La Palestina contro un mondo di eco-apartheid

Terza parte

Prima parte – https://www.blog-lavoroesalute.org/la-palestina-contro-un-mondo-di-eco-apartheid/

Seconda parte – https://www.blog-lavoroesalute.org/la-palestina-contro-un-mondo-di-eco-apartheid-2/

In breve, il mondo dell’eco-apartheid è un mondo in cui non c’è spazio per la moralità. Comporta giustificazioni grottesche per la disumanizzazione di vaste porzioni di umanità, in modo che le classi dirigenti possano proclamare di servire l’interesse pubblico difendendosi dalle minacce alla sicurezza nazionale che sono totalmente responsabili di aver generato.

di Vijay Kolinjivadi e Asmaa Ashraf, 17 novembre 2024

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Copertina: Una panoramica generale della distruzione nelle vicinanze dell’ospedale Al-Shifa, a seguito di un’operazione militare israeliana durata due settimane nella città di Gaza, il 2 aprile 2024. (Credito immagine: © OMAR ISHAQ/DPA VIA ZUMA PRESS APA IMAGES)

Il futuro coloniale dell’eco-apartheid

L’annientamento della popolazione della Striscia di Gaza come banale sfondo ai piani di produttività e di vacanza di nordamericani, europei occidentali, paesi del Golfo e altri che traggono profitto dall’ordine imperiale euroamericano offre un assaggio di ciò che accadrà in una situazione di collasso ecologico globale. Abbiamo già visto questo atteggiamento profondamente blasé durante i blocchi della pandemia Covid-19, quando milioni di persone povere e razzializzate sono state deliberatamente messe in pericolo sia all’interno dei Paesi occidentali sia nel Sud globale per fornire i servizi essenziali alle classi medie e alle élite bianche e affini, al fine di mantenere i loro comodi stili di vita e garantire loro le vacanze da sogno nel periodo post-pandemia. Il pianeta sta subendo l’impatto di un’orchestrazione globale sempre più rapida nell’estrazione delle risorse e nello sfruttamento della manodopera, regolata sulla velocità della luce dai clic dei computer e associata all’apprendimento informatico che detta sempre più le linee di approvvigionamento globali. Il Global Circularity Report 2024 evidenzia che solo tra il 2016 e il 2021 l’economia globale ha consumato 582 miliardi di tonnellate di materiali, circa il 75% di tutti quelli consumati nell’intero XX secolo (740 miliardi di tonnellate)! Piuttosto che temperare questa gargantuesca accelerazione dell’uso di materiali ed energia per arrestare il collasso ecologico a beneficio dell’umanità, le classi dominanti stanno inquadrando le conseguenze di questa crescita del tutto insostenibile come il moltiplicarsi di “minacce alla sicurezza” che devono essere gestite, tra cui i movimenti di migranti non qualificati e di richiedenti asilo e le invasioni geopolitiche da parte dei nemici dell’ordine imperiale occidentale. Faranno di tutto per incanalare questa enorme accelerazione del consumo materiale verso sé stessi, a tutti i costi.

Negli ultimi anni, gli scienziati del clima hanno fatto sempre più spesso riferimento al consolidamento della policrisi, una congiuntura di contraddizioni economiche e socioecologiche che convergono e sono difficili da districare. La policrisi viene inquadrata dalla classe dirigente come un rischio per la sicurezza, in cui le varie minacce che sconvolgono lo status quo e su cui si basano le previsioni di crescita finanziaria si amplificano a vicenda. Insieme, minacce spesso intese come “esterne” all’attività economica o come conseguenze negative involontarie della crescita – come lo sfruttamento eccessivo dei suoli e delle falde acquifere sotterranee, l’estrema disuguaglianza dei redditi, le ricadute zoonotiche che portano alle pandemie, l’innalzamento del livello dei mari e l’aggravarsi di siccità, inondazioni e incendi – rischiano di interrompere il funzionamento ininterrotto del business-as-usual. Eppure, queste conseguenze non vengono mai percepite come segnali di allarme per il sistema stesso. Al contrario, sono viste solo come minacce da gestire da un ordine politico ed economico che non ha alcuna intenzione di modificare la rotta o di rispondere adeguatamente alle proprie contraddizioni. Tra queste, il cambiamento climatico inarrestabile associato all’illusione che la crescita possa essere disgiunta dall’impatto ambientale su scala globale, l’aumento permanente del costo della vita e un’estrema destra più forte.

