La patente a crediti per le imprese, tanto fumo e poco arrosto

Dalle stragi della Thyssen Group a Brandizzo al cantiere Esselunga di Firenze alla centrale idroelettrica Suviana, alla strage di Casteldaccia (Palermo) passando per il caporalato nell’agroindustria e “grandi marche”  agli stillicidi delle morti da esposizione ad amianto ed altri tossici : le fragilità della condizione lavorativa nei settori a maggiore rischio e la proposta inutile di “patente a crediti”

Di Marco CALDIROLI Presidente protempore di Medicina Democratica, Tecnico della Prevenzione dell’Ambiente e della Sicurezza sul Lavoro

La strage di lavoratori presso la centrale idroelettrica Suviana avvenuto il 11.04.2024 come pure quella del cantiere “i mariti” di Firenze, al netto delle valutazioni specifiche sul fattore ultimo (quello che ha determinato l’incendio dell’alternatore e il successivo allagamento dei due piani sotterranei come il motivo del cedimento della soletta che ha schiacciato gli operatori) porta all’attenzione alcuni importanti elementi favorenti, più in generale, eventi infortunistici e la loro incrementale progressione.

Un primo elemento, più volte sottolineato dai sindacati da tempo, è la creazione, favorita se non esplicitamente promossa, di catene di subappalti lunghissime anche nell’ambito di lavori tecnicamente complessi. Uno stato tale da rendere muti i lavoratori che assommano alla precarietà dei rapporti di lavoro la difficoltà di operare in ambiti in cui non sono chiaramente definiti i ruoli, i compiti, le competenze e quanto altro serve per garantire, passo passo, l’azione coordinata tra imprese diverse che concorrono a realizzare una opera o a partecipare a un processo produttivo.

Come ed altrettanto per le catene di subappalto fintamente sconosciute (e misconosciute all’esigenza) esistenti nel settore della moda (la vicenda Armani e la produzione – in piena consapevolezza – di borse di alta moda da migliaia di euro realizzate da persone schiavizzate) questa “abitudine” appare particolarmente deleteria nei lavori di maggiore rischio come i cantieri e le logistiche (per non dire delle ferrovie).

Nel caso della centrale di Suviana è apparso particolarmente incredibile che a giorni dall’evento non erano ancora conosciute con esattezza quali fossero le imprese incaricate dei lavori, questa “sorpresa” è dovuta alla esistenza, da oltre 30 anni, di un obbligo a carico del committente dei lavori, specifico per i cantieri, e prima dell’inizio degli interventi di notificare i dati di tutti gli attori interessati (committente, coordinatori per la sicurezza, imprese) da mettere a disposizione degli organi di vigilanza (ASL e direzioni del lavoro) prima dell’inizio dei lavori e che vanno aggiornati all’occorrenza in relazione alla evoluzione dei lavori.

Anche se lo stato pietoso – in termini di entità del personale tecnico dedicato (e prossimamente ci si dovrà confrontare anche con la qualità) – degli organi di vigilanza non permette controlli estesi, puntuali e approfonditi, il rispetto di tale elementare norma permetterebbe di far emergere ad una prima lettura le condizioni anomale nelle catene di subappalto inclusa la presenza di persone pensionate, richiamate in servizio ed in età avanzata come il caso di uno dei “consulenti” deceduti (in realtà formalmente una impresa regolarmente registrata) e quindi di puntare l’attenzione sulle principali criticità prima che divengano danni.

Risulta non credibile che un cantiere di quella importanza e durata non sia stato all’attenzione degli organi di vigilanza e sottoposto a verifica ispettiva anche solo verificando i corretti rapporti tra committente, le imprese e tra le imprese.

