriera di nuove disuguaglianze
I laureati italiani che emigrano all’estero hanno mediamente accesso a occupazioni più soddisfacenti e remunerative. Ma tali esperienze di successo sono selettive: più frequenti tra gli uomini, tra i laureati negli atenei del Nord, e di origini sociali più elevate (Assirelli, Barone e Recchi 2019), un profilo opposto a quello maggiormente a rischio di esclusione sociale nel nostro paese.
La decisione di emigrare nasce spesso all’incrocio tra narrazioni negative del paese di origine e narrazioni positive dei paesi di destinazione visti come “Eldorado” di opportunità, favorite dai (social) media e generatrici di grandi aspettative anche tra i lavoratori con basso titolo di studio. Aspettative che spesso si scontrano con la realtà di lavori precari e poco qualificati che non sempre apportano reali miglioramenti nelle condizioni lavorative e di vita.
Per saperne di più
Gemm project – growth, equal opportunities, migration and markets
G. Assirelli, C. Barone e E. Recchi (2019). “You better move on”: Determinants and labor market outcomes of graduate migration from Italy. In International Migration Review 53(1): 4-25.
G. Ballarino, C. Barone e N. Panichella (2016). Origini sociali e occupazione in Italia. In Rassegna Italiana di Sociologia 57(1): 103-134.
C. Barone e R. Guetto (2016). Verso una meritocrazia dell’istruzione? Inerzia e mutamento nei legami tra origini sociali, opportunità di studio e destini lavorativi in Italia. In Polis 30(1): 5-34.
D. Coletto e G. Fullin (2019).Before Landing: How Do New European Emigrants Prepare Their Departure and Imagine Their Destinations? In Social Inclusion 7(4): 39-48.
I. Dimitriadis, G. Fullin e M. Fischer-Souan (2019).Great Expectations? Young Southern Europeans Emigrating in Times of Crisis. In Mondi Migranti 3: 127-151.
G. Fullin, E. Reyneri (2015). Mezzo secolo di primi lavori dei giovani. Per una storia del mercato del lavoro italiano. In Stato e Mercato 105(3): 419-468.
ISTAT (2021). Iscrizioni e cancellazioni anagrafiche della popolazione residente, 2019. Statistiche Report.
U. Trivellato (2019). Per troppi giovani la buona occupazione è diventata un miraggio. Evidenze da uno studio pilota. Neodemos.
Raffaele Guetto
16/2/2021 https://www.neodemos.info
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