Ma il collasso ecologico globale – che va dalla sesta estinzione di massa allo scioglimento del permafrost artico, all’esaurimento della materia organica del suolo, fondamentale per la produzione di cibo, agli enormi cambiamenti nella temperatura e nell’acidità degli oceani e, naturalmente, ai cambiamenti climatici su una scala che in precedenza richiedeva più di un milione di anni, che si sono verificati in appena mezzo secolo – riflette il culmine di cinque secoli di incanalamento delle risorse e di sfruttamento della manodopera a beneficio di poche élite. Questa ricaduta ecologica è ciò che la studiosa Farhana Sultana ha definito “colonialità climatica” (Sultana, 2022). Se riusciamo a immaginare 500 anni di conquista coloniale che succhiano la vitalità dai corpi umani sfruttati per il lavoro e dalla terra come risorse estraibili da trasferire a pochi privilegiati, lasciando solo terra arida, ossa e membra disseminate nelle terre incolte generate, potremmo immaginare il cambiamento climatico come una pioggia di queste conseguenze, ultra-concentrata nel tempo geologico (o forse un vomito), che brucia, inonda e soffoca quelle stesse terre e quelle persone la cui vitalità è stata inizialmente risucchiata da questo processo.

Sebbene possa sembrare che l’élite cosiddetta “progressista” all’interno della classe dirigente sia in contrasto con un’estrema destra sfacciata su come gestire questa vomitevole pioggia di policrisi, i due sono molto più vicini negli atteggiamenti e nell’approccio di quanto possa sembrare. La classe dirigente difende gli interessi del capitale e del colonialismo di insediamento, a prescindere dal fatto che il risultato sia un fascismo autoritario o un fascismo di facciata. Non gliene importa nulla. Dal punto di vista del sostegno alla struttura dell’ordine imperialista statunitense, i liberali di centro-moderato e l’estrema destra hanno sistematicamente smantellato il processo decisionale e la pianificazione democratica attraverso la finanziarizzazione, alimentato il militarismo globale e la guerra e dato potere ai miliardari sociopatici di gestire la società. Si differenziano solo per il logo o l’impacchettamento politico che vendono al pubblico attraverso il circo della politica elettorale. La sconfitta della candidata democratica Kamala Harris alle elezioni statunitensi è il risultato di un ordine liberale tronfio e decrepito che elogia la presenza di una forza militare “letale”, l’incarcerazione di bambini neri e immigrati e che dice alla gente di accettare l’equivalente di sedute psicologiche mentre viene derubata di cibo e abitazioni a prezzi accessibili in un mondo al collasso ecologico, e afferma di essere l’assassino moralmente onesto dei bambini palestinesi. L’ipocrisia alla fine è diventata troppo grande da digerire. Sia i centristi che l’estrema destra promettono alle popolazioni la capacità di evitare il peggiore degli impatti che hanno creato, in quanto responsabili e figli del progetto di civilizzazione che ha generato volumi di violenza indicibili. In realtà, però, queste promesse sono garantite solo all’élite, indipendentemente dal partito in questione. Per assicurarsi che il pubblico accetti l’idea che i benefici saranno per tutti i cittadini, viene detto loro che devono accettare alcuni sacrifici, tra cui la rimozione delle libertà civili, la spedizione dei migranti in altri Paesi, le trivellazioni per ottenere più petrolio, il controllo sul corpo delle donne, la misurazione dei prezzi degli alimenti, i costi immobiliari gonfiati e l’accumulo di debiti per sostenere i futures sulle materie prime e altre forme di speculazione (che generano ulteriori cicli di indebitamento). Al contrario, le persone molto ricche non devono affrontare nessuno di questi sacrifici.

Per la classe dirigente, l’energia rinnovabile è un’opportunità per sostenere le proprie attività commerciali primarie. Convincono continuamente l’opinione pubblica che le nuove soluzioni energetiche sono benvenute, perché forniscono una sorta di supplemento di nicchia all’estrazione di petrolio e gas in continua espansione e perché creano nuovi beni e servizi commerciabili (cioè false soluzioni climatiche) come le obbligazioni di resilienza climatica, le compensazioni di carbonio e le tecnologie di geoingegneria. In nome dell’efficienza economica viene data carta bianca all’apprendimento automatico, che consuma molta acqua ed energia, nonostante i rischi esistenziali che comporta per gli ultimi baluardi della democrazia, dei diritti umani e dei sistemi di supporto vitale. Allo stesso modo, l’opinione pubblica deve accettare che miliardi di dollari di investimenti nella militarizzazione sono necessari per “contrastare il terrorismo”, mentre la sicurezza privata e più fondi alla polizia sono necessari per “rimuovere gli agenti criminali” – una categoria che può essere estesa a chiunque si opponga all’uccisione di popolazioni in esubero e che ostacoli i resort di ecoturismo, gli aeroporti internazionali e le proprietà sul lungomare.

Una delle risposte più perverse alle policrisi che il pianeta sta affrontando è l’intersezione tra il discorso “verde” e “sostenibilità” e l’espansione del colonialismo di insediamento e dell’imperialismo delle risorse in tutto il mondo. Mascherando la cancellazione genocida delle popolazioni attraverso, ad esempio, nuovi pannelli solari, resort eco-turistici che consentono ai visitatori di avvicinarsi alla fauna selvatica, turbine eoliche ed edifici “climate-smart” (che sono essenzialmente esperimenti di sorveglianza), coloro che hanno le mani sporche di sangue dell’impero possono presentarsi come amanti e protettori del mondo naturale. In realtà, le loro “ecologie” igienizzate sono vere aspirazioni – è solo che non sono pensate per la gente comune. In effetti, la gente comune verrà allontanata con la forza, abbandonata a sé stessa a fronteggiare uragani sempre più violenti, siccità atroci e raccolti fallimentari, bruciata negli incendi (proprio come i bambini di Gaza vengono bruciati vivi da Israele) o costretta a lavorare all’aperto a temperature raramente viste su questo pianeta (tra le altre forme di tortura). In breve, si possono eliminare, bruciare, annegare e bombare- sia per i cambiamenti climatici che con le munizioni al fosforo bianco – come parte del processo di cancellazione delle popolazioni per far posto a proprietà immobiliari “verdi” e “intelligenti dal punto di vista climatico” o per altri accaparramenti speculativi di terre.

Le “ecologie” igienizzate che scartano persone e natura indesiderate non sono una novità. Gli spazi bianchi pesantemente fortificati nelle città degli Stati Uniti sono stati costruiti sulle spalle della manodopera urbana nera, di carnagione scura e indigena, negando sistematicamente a questi lavoratori un salario di sussistenza, la voce in capitolo negli affari pubblici e il controllo della terra. Come scrivono le studiose abolizioniste nere Ashanté Reese e Symone Johnson, le risorse che avrebbero potuto fornire a queste persone servizi pubblici, scuole decenti, cibo, trasporti e alloggi sono state dirottate verso bilanci gonfiati della polizia e prigioni istituzionalmente progettate per sorvegliare e opprimere i corpi neri (Reese e Johnson, 2022). Altrove, come descrive The Red Nation – una coalizione di attivisti nativi e non nativi, educatori, studenti e organizzatori di comunità – interi Paesi, come il cosiddetto Canada, sono stati creati invadendo e occupando la terra delle nazioni indigene, che sono state poi costrette a rinunciare alla loro lingua e alle loro conoscenze attraverso una brutale istruzione scolastica, fino a cancellare l’“indiano” che è in loro e a renderlo accettabile per il colonizzatore euro-americano, con effetti disastrosi (The Red Nation, 2021). L’apartheid, negli Stati Uniti, in Sudafrica, in Israele e altrove, ha creato e continua a consolidare un ordine istituzionale legalizzato di segregazione che privilegia alcune persone, sulla base di linee di purezza razziali o etniche e religiose di purezza percepita, rispetto ad altre – che sono state deliberatamente sottoposte a oppressione fisica e psicologica, violazione e sfruttamento.

L’eco-apartheid fa leva su immaginari come la “sostenibilità” e l’“ecocompatibilità” per sostenere il futuro di una minoranza, istituzionalizzando al contempo una struttura legale, politica ed economica costruita attorno all’idea di “sicurezza nazionale”. Tutto ciò avviene davanti al collasso dei sistemi di supporto alla vita sulla Terra, con l’obiettivo di respingere deliberatamente le persone e la natura indesiderate o di metterle direttamente in pericolo. Come scrive l’ecologista politico Kai Heron, l’eco-apartheid rende lecita la morte di determinate persone “affinché il capitalismo possa vivere” (Heron, 2024). Finge di essere innocente, intraprendendo azioni che vengono discorsivamente inquadrate come “decisioni difficili” che devono essere prese per proteggere la società da minacce che essa stessa ha creato.

L’eco-apartheid riproduce l’isolamento delle persone indesiderate attraverso ghetti, township, piantagioni o riserve che riflettono le eredità del colonialismo, del capitalismo razziale e del genocidio delle popolazioni indigene. Tuttavia, la particolarità dell’eco-apartheid è che sfrutta gli immaginari della “natura” – come la conservazione, la piantumazione di alberi, l’energia solare ed eolica e l’elettrificazione – come status symbol per convogliare il cibo, l’acqua, i trasporti e le altre risorse rimanenti verso pochi, mentre dipende dai disastri climatici ed ecologici e dalla guerra per gestire le popolazioni in eccesso. Nel complesso, questa forma di apartheid, che separa la classe dirigente che vive in enclave d’élite dalla stragrande maggioranza della popolazione, di fronte alle crescenti dislocazioni climatiche, viene inquadrata in termini di interessi di sicurezza nazionale – si dice che sia nell’“interesse di tutti”. Gaza, in quanto luogo di lotta anticoloniale che ha rotto e messo a nudo la violenza duratura del capitalismo razziale, mette in evidenza la misura in cui i cosiddetti progressisti in Occidente, che sposano concetti come equità, diritti umani, sostenibilità e diversità, normalizzano i massacri di massa quando i sistemi che sostengono i loro privilegi sono a rischio. Non c’è limite al tipo di violenza possibile quando il linguaggio e la cultura dell’innocenza falliscono nel garantire interessi geopolitici strategici.

Greenwashing, manipolazione e repressione

Poiché nuove forme di frammentazione di classe separano i meritevoli dagli immeritevoli, le persone della classe media dovranno ottenere un accesso sufficiente al capitale (sia finanziario che sociale) per evitare di cadere nella categoria degli usa e getta: per esempio, i lavoratori bianchi della classe operaia e soprattutto i lavoratori migranti neri e di carnagione scura, il cui principale “valore” per il capitale è l’economicità del loro lavoro. In un mondo di crescente disuguaglianza e ricadute ecologiche, mantenere lo status quo richiederà illusioni sempre più fantasiose di “sostenibilità”, per giustificare il nesso genocidio-ecocidio. Queste illusioni continueranno a mantenere la “massima tranquillità” per coloro che vivono in condomini “resilienti al clima” in zone di lusso, caratterizzate da verde lussureggiante, esercizi commerciali e di vendita al dettaglio e sicurezza privata 24 ore al giorno. Il divario tra queste fantastiche distopie di stili di vita “sostenibili” e la misera esperienza vissuta dalla stragrande maggioranza dell’umanità richiederà livelli assurdi di creazione di miti sul pianeta in cui viviamo.

L’Azerbaigian, prossimo ospite della Conferenza delle Parti della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP29), ad esempio, sta offrendo alle delegazioni e al settore privato di visitare il suo territorio “liberato” nella regione del Nagorno-Karabakh, recentemente ripulito etnicamente, per nuovi progetti speculativi sulle energie rinnovabili. Si tratta di un esempio del nesso ecocidio-genocidio che si sta sviluppando, in cui il discorso “verde” e ambientale viene cooptato dai corpi di persone indesiderate e dai loro ambienti naturali considerati inadatti per gli investimenti di capitale nell’esplorazione di petrolio e gas (greenwashed). Se gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite possono essere raggiunti attraverso la pulizia etnica compensata da investimenti allettanti in fattorie di pannelli solari e resort di eco-turismo, c’è qualcosa di marcio nel profondo di ciò che la sostenibilità è venuta a significare.

Un altro esempio di questi assurdi miti della sostenibilità è la visione di Netanyahu per Gaza, definita in un piano in tre fasi da realizzare entro il 2035. Il piano mira a rendere “verdi” morte e distruzione con quella che Ognian Kassabov definisce una “distopia urbana costruita su fosse comuni”: una futuristica zona di libero scambio con relazioni pubbliche incentrate sulla sostenibilità e sulla civiltà moderna. Mentre oltre un miliardo di persone si trova ad affrontare disastri climatici, carestie, innalzamento delle tempeste e ondate di calore mortali, che rendono invivibili vaste aree del pianeta, progetti di questo tipo, caratterizzati da una grave negligenza nei confronti del resto dell’umanità e da evidenti contraddizioni, continueranno a calpestare impunemente la terra. Con il venir meno di ogni possibilità di aspirazione e mobilità sociale, queste distopie costruite su fosse comuni continueranno a essere violentemente difese, con muri di confine militarizzati che servono a isolare gli indesiderati e a preservare gli interessi degli ultra-ricchi. La classe dirigente non ritiene che la farsa di mantenere e accrescere il proprio potere in un contesto di collasso ecologico possa finire presto. Il loro obiettivo è massimizzare i profitti anche mentre il pianeta brucia. Ma in un contesto di calo dei tassi di natalità, di aumento delle migrazioni e di gravi effetti climatici che stanno creando punti di strozzatura nelle catene di approvvigionamento, rimangono in ansia per alcuni fattori scatenanti: l’aumento della carenza di manodopera, il calo della produttività del lavoro e la chiusura delle vie di investimento del loro capitale liquido. Per compensare, si affrettano ad accaparrarsi vaste aree di potenziali terreni agricoli, depositi minerari, combustibili fossili e altre cosiddette risorse critiche. Con l’erosione dei suoli, la distruzione di terreni agricoli pregiati a causa di incendi e inondazioni e lo sfollamento delle popolazioni a causa di guerre e disastri climatici, si prospettano nuovi cicli di imperialismo delle risorse. Le classi dominanti hanno bisogno di “scuse” per giustificare queste incursioni nelle risorse. Tali scuse si trovano spesso nelle narrazioni geopolitiche della sicurezza – sicurezza contro coloro che resistono alle continue incursioni – e nella normalizzazione strategica, in cui “pace” è definita come obbedienza al capitale. Gli Stati arabi del Golfo ne sono un esempio, nel loro rapporto con Israele. Così, in un futuro di eco-apartheid, le nozioni di “sicurezza nazionale” e di “emergenza climatica” saranno utilizzate per giustificare una corsa al ribasso, in una folle corsa all’accumulo di potere geopolitico attraverso l’estrazione di minerali “verdi” per tecnologie a basse emissioni di carbonio.

Una delle vittime di questo dispiegamento di minacce alla sicurezza nazionale sarà ciò che resta degli spazi democratici nella società. Mentre gli indesiderati (richiedenti asilo, popolazioni indigene, comunità di pastori, piccoli agricoltori, comunità che vivono nelle foreste e miliardi di persone della classe operaia) vengono ghettizzati, portati via in autobus o semplicemente assassinati, coloro che sono ancora rimasti a criticare questo spettacolo violento saranno trattati anche come un rischio per la sicurezza. E mentre continuano a protestare, gli spazi per il dissenso saranno sanificati attraverso “dialoghi inclusivi” che sono ciechi alle dinamiche di potere tra oppressore e oppresso. Gli autori dei crimini continueranno a essere considerati vittime o, nella migliore delle ipotesi, “parti interessate”.

La seconda Nakba a cui stiamo assistendo a Gaza dimostra quanto possa essere estrema la manipolazione: i giornalisti e i difensori dei diritti umani che documentano minuziosamente l’impensabile violenza che si sta verificando vengono ignorati dalle classi dirigenti, oppure incolpati di essere parte del problema e persino uccisi. La strategia è quella di “sparare al messaggero”. Centinaia di migliaia di cittadini comuni che si oppongono al palese disprezzo di Israele per la legge e l’ordine internazionale vengono ribattezzati come antinazionali o terroristi, e come creatori di ambienti “non sicuri” nei campus, mentre le loro amministrazioni continuano a investire nell’omicidio di persone innocenti e nell’assunzione di guardie di sicurezza private che brandiscono manganelli e bersagliano gli studenti con gas lacrimogeni. Nel mondo dell’eco-apartheid che sta nascendo, la “libertà di parola” è riservata solo a chi difende l’impero, non a chi esprime il proprio dissenso contro di esso.

In breve, il mondo dell’eco-apartheid è un mondo in cui non c’è spazio per la moralità. Comporta giustificazioni grottesche per la disumanizzazione di vaste porzioni di umanità, in modo che le classi dirigenti possano proclamare di servire l’interesse pubblico difendendosi dalle minacce alla sicurezza nazionale che sono totalmente responsabili di aver generato. La sicurezza e la creazione di “spazi sicuri” pubblici sono le scuse utilizzate per giustificare i loro crimini orrendi, mentre si adoperano per garantire che il mondo sia vivibile solo per una minoranza privilegiata.

Traduzione: Simonetta Lambertini – Invictapalestina.org

5/12/2024 https://www.invictapalestina.org/

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