Lo stesso vale per il cantiere di Firenze ove la trasmissione report ha portato all’attenzione l’effettuazione di nove accessi ispettivi precedenti senza che emergesse alcuna criticità e, contestualmente, presentava la testimonianza di un operatore della ASL – di schiena e con la voce camuffata, come se fosse un pentito di mafia, per evitare i sicuri provvedimenti del datore di lavoro– che riportava le indicazioni generali dei dirigenti di non emanare provvedimenti sanzionatori con la incredibile (ma vera oltrechè plausibile per diretta personale esperienza) motivazione che “non siamo sceriffi, facciamo prevenzione”.

Poche settimane dopo un imprenditore dell’estrazione del marmo si è lasciato sfuggire quello che realmente pensa la gran parte dei datori di lavoro ovvero che i lavoratori sono “deficienti”, causa dei loro stessi infortuni (per azioni proprie o dei colleghi). Vi è anche una versione più soft di questa affermazione che presenta i lavoratori come dei “bambini” da formare, vigilare e accudire affinchè non si facciano male.

La realtà non corrisponde quasi mai a tale affermazione: le storie degli infortuni sono piene di dinamiche in cui i lavoratori si sono esposti oltremodo a rischi per sopperire a carenze dei datori di lavoro come pure costretti ad aggirare misure di sicurezza su spinta od obbligo dei datori di lavoro e/o dei dirigenti.

Che dire poi della sorte di Satman Singh nei campi di Latina : non solo è stata colpa sua perché disattento ma il  trattamento a dir poco disumano cui è stato sottoposto abbandonandolo davanti a casa con l’arto staccato e condannandolo a morte certa, ci fa ricordare condizioni lavorative paragonabili a quelle denunciate da Friedrich Engels ne “La situazione della classe operaia in Inghilterra” scritto del 1845 !

Solo di fronte a un tale comportamento doppiamente lesivo delle norme di sicurezza (inadeguatezza delle misure di prevenzione e mancato soccorso dell’infortunato) la Procura indaga il datore di lavoro per omicidio doloso anziché il “tradizionale” colposo.

Eppure le norme sono ben più avanzate rispetto a questo atteggiamento “padronale”, per esempio le direttive europee sulle macchine chiedono ai progettisti e ai fabbricanti di considerare anche l’ “uso scorretto prevedibile” della attrezzatura proprio per includere l’errore umano ed evitare che diventi infortunio. Ma conosciamo bene la lagna degli imprenditori sulle “troppe sicurezze” che impediscono la produzione (o meglio una produttività sfrenata) e quindi vanno manipolate o aggirate in qualche modo (per poi addossare la colpa ai lavoratori in caso di infortuni).

Ciò nonostante per considerare l’omicidio doloso anziché colposo non era bastato, per rimanere a un caso noto, che venisse provata la studiata e voluta manipolazioni da parte del datore di lavoro dei sistemi di sicurezza dell’orditoio che ha causato la morte di Eluana per un incremento risibile di produttività.

Cosa sta rispondendo questo governo, sulla falsariga dei precedenti ? Con iniziative spot, principalmente finalizzate a mostrare (solo mostrare, non attuare) una faccia dura repressiva senza che si vada all’origine dei mali.

Pensiamo che inasprire le pene riduca le violazioni in materia di sicurezza sul lavoro ? Non risulta alcuna conferma; sarebbe certamente utile anche se comunque dopo un reato riscontrato, quello di una pena certa, in tempi ragionevoli e con piene garanzie non solo per gli imputati ma anche per le parti offese (da qui la proposta di modificare in questo senso l’art. 111 della Costituzione Italiana cui Medicina Democratica aderisce).

Ma occorre andare ancora più a monte e vorrei segnalare un aspetto per nulla considerato e al quale la “patente a crediti” (comunque ben diversa dalla patente a punti proposta dai sindacati da anni) non può comunque rispondere.

MIGLIORAMENTI POSSONO ESSERE ATTUATI CON UN CORRETTO SISTEMA DI QUALIFICAZIONE DELLE IMPRESE, BUTTANDO FUORI DAL MERCATO (O NON FACENDOLE ENTRARE) QUELLE CHE NON GARANTISCONO CARATTERISTICHE ESSENZIALI

Oggi in Italia è possibile aprire una impresa, quasi sempre, senza dover dimostrare di avere capacità professionali, luoghi e attrezzature di lavoro idonee, rispetto per i lavoratori.

E’ sempre stato così ? No, per questo a fine anni ’90 nella marea di privatizzazioni e di “alleggerimento” del ruolo pubblico si è pensato (governi di centro-sinistra) che occorreva dar retta alle lagnanze dei piccoli e grandi operatori contro i lacci e lacciuoli della “burocrazia” e “semplificare”.

La burocrazia era quella che imponeva che prima di iniziare una nuova attività produttiva occorreva passare sotto le “forche caudine” di controlli preventivi (i cosiddetti nulla osta produttivi). Dopo aver costruito o ristrutturato un edificio e averlo dotato di attrezzature di lavoro un compito principalmente delle ASL era la verifica dei requisiti. Una attività che “riempiva” di prescrizioni o anche di pareri negativi le imprese non per “sadismo amministrativo” ma perché la “inventiva” diffusa dei datori di lavoro era quella di aggirare quanto più possibile gli obblighi normativi volendo iniziare attività che violavano le norme ancor prima di adibire i lavoratori alle produzioni.

E’ arrivata l’epoca della semplificazione e delle autocertificazioni (favorita anche dalla riduzione del personale ASL e quindi della impossibilità di svolgere verifiche preventive perlomeno nelle attività di maggior rischio) fino alla attuale “impresa in un giorno” . Cosa vuol dire ? Tu inizia quasi qualunque attività autocertificando che tutto è in regola, il massimo che ti può capitare dopo mesi o anni è un sopralluogo con qualche sanzione già preventivamente e ampiamente “ammortizzata” dai risparmi precedenti.

Invece, senza voler tornare a modalità chiuse più di venti anni fa, uno dei fulcri legislativi ove si può intervenire efficacemente per ridurre gli infortuni, in parallelo con la restituzione dei diritti dei lavoratori sottratti dal neoliberalismo “bipartisan”, è quello di “filtrare” evitando o almeno riducendo l’arrivo sul mercato di soggetti economici (imprese) che non hanno vere qualifiche tecnico-professionali, che non sono in grado per dimensioni, conoscenze tecniche (e anche culturali), organizzazione e impianti di svolgere attività nel rispetto della sicurezza dei lavoratori (e finanche delle persone in generale quando si tratta di lavori senza il rispetto di capitolati specifici o semplicemente al “massimo ribasso” e senza idonee specifiche tecniche di risultato).

L’unico campo in cu si è fatto un qualche sforzo (palesemente non sufficiente dati i risultati) è stato quello dei lavori in luoghi confinati e “sospetti  di inquinamento” (asfissia). Il Dpr 177 del 14.09.2011 rappresenta l’unico tentativo (parziale) di evitare che soggetti improvvisati con lavoratori impreparati si mettano nel mercato di attività ad elevato rischio incrementando la scia di morti sul lavoro (in questo caso lo sforzo venne indotto da numerosi casi di omicidi multipli sul lavoro ravvicinati dovuti a morte per asfissia all’interno di ambienti piccoli e contaminati come cisterne, condotti sotterranei, vasche ecc).

Altre normative tecniche, anche indirettamente, riducono l’affidamento a imprese inadeguate, si pensi alle norme che obbligano alla iscrizione in liste specifiche presso le Camere di Commercio per attività particolari (es realizzazione di impianti elettrici, di riscaldamento, idraulici, condizionamento, gas) o a quelle (con finalità ambientali) che richiedono attrezzature e competenze per attività specifiche come nel caso delle bonifiche di amianto in matrice friabile.

Certo, norme aggirabili e che di per sé non azzerano l’abusivismo ma che almeno lo rendono più difficile e più agevolmente individuabili, sanzionabili ma anche con effetti escludenti al proseguo delle attività che colpiscono quello che più caro hanno i datori di lavoro, soprattutto quelli improvvisati : il portafoglio (il fatturato).

Ma il tema che sfiora e risolve in modo inidoneo è quello reale: giuridicamente è definita la “qualificazione tecnico-professionale” delle imprese (art. 27 dlgs 81/2008) (1) (tenendo sempre conto che vi è diversità tra la “sciura Maria” che fa venire dei muratori per una ristrutturazione in casa e una grande impresa finanziaria, immobiliare, produttiva che fa realizzare o ristrutturare opere di grandi dimensioni, un supermercato come una centrale idroelettrica).

Rammento che nel 2021 è stato rivisto il sistema della sospensione dell’attività, in sostanza, estendendolo dai reati relativi alla presenza di lavoratori irregolari ad alcune violazioni, considerate più gravi, nella sicurezza sul lavoro. Non era una strada in sé sbagliata ma la farraginosità della procedura ne ha inficiato i risultati, anche grazie alla incapacità, da decenni, di superare la sconnessione tra loro dei database degli organismi nazionali (es ispettorato del lavoro, inail, vigili del fuoco ecc) e quelli regionali (ASL), ogni ente con competenze in materia di sicurezza, in parte sovrapponibile, rimane una monade a sé.

LA PATENTE A CREDITI PER LE IMPRESE, TANTO FUMO E POCO ARROSTO

Il governo attuale invece ha introdotto la “patente  a crediti” a partire dal prossimo ottobre, tutte le impresa riceveranno dei punti di default e li perderanno o acquisiranno con un sistema non dissimile a quella della patente automobilistica (anzi no, paradossalmente una delle proposte che circolano per il futuro decreto applicativo, è di fornire le imprese edili, a maggiore rischio, di 100 punti anziché 30 come se un automobilista con la Ferrari debba essere dotato di più punti per ridurre il rischio di rimanere senza patente data la maggior facilità di incorrere in violazioni con una auto così potente e veloce).

La patente a crediti presenta numerose disfunzionalità sia morali che tecniche, Morali perché togliere dei “punti” a causa di omicidi sul lavoro, malattie professionali, infortuni gravi e/o violazioni per poi ridarli come se nulla fosse con un po’ di “formazione” (fatta spesso da pirati come ampiamente concesso dagli incompleti Accordi Stato-Regioni in materia da 15 anni a questa parte) appare come uno schiaffo alle vittime e un buffetto ai colpevoli.

Dal punto di vista di tecnica normativa appare un errore grossolano aver sostituito (anziché eventualmente modificarlo) l’art. 27 con quello attuale impoverendo e rendendo ancor più difficile sviluppare in modo coerente (oltre al ritardo di non averlo attivato da 16 anni a questa parte) il “sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi”. Il provvedimento governativo riguarda solo le imprese edili mentre in origine poteva riguardare ancorchè gradualmente tutte le attività, cala dall’alto una formula che è più fumo che arrosto e poco incide sugli aspetti di sicurezza (e la propensione dei datori di lavoro di rispettarli).

I punti dolenti di questa formula sono già stati segnalati da più parti e sono in particolare:

  • La limitazione al settore edile ovvero dei cantieri propriamente detti, non riguarda lavori anche edili non qualificabili come tali (per esempio quelli all’interno di aziende, tecnicamente sono esclusi tutti i lavori soggetti agli obblighi del “solo” coordinamento tra datore di lavoro committente e appaltante, art. 26 del dlgs 81/2008).
  • Il rilascio della patente “a prescindere” seguirà un controllo su semplici autocertificazioni di alcuni obblighi già esistenti (nessuna qualificazione particolare, appunto) e solo da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro mentre le ASL vengono escluse (e non si sa se e quando potranno accedere ai database dell’Ispettorato).
  • Decurtazioni dei punti che avvengono solo a provvedimenti definitivi (si può andare per le lunghe)
  • L’importante per l’azienda e non mangiarsi più di 15 punti
  • Le decurtazioni dei punti avvengono per infortunio (non per malattia professionale) con una responsabilità riconosciuta (sentenza in giudicato) : 20 crediti in meno per morte, 15 per inabilità permanente, 10 in caso di inabilità temporanea assoluta per più di 40 giorni.
  • La morte o la inabilità permanente determina anche la possibilità che l’Ispettorato (non le ASL) possano sospendere in via cautelativa la patente fino a 12 mesi quindi sospendere l’attività per un periodo corrispondente. Non è chiaro se questo potere ispettivo, che va applicato in un periodo vicino all’evento, riguarda ogni infortunio o quelli ove vi è stato un riconoscimento di responsabilità del datore di lavoro (che non è quasi mai competenza dell’INL) come pure come si possa basare un intervento con una prognosi “preventiva” di inabilità senza dover attendere il riconoscimento vero e proprio. Pane per azzeccagarbugli e una arma, se può essere così considerata ,comunque spuntata (rammento sempre, ASL sempre ignorate).
  • Vi è un conflitto (un doppio registro) tra le forme di sospensione già esistenti (e per le quali non necessita la perdita di “crediti”) e quello della nuova patente.
  • Vi potranno essere conflitti “procedurali” per quelle violazioni che determinano perdite di crediti e che sono, ovviamente, contestualmente soggette a sanzioni e alla procedura di “regolarizzazione” stabilita dalle norme pregresse.
  • Infine con la stessa velocità con cui si apre una azienda che incappa in tali sanzioni con la stessa velocità lo stesso soggetto (fatto salve interdizioni che solo possono venire da sentenze in giudicato) può aprirne una nuova e ricominciare sotto un’altra ragione sociale e partita IVA.
  • Per la reintegrazione dei crediti avviene dopo due anni mediante frequenza a corsi di formazione (di quanti lavoratori, quali corsi ??) fino ad un massimo di quindici. Paradossalmente solo chi li ha persi li può recuperare, chi non incorre in violazioni tali da determinare perdite di crediti, rimane fermo alla casella di partenza di 30 crediti.
  • Per chi lavora “senza patente” o con patente con meno di 15 crediti è prevista una sanzione amministrativa

A ben guardare quella che rischia maggiormente è la “sciura Maria”, la committente dei lavori, per la quale è prevista una nuova sanzione amministrativa per violazione della mancata verifica della disponibilità della patente alle imprese esecutrici di lavori. Ma spesso oggi il committente “cittadino normale” si affida ciecamente a tecnici e imprese che trovano agevolmente il modo per fare sovraprofitti non rispettando le norme o accaparrarsi contratti con sconti sulla pelle dei lavoratori. La norma è peraltro così scritta male che non si capisce se l’obbligo della patente è in capo anche a quella principale (impresa affidataria) o solo alle imprese esecutrici (ovvero i subappalti). Non vi sono sanzioni per l’impresa affidataria che utilizza imprese senza patente o con crediti sufficienti.

Insomma una misura più pubblicitaria che altro, con tali e tanti “bachi” da poter essere agevolmente aggirata o comunque riuscendo a prendere tempo rispetto a provvedimenti di un qualche effetto sulle imprese. Rimane un dato certo, tra i tanti incerti, l’ennesimo passo per rendere secondaria l’opera degli organi di vigilanza territoriali (i servizi di prevenzione degli ambienti di lavoro presso le ASL) incrementando ruolo, poteri (e anche personale) agli organismi nazionali come l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, un ritorno al passato anteriforma del 1978. Allora non fu un caso di generica “autonomia regionale” il passaggio delle competenze in materia di sicurezza alle regioni e alle USSL/ASL : fu il risultato di un giudizio negativo dell’operato dell’Ispettorato del Lavoro in materia di sicurezza (sempre “post” evento) rispetto a quelle iniziative che sono partite dal basso (basti pensare agli SMAL – Servizi di Medicina negli Ambienti di Lavoro in Lombardia) che videro l’istituzione locale e il movimento dei lavoratori collaborare per migliorare le condizioni nei luoghi di lavoro.

22/7/2024 https://www.medicinademocratica.org

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