La politica sanitaria europea: azzerare i debiti di bilancio aumentando la mortalità
La difficile situazione della Sanità italiana colpisce anche altri Stati europei in una morsa che pare proprio derivare da una strategia ideologico-politica ben precisa che si chiama privatizzazione.
Secondo l’Oms, nel 2021, in piena pandemia, in tutto il mondo mancavano sei milioni di infermieri.
“Gli infermieri e le infermiere sono la spina dorsale del nostro sistema sanitario”, disse durante la pandemia il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus, nello stesso momento in cui la realtà italiana manifestava l’assurdità di strutture private convenzionate che chiudevano alla disponibilità di intervenire per l’emergenza Covid mentre quelle pubbliche annaspavano essendo a corto di personale per rispondere positivamente all’emergenza.
Un po’ di numeri
Nel 2020 la media europea si attestava a 8,3 infermieri ogni mille abitanti. Mentre in Finlandia si può fare affidamento su 13,6 infermieri ogni mille abitanti, in Irlanda il dato scende a 12,8 mentre è quasi dimezzato in Italia 6,3 e 6,1 in Spagna, fino a scendere sotto i 5 infermieri in Polonia e Bulgaria. Il fanalino di coda è la Grecia con 3,4 infermieri per mille abitanti, dato che risentiva del trattamento iperliberista dei tagli lineari imposti dall’Unione Europea. Si ritiene che negli ultimi anni sia scomparso il 25 per cento dei posti di lavoro infermieristici in Grecia. Il dato fa tremare le vene ai polsi e nello stesso tempo evidenzia l’estremo cinismo con cui la governance europea tratta le materie economiche. Il ciclo di austerity sotto il controllo della Troika ha portato la Grecia a dover rispettare impegni molto duri terminati nel 2022. Come sottolineato dal primo ministro Kyiriakos Mitsotakis, il popolo greco – per colpe non sue ma dei suoi governi – ha sopportato tasse alte, tagli a salari e pensioni, all’istruzione pubblica e soprattutto alla sanità.
“Carenza di farmaci e presidi medico-sanitari, mancanza di medici e infermieri negli ospedali, strumentazioni diagnostiche non adeguate. A pagare la crisi della Grecia è anche il suo sistema sanitario – che in questi sette anni sembra conoscere solo tagli – e, ovviamente, i suoi cittadini. Quelli che in questi anni hanno perso il lavoro hanno perso anche l’assicurazione sanitaria: le stime ne contano oltre 2,5 milioni. In aumento anche la depressione, i suicidi e la diagnosi fai-da-te. Non ultimo, i medici che emigrano all’estero perché’ in patria non hanno più prospettive. È un quadro a tinte fosche quello che tratteggia al ‘Sir’ Nikolaos Platanisiotis, presidente dell’Associazione medica del Pireo, una delle più grandi e importanti associazioni mediche greche composta da 4mila medici attivi sia nella sanità pubblica che in quella privata. […] Mancano personale, farmaci e attrezzature diagnostiche. In passato è successo anche che molti nosocomi restassero senza pasti per i ricoverati e senza medicine, acquistate direttamente dai parenti per poter consentire le cure necessarie. In altri casi la mancanza di strumentazioni ha richiesto il rinvio di operazioni chirurgiche”.[1]
Parlavamo del cinismo dell’Unione Europea che come una matrigna guarda all’economia solo nel verso dei puri numeri che compongono i bilanci nazionali senza leggere in controluce cosa quei numeri significano per la vita delle persone.
Una guerra salariale paneuropea
Visti i continui disinvestimenti nel settore sanitario, medici ed infermieri sono in continuo vagare alla ricerca di un salario dignitoso in quegli Stati dove questo è ancora garantito.
