La pandemia da COVID-19 e la fragilità dei sistemi sanitari nel mondo
La pandemia continua ad esercitare pressioni notevoli sulle capacità di cura, controllo e prevenzione dell’infezione a livello sia nazionale che globale. Peraltro, la sua evoluzione sembra dipendere in modo cruciale, anche se non esclusivo, dai sistemi sanitari, dalle loro dimensioni e caratteristiche. In molti casi la pandemia ha rivelato una preoccupante mancanza di preparazione e adeguatezza di strutture e infrastrutture sanitarie nazionali a proteggere la popolazione e gli operatori sanitari. Nel complesso, la pandemia evidenzia, forse in modo ancora più chiaro che nel passato, che la salute è il risultato di molteplici fattori sotto il controllo umano e tra di essi ve ne sono molti che in vario modo riguardano le disuguaglianze, sia all’interno dei paesi, sia tra paesi.
Iniziamo osservando che la crisi era largamente annunciata, almeno in alcuni paesi, soprattutto a basso reddito. Secondo dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) del 2019 (“Global spending on health. A world in transition”), la spesa sanitaria media in quei paesi è solo di 35 dollari, circa lo 0,6% della spesa sanitaria pro capite nei paesi ricchi. Sulla stessa linea, lo studio dell’Institute for Metrics Health and Evaluations (IMHE) dell’University of Washington (IMHE, “Spending for COVID-19”, 2021), riporta che la spesa sanitaria nei paesi a basso e medio reddito è ancora molto inferiore rispetto a quella considerata necessaria per affrontare gli effetti della pandemia, spesa stimata intorno a 33-62 miliardi di dollari a seconda degli scenari possibili.
Secondo lo studio dell’OMS prima citato, sono rilevanti anche le differenze nell’incidenza del finanziamento pubblico della spesa sanitaria. Nei paesi ricchi essa è l’80% della spesa globale, mentre nei paesi a medio reddito la percentuale è molto più bassa (dal 13 al 19%). Come mostra la Fig 1, nei paesi più poveri, la spesa privata media dei cittadini, ‘out-of-pocket’, supera di gran lunga la spesa pubblica, il che suggerisce che vi sono divari enormi nell’accesso alla salute e che naturalmente sono penalizzate le famiglie meno abbienti. Si può aggiungere che il contributo pubblico alla spesa sanitaria in molti paesi a basso e medio reddito, oltre ad essere limitata, non è cresciuto nel corso degli ultimi vent’anni.
Fig 1 – Il finanziamento della spesa sanitaria, composizione (Fonte OMS)
Questo problema non riguarda, però, soltanto i paesi a reddito medio e basso. Sempre lo studio dell’OMS ci ricorda che in circa un terzo delle economie con tassi di crescita del PIL superiore al 2% medio annuo tra il 2000 e il 2017, la spesa sanitaria pubblica è rimasta immutata. A livello globale, si è però avuta una crescita di quella spesa sebbene con una tendenza alla decelerazione: il tasso medio annuo di crescita è stato del 4,9% tra il 2000 e il 2010 e del 3,4% negli anni successivi.
In molti paesi a basso e medio livello del PIL gli aiuti internazionali continuano a svolgere un ruolo centrale come risulta anche dalla Fig 1 (si veda la voce ‘Donor’). Tuttavia, la distribuzione degli aiuti per lo sviluppo dell’assistenza sanitaria è risultata insufficiente a fare fronte alle sfide che l’incidenza della malattia ha comportato nei singoli paesi o aree geografiche. Per esempio, l’America Latina e i paesi caraibici, dove si sono verificati quasi il 29% dei casi di COVID-19 nel mondo, hanno ricevuto solo il 5.2% dell’assistenza sanitaria complessiva. In molti paesi, il divario tra l’ammontare degli aiuti ricevuti e i bisogni dettati dall’incidenza dell’infezione ha probabilmente contribuito al peggioramento dell’evoluzione della pandemia.
L’entità e l’evoluzione della spesa sanitaria aiuta a comprendere molti dei problemi incontrati a fronteggiare la pandemia ma, restando nell’ambito sanitario, altri aspetti sono importanti. Tenendo conto anche di questi diventa più facile spiegare alcuni aspetti della pandemia. Ad esempio la sua diffusione nei vari paesi che non appare determinata unicamente dalla spesa sanitaria e non risulta correlata con la popolazione.
Come di recente illustrato da Mollah et al., (“COVID-19: Breaking down a global health crisis”, 2021) e come mostra la Fig 2, in continenti come quello asiatico, dove si concentra il 60% della popolazione mondiale, le infezioni sono state solo il 20% di quelle globali mentre negli Stati Uniti, la cui popolazione è solo il 5% di quella mondiale, hanno raggiunto il 30%.
Fig 2 – Quota di popolazione mondiale e quota di casi di COVID-19 per grandi regioni
Secondo Mullah et al., (2021) queste discrepanze riflettono una varietà di fattori uno dei quali è lo stato ed il funzionamento dei sistemi sanitari nazionali.
Un altro aspetto da considerare è che In molti paesi, sia ricchi che poveri, inclusi Italia, Stati Uniti, Gran Bretagna, Brasile e India, la diffusione dell’infezione ha visto il succedersi di fasi espansive e recessive, come risulta dal grafico sottostante tratto da Our World in Data, che mostra le infezioni giornaliere per milione di abitanti.
Picchi di questo tipo in pandemie sono spesso associati a elementi aleatori e di difficile controllo, ma, come un recente articolo di Scudellari pubblicato su Nature nel 2020 (“How the pandemic may play out in 2021 and beyond”) dimostra sono anche il frutto di scelte politiche, come il caso del Brasile ha reso evidente. In generale, la rapida diffusione delle infezioni da COVID-19 dal gennaio 2020 ha comportato l’adozione di strategie di contenimento come quarantene, distanziamento sociale e programmi diagnostici per l’identificazione delle nuove infezioni, che tuttavia nella loro attuazione hanno incontrato limiti che potremmo considerare strutturali e che non hanno evitato il ripetersi di fasi espansive della pandemia.
In questo ambito è rilevante, più in generale, la resilienza dei sistemi sanitari nazionali, intesa come capacità di ripristinare i servizi sanitari essenziali dopo una fase espansiva della pandemia.
Un recente studio comparato di Haldane et al., (“Health systems resilience in managing the COVID-19 pandemic: lessons from 28 countries”, 2021) basato su dati dell’OMS, ha dimostrato l’importanza di alcuni fattori per la resilienza dei sistemi sanitari nazionali, tra cui, la loro organizzazione e la loro capacità di coordinamento, sia a livello delle attività di cura, prevenzione e diagnosi che di coordinamento con politiche economiche, ad esempio quelle a sostegno dei redditi. Al riguardo il già citato rapporto dell’IMHE ci ricorda che, in molti paesi, la risposta sanitaria ha comportato cambiamenti di priorità assistenziali, portando ad esempio a spostamenti di fondi diretti a contrastare l’infezione da HIV/AIDS verso iniziative e programmi sanitari di controllo della pandemia da COVID-19. Questo effetto di spiazzamento dell’allocazione dei fondi per la sanità avrà, molto probabilmente, conseguenze negative per molti decenni a venire.
Quest’ultima considerazione mette in luce un ulteriore aspetto dell’importanza del finanziamento pubblico la cui adeguatezza se non sufficiente è certamente necessaria per ottenere risultati significativi in ambito sanitario. Da esso dipende, l’addestramento e la formazione della forza lavoro sanitaria, l’ampliamento di infrastrutture, il coinvolgimento capillare della popolazione nell’assistenza domiciliare. E tutto questo traina la capacità di recupero dei sistemi sanitari nazionali di fronte a emergenze come le pandemie. Infatti, lo studio di Haldane et al., (2021) mette in risalto il fatto che l’inadeguatezza dei finanziamenti mina la resilienza di sistemi sanitari nazionali. Un altro aspetto importante è il collegamento finanziamento dei servizi sanitari e equità nell’accesso alle cure e ai servizi sanitari. Come chiaramente illustrato dallo studio di Shadmi et al., (“Health equity and COVID-19: Global perspectives”, 2020) gli effetti della pandemia da COVID-19 si concentrano nelle fasce povere, tra le minoranze etniche proprio perché questi gruppi in genere vivono in aree ad alta densità di popolazione e a scarsa offerta di servizi sanitari.
L’incidenza delle infezioni da COVID-19 negli Stati Uniti, un paese dove il PIL pro capite è tra i più elevati nel mondo, dimostra come il reddito non sia una panacea contro le pandemie. La diffusione delle infezioni da COVID-19 in questo paese ha messo in evidenza la crisi dei sistemi sanitari anche nei paesi ricchi. I dati del Center for Disease Control and Prevention (“COVID-19 Cases and Deaths by Race/Ethnicity: Current Data and Changes Over Time”, 2021) dimostrano come negli Stati Uniti i tassi di mortalità da COVID-19 tra Ispanici, Afro-Americani e popolazioni indigene siano almeno il doppio rispetto a quelli prevalenti nella popolazione statunitense di razza bianca, una volta effettuata la necessaria standardizzazione per tenere conto della distribuzione dell’età nei vari gruppi demografici.
Come nel passato, nel caso di disastri naturali, ad esempio l’ondata di calore estivo a Chicago nel 1995, o l’uragano Katrina nel 2005, o nel caso delle recenti alluvioni nel sud degli Stati Uniti, le vittime da COVID-19 si sono concentrate tra i gruppi vulnerabili secondo le solite dimensioni razziali, etniche ed economiche.
La pandemia ha messo in evidenza, oltre a molto altro, la iniqua distribuzione di rischi per la salute e opportunità di cura tra le aree ricche e povere del pianeta, su diverse scale geografiche Anche per questo la pandemia, ci impone di riflettere sull’entità della spesa sanitaria a livello globale, sulla sua distribuzione e sulla stessa organizzazione dei sistemi sanitari per correggere distorsioni presenti in tutti questi ambiti e per contribuire a limitare una delle manifestazioni più gravi della disuguaglianza, quella che riguarda l’esposizione ai rischi sanitari.
Lisa Magnani
14/10/2021 https://www.eticaeconomia.it
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