La Palestina raccontata da Claudio Tamagnini, il contadino pacifista
Claudio Tamagnini, il contadino pacifista, è riuscito a tornare in Palestina di recente. Nel libro “Pioggia di stelle e di bombe” racconta questo ritorno, i mesi trascorsi in Cisgiordania nel 2023, gli amici palestinesi ritrovati, la situazione disperata nei villaggi assediati dalle colonie e la nuova resistenza in una terra da troppo tempo senza pace.
Trapani – Come si legge nella prefazione del libro Pioggia di stelle e di bombe, quello di Claudio Abu Sara – il suo nome in Palestina – è un reportage dall’interno e condotto in presa diretta, vale a dire nel momento stesso in cui gli avvenimenti si verificano. Narrando in questo modo è insieme testimone e critico artefice della realtà che vive e descrive. Una realtà assai lontana dalla mistificazione della propaganda bellica e dagli interessi dell’apparato politico-militare internazionale.
Claudio Tamagnini, autore del libro, è cittadino del mondo, coltivatore biologico – possiede insieme ai figli la Società Agricola I Gelsi e La Talpa nel territorio della provincia di Trapani – e attivista No Muos in Sicilia. Tamagnini ha vissuto nove mesi nella Palestina occupata in passato, si è imbarcato sulla Freedom Flotilla III e si è avvicinato alla causa kurda attraverso vari viaggi. Più recentemente è riuscito a tornare in Palestina, in un momento così grave e drammatico per la gente che abita quelle terre da troppo tempo senza pace.
Claudio Tamagnini è tornato lì per portare la solidarietà con la terra e con tutti i popoli, come era stato per Vittorio Arrigoni, ucciso nell’aprile del 2011, testimone in diretta dei massacri a Gaza tra dicembre 2008 e gennaio 2009 con l’operazione Piombo Fuso, di cui Arrigoni fu unico giornalista occidentale a raccontare l’orrore con una cronaca quotidiana. Abbiamo intervistato Claudio per farci raccontare di Gaza e della Palestina.
Claudio Tamagnini, quando sei partito per Gaza chi hai lasciato in Italia?
Era il momento giusto per partire. I figli avevano preso in mano la gestione dell’azienda agricola, della distribuzione dei prodotti, dell’attività di agriturismo e non avevano più bisogno di me come bracciante agricolo dell’azienda, per cui mi potevo prendere il tempo per viaggiare e raccontare.
“Se è tornato Abu Sara – il mio nome in palestinese – allora tutto è possibile!”, dicevano
Quali associazioni ti hanno sostenuto?
Sono andato in Palestina come volontario di International Solidarity Movement, tre mesi nel 2011 e altrettanti nel 2012. Poi sono cominciate le traversie: ad Hebron sono stato arrestato mentre raccoglievamo olive con autorizzazione dell’esercito e io potavo gli ulivi sulla collina di Tel Rumeida. Nel 2013 mi viene sancito il divieto a rientrare nei territori, con strisciate rosse sul passaporto. Nel 2015 mi imbarco sulla Freedom Flotilla per tentare di rompere l’assedio a Gaza. Poi il Kurdistan, prima in Turchia e poi in Iraq. Poi il Covid e il blocco a qualsiasi viaggio. Per poi scoprire che posso rientrare in Palestina mescolandomi ai pellegrini che partono da Roma.
Dopo quanto tempo sei tornato dalla Palestina?
I passaporti vengono messi sulla macchinetta che emette i visti di entrata, ma non vengono controllati che in modo molto saltuario e senza confrontarli con i dati computerizzati. Così mi sono trovato a entrare tranquillamente a novembre 2022, ad aprile 2023 e finalmente a settembre 2023. Nel libro “Pioggia di stelle e di bombe” ci sono i racconti del 2023: il ritorno dopo undici anni, gli amici che ho ritrovato, il fatto che la mia sola presenza sia per loro un segno di speranza. “Se è tornato Abu Sara – il mio nome in palestinese – allora tutto è possibile!”, dicevano. Lì ho seguito il crescere della resistenza.
Qual è il significato di resistenza in Palestina?
Ogni volta mi dicono che la resistenza è unita: Hamas, Jihad, fronte popolare e fronte democratico per la liberazione della Palestina, brigate al Aqsa legate a Fatah. A seconda delle zone è più forte uno o l’altra. Ma sempre sento dire che non sussiste nessuna fiducia nell’Autorità Palestinese, sono troppo corrotti e lavorano in stretta collaborazione con l’occupante, non si sa se temono di più la resistenza pacifica o quella violenta, ambedue molto presenti. Siamo pochi volontari con International Solidarity Movement, ma abbiamo un appartamento a Ramallah, la nostra base operativa, e una stanza nella zona di Masafer Yatta, nelle colline a sud di Hebron.
A Hebron a quale realtà ti appoggi?
A Hebron io mi appoggio a Youth Against Settlement, ho un lungo passato trascorso con loro negli anni precedenti, ma non è una base ufficiale di ISM. Quando andiamo a Nablus siamo in un ostello e a ottobre andrò in ostello anche ad Hebron, nessuno viene più lasciato avvicinare alla collina di Tel Rumeida dove sorge la casa di Youth Against Settlements, ma soprattutto la colonia iniziale simbolo della discordia e della divisione operata a Hebron.
Laura Tussi
4/3/2024 https://www.italiachecambia.org
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