“Gli ospedali olandesi cercano infermieri soprattutto in Spagna. Paloma Garzón Aguilar, infermiera spagnola di 25 anni, studia intensamente la lingua neerlandese da quasi due mesi con l’obiettivo di cominciare a lavorare nel paese a partire dalla prossima primavera. Paloma ha raccontato a El Confidencial che in Spagna non riusciva a far quadrare i conti, dunque ha deciso di lasciare la sua città in Castilla-La Mancha. La ragazza ha trovato su internet una società olandese, Eduployment, che offre agli infermieri stranieri non soltanto corsi di lingua ma anche posti di lavoro a tempo pieno […] Secondo i dati pubblicati dall’Associazione degli infermieri spagnoli, nel 2023 gli infermieri emigrati in un altro paese sono stati 1.473, nonostante nel paese il tasso di disoccupazione nel settore sia pari a zero”.[2]
In Ungheria più di mille medici e quasi duemila infermieri lasciano il sistema sanitario nazionale ogni anno. Questo esodo crea una grossa carenza nelle strutture sanitarie che sono costrette ad assumere reclutando in paesi come l’Ucraina, la Serbia e addirittura arrivando fino all’India e alle Filippine. Non è notizia recente il reclutamento di medici cubani attivato dalla Regione Calabria per bypassare i costi stellari dei medici provenienti dalle cooperative[3].
In Bulgaria mancano almeno 29mila infermieri. “Secondo un sondaggio condotto dall’associazione di settore, in Bulgaria oltre metà degli infermieri lavora tra le 41 e le 80 ore la settimana (inclusi i secondi lavori). I salari nel settore pubblico variano tra i 1000 e i 1.500 lev (circa 510-770 euro).[4]
Un servizio sanitario al collasso
Il rapporto tra medici, infermieri e posti letto non è solo un dato statistico. Gli studi effettuati in tutto il mondo non fanno altro che confermare un dato in realtà abbastanza evidente: i pazienti ospitati in strutture con una forte carenza di personale presentano un tasso di mortalità superiore rispetto agli altri.
Inoltre la domanda di servizi sanitari è incomprimibile per cui se non trovi soluzione nell’assistenza pubblica o non ti curi o traslochi in quella privata. Così, una fetta sempre più rilevante della popolazione a reddito medio-basso ha praticamente rinunciato a curarsi e solo una parte della popolazione, quella con reddito medio-alto, può permettersi di saltare le file pagando la prestazione in una clinica privata.
Sempre più utilizzate sono, inoltre, le polizze di assicurazione che hanno cominciato a prendere piede dopo l’entrata in vigore del “Job Acts” che prevede la deducibilità delle polizze di “sanità integrativa”. Un altro tassello verso il modello privatistico statunitense che in qualche modo tutela i lavoratori dipendenti mentre lascia senza copertura partite Iva (spesso sfruttamento mascherato da lavoro autonomo) e disoccupati.
Sempre di più, dunque, la linea di tendenza politica richiama le varie ‘gambe’ del sistema sanitario: non solo il pubblico ma anche il “privato accreditato” ed il “privato-privato”. I Governi che si sono succeduti nel nostro paese hanno mantenuto per il settore una sostanziale “continuità” di politiche portando scientemente il SSN all’implosione.
Nell’ultima “riforma”, inserita nel progetto complessivo dell’Autonomia differenziata, la tutela della salute è diventata “competenza concorrente” tra Stato e Regioni: lo Stato, attraverso il Piano Sanitario Nazionale, stabilisce i LEA, le Regioni e le Provincie Autonome, in piena autonomia, programmano e gestiscono la sanità sui loro territori, mentre le Aziende Sanitarie, pubbliche e private “accreditate”, forniscono i servizi ai cittadini.
Questo lo schema futuribile di una Sanità che vede un continuo decremento, dopo il periodo emergenziale pandemico, degli investimenti.
Il progetto politico dell’Autonomia differenziata sembra, dunque, analogo a quello dello scarica barile finanziario che ha già colpito gli enti locali come i Comuni: aumento dell’autonomia e delle deleghe con diminuzione del budget complessivo.
L’approccio economicