La Palestina contro un mondo di eco-apartheid

Seconda parte

( Prima parte – https://www.blog-lavoroesalute.org/la-palestina-contro-un-mondo-di-eco-apartheid/ )

Il mondo sta assistendo al tramonto del mito di un ordine internazionale basato sulle regole, cancellato dalla distruzione di Gaza da parte di Israele e dall’ostinazione del popolo palestinese nel rivendicare la propria umanità.

di Vijay Kolinjivadi e Asmaa Ashraf, 17 novembre 2024

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Copertina: Una panoramica generale della distruzione nelle vicinanze dell’ospedale Al-Shifa, a seguito di un’operazione militare israeliana durata due settimane nella città di Gaza, il 2 aprile 2024. (Credito immagine: © OMAR ISHAQ/DPA VIA ZUMA PRESS APA IMAGES)

Per la classe dirigente, il cambiamento climatico significa solo più corpi da sacrificare

Che cosa c’è di nuovo nella nostra attuale congiuntura? Cosa caratterizza la nuova era dell’imperialismo statunitense in cui siamo entrati? La risposta è l’abbandono anche delle più modeste pretese di un ordine internazionale basato su regole: una situazione in cui le regole valgono per tutti tranne che per le potenze coloniali che hanno inflitto 500 anni di violenza al pianeta e ai suoi abitanti e il cui modus operandi di frammentare l’umanità per estrarre manodopera e risorse si basa sull’idea di supremazia bianca. Lo storico Enzo Traverso sostiene che questo stato di eccezione per le potenze colonizzatrici è un’implicita ammissione di immoralità. Implica la trasgressione selettiva delle leggi, in cui tutti i diritti e le libertà civili, così come le regole fondamentali dell’ordine pubblico, possono essere smantellati in nome della salvaguardia del futuro dell’impero che contrasta il proprio declino.

Le implicazioni di questo esercizio selettivo di immoralità sono assolutamente terrificanti in un’era in cui i sistemi di supporto della vita sulla terra rischiano di sgretolarsi a causa del collasso ecologico. E qui sta la chiave per comprendere l’eco-apartheid, mentre assistiamo agli orrori che si stanno verificando a Gaza. È finita l’era delle rivendicazioni occidentali di umanità, sostenibilità e diritti civili (se mai sono stati validi): vediamo invece il riconoscimento che questi diritti appartengono solo a pochi e che l’“altro” deve essere sacrificato per salvare questo ordine morente.

Gustavo Petro e altri che hanno tracciato un parallelo tra il genocidio in corso a Gaza e un sistema globale di “eco-apartheid” non stanno facendo un paragone semplicistico. L’estate del 2024 ha visto record di caldo a livello mondiale senza precedenti, superando i 50°C in ampie zone del Sud del Mondo, tra cui Egitto e Messico. Inondazioni e incendi hanno devastato vaste porzioni del mondo, anche nel cuore dell’impero nel sud degli Stati Uniti, danneggiando in modo sproporzionato le persone razializzate, così come la classe lavoratrice bianca, persone la cui vita lavorativa è stata sfruttata con poche compensazioni o reti di sicurezza.

Un mondo in cui grandi quantità di persone sono sfollate a causa del cambiamento climatico non è un’ipotesi lontana, ma è il nostro “futuro immediato” (nelle parole di Gustavo Petro) se la produzione di combustibili fossili continuerà senza sosta, come vuole il ministro dell’Energia saudita, che ha promesso che “si estrarrà ogni molecola di idrocarburo”. L’entità dell’esodo di persone a causa di caldo estremo, siccità e carestie ha indotto alcuni scienziati a lanciare il grido di allarme contro la disgregazione sociale e quella ecologica (Xu et al., 2020). Queste persone sfollate a causa del clima stanno già subendo leggi anti-immigrazione da parte di un’agenda di destra che si è rafforzata in tutto il mondo, dalla Turchia all’India, dalle Filippine agli Stati Uniti, al Regno Unito e all’Unione Europea. Queste leggi vengono attuate materialmente attraverso confini militarizzati progettati per uccidere, lasciando annegare, facendo morire di fame e poi usando migranti e rifugiati come capri espiatori per tutti i mali del capitalismo.

La violenza di questo futuro immediato è già in atto ed è sempre più legittimata da discorsi che inquadrano il cambiamento climatico come una questione di sicurezza nazionale. Intanto che le nazioni occidentali continuano a fortificare i loro confini contro i migranti e i rifugiati climatici, contemporaneamente continuano a superare la loro percentuale di emissioni di carbonio. Se il bilancio globale del carbonio dovesse essere diviso equamente tra la popolazione mondiale, gli Stati Uniti, considerando le loro emissioni pro capite storicamente elevate, avrebbero superato di un fattore compreso tra 4 e 10 (Fanning e Hickel, 2023) la loro quota dovuta. Nel frattempo, le nazioni povere del Sud globale probabilmente non raggiungeranno mai il 100% del loro budget nazionale per le emissioni di carbonio. Eppure è sui loro corpi che si faranno sentire gli impatti più crudeli del cambiamento climatico e delle politiche ecologiche imposte dalla scarsità.

Nessuna popolazione, ricca o povera, sceglie la condizione di rifugiato piuttosto che la sovranità e l’autonomia sulle proprie terre, sulla propria cultura e sul proprio modo di conoscere il mondo. La pressione a lasciare la propria casa a causa di guerre, espropriazioni forzate durante l’accaparramento di terre agricole o progetti minerari, o altre crisi indotte dal clima è una condizione imposta a coloro che sono considerati dalle potenze coloniali come “popolazioni eccedenti” del mondo. Sono intrappolati in zone di sacrificio e sfruttati al massimo come manodopera di riserva dell’esercito (se sono fortunati). Ma quando le nazioni colonizzate formano un fronte di resistenza anticoloniale, quando tentano di svincolare le loro economie dal sistema mondiale imperialista, quando esprimono il loro diritto a resistere allo sfruttamento del loro lavoro e delle loro risorse naturali, l’Occidente “è pronto a rispondere con la morte”, come ha affermato Gustavo Petro. Lo vediamo in Palestina, ad Abya Yala, in Libano, in Iran e in tutto il continente africano, dove le lotte di liberazione nazionale vengono demonizzate e minate. Nel caso della Palestina, la resistenza è stata affrontata con più di un anno di bombardamenti a tappeto.

Un chiodo nella bara della “moralità” occidentale

Nel gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia (CIG) ha emesso una sentenza provvisoria che ordinava a Israele di adottare misure per “prevenire atti di genocidio”, dopo che il Sudafrica aveva presentato un argomentato ricorso. A quasi un anno di distanza, la sentenza è diventata un simbolo della subordinazione di tutte le istituzioni di governance multilaterale agli interessi e alla volontà degli Stati Uniti. Ha dimostrato il loro abissale fallimento come strumenti di democrazia globale. La posizione e gli sforzi delle Nazioni Unite durante il genocidio sono stati, nella migliore delle ipotesi, tristemente insufficienti. Cinquantotto giorni dopo l’inizio del massacro indiscriminato dei palestinesi a Gaza, Antonio Guterres, il Segretario generale delle Nazioni Unite, ha invocato l’articolo 99 – uno strumento che non veniva usato dal 1989 – per convocare una riunione del Consiglio di sicurezza “per evitare una catastrofe umanitaria a Gaza”. In particolare, Gutierres ha continuato a inquadrare la situazione come una catastrofe umanitaria, piuttosto che come un genocidio deliberato da parte di una forza di occupazione sostenuta dall’Occidente contro una popolazione autoctona.

Dall’ottobre 2023, gli Stati Uniti hanno posto il veto a quattro risoluzioni di cessate il fuoco in seno al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Le prime due di queste in realtà non chiedevano un cessate il fuoco completo, ma semplicemente delle pause nei combattimenti per consegnare gli aiuti umanitari. La capacità di un singolo Stato, a causa della sua egemonia militare ed economica, di porre il veto a risoluzioni di cessate il fuoco che mirano a condannare – almeno simbolicamente – un genocidio in corso dimostra chiaramente la totale impotenza delle Nazioni Unite e, per estensione, il fallimento totale del multilateralismo in un sistema mondiale definito dall’imperialismo a guida statunitense.

Ancora più grave è il modo in cui viene ignorata e negata la Risoluzione n. 3103 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1973, relativa al diritto dei popoli di resistere all’occupazione e all’oppressione. Dopo 76 anni di occupazione, pulizia etnica e condizioni disumanizzanti e prolungate di violento apartheid, ci si aspetta che i palestinesi siano docili e sottomessi di fronte ai loro oppressori. Analogamente all’aspettativa che coloro che vivono in ghetti degradati e sottoposti a pogrom religiosi o razziali, o coloro che sono costretti a imbarcarsi su navi negriere o vivere in riserve, piantagioni o campi di concentramento, non debbano mai aspirare a liberarsi dalle catene della loro oppressione, ci si aspetta che i palestinesi si arrendano alla “missione civilizzatrice” e accettino il loro destino di barbari “animali umani”.

Nel maggio 2024, il Procuratore della Corte penale internazionale ha presentato richiesta di mandato di arresto per i leader di Hamas e per i criminali di guerra israeliani Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant. L’equivalenza insita nel paragonare la violenza coloniale israeliana con la resistenza palestinese a decenni di pulizia etnica, apartheid, bombardamenti ripetuti, accaparramento di terre, restrizioni idriche e omicidi impuniti invoca un falso senso di neutralità della legge. In questo modo si maschera completamente l’entità della morte e del terrore continui che lo Stato sionista ha imposto ai palestinesi dal 1948, e anche prima. Eppure, anche questo tentativo di falsa neutralità, con tutti i suoi indicibili difetti, non ha portato all’arresto dei criminali di guerra israeliani (al momento in cui scriviamo, la Corte non ha emesso mandati di arresto per loro).

Il brutale massacro di decine di migliaia di persone nel corso di un anno, in quello che è il genocidio più trasmesso e filmato della storia dell’umanità, è visto semplicemente come il costo da sostenere per mantenere il regime terrorizzante dell’apartheid, di devastazione ecologica e genocidio sponsorizzato dagli Stati Uniti e dall’Europa occidentale, rappresentato dallo Stato di Israele.

La normalizzazione combinata del genocidio e la criminalizzazione dei manifestanti nelle università e nelle istituzioni di tutto il mondo che chiedono il disinvestimento dalla macchina da guerra genocida rende nullo qualsiasi effetto redentore dell’azione delle società occidentali su altre cause morali e sociali – siano esse relative ai diritti umani, alla giustizia, al femminismo, alla sostenibilità o all’uguaglianza. In altre parole, è impossibile sostenere la diversità, l’equità o l’inclusione quando si sta sviluppando una tecnologia AI che consente ai cecchini di mirare con maggiore precisione ai corpi dei bambini e quando si spediscono armi per uccidere 100 palestinesi al giorno.

La falsa commistione tra la critica alla politica di uno Stato e la critica a un popolo o a una religione, amplificata dalla strumentalizzazione del dolore e del trauma storico del popolo ebraico a seguito dell’Olocausto nell’Europa occidentale per consentire il genocidio in Palestina, sono grottesche tattiche di manipolazione che giustificano la pretesa assolutamente demoniaca che l’uccisione di decine di migliaia di palestinesi sia in qualche modo un’autodifesa. Nel frattempo, i suprematisti bianchi e i fascisti di estrema destra in Europa e in Nord America, che perpetuano atti di antisemitismo, si danno alla pazza gioia avendo trovato nel progetto sionista il loro ambasciatore perfetto per proteggersi dalle accuse, scaricando la colpa sui palestinesi e sui sostenitori dei palestinesi.

L’accettazione – nonché l’incoraggiamento e il sostegno – dell’attuale genocidio a Gaza dimostra in modo cruciale e doloroso come il dolore indicibile e la sofferenza derivanti dai bombardamenti di scuole, ospedali, dall’uccisione in massa di bambini, tra le altre depravazioni, siano visti come medaglie al valore per il Team America. Le implicazioni sono significative. Se la mostruosità a cui stiamo assistendo a Gaza viene accettata – e persino glorificata – anche da coloro che si dichiarano “progressisti”, è molto improbabile che la violenza molto più lunga e lenta sperimentata dalla maggioranza della popolazione globale come risultato del collasso ecologico e del cambiamento climatico possa suscitare qualsiasi tipo di simpatia da parte della classe dirigente. Le compagnie petrolifere e del gas, le compagnie Big Tech, i produttori di armi e gli speculatori immobiliari possono trarre profitti a cascata da nuove concessioni e vendite nella Striscia di Gaza e nei suoi dintorni. Sono proprio questi interessi a costituire la spina dorsale di un’economia globale che sta distruggendo il pianeta per vendere il bottino al miglior offerente. In questo contesto, il rifiuto dei Paesi occidentali di accettare la sentenza della Corte internazionale di giustizia sul rischio di genocidio a Gaza dimostra che nulla si opporrà al profitto e al dominio – certamente non i diritti umani, il dissesto ecologico e la catastrofe climatica.

Gaza ha pertanto ribadito l’eterna verità che il diritto internazionale e la moralità occidentale non potranno mai essere invocati per alleviare le nostre crisi – politiche, socio-economiche o ecologiche. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), la sua Conferenza delle Parti (COP) e gli accordi avanzati dalle principali economie globali sono stati a lungo considerati come le uniche vie legittime per affrontare i cambiamenti climatici a livello globale. Ma l’era delle pretese occidentali alla democrazia, al multilateralismo e alla collaborazione internazionale è finita: il loro completo fallimento nel fermare il massacro del popolo palestinese e nel fare collegamenti cruciali tra genocidio ed ecocidio, l’hanno chiusa.

Il mondo sta assistendo al tramonto del mito di un ordine internazionale basato sulle regole, cancellato dalla distruzione di Gaza da parte di Israele e dall’ostinazione del popolo palestinese nel rivendicare la propria umanità.

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

4/12/2024 https://www.invictapalestina.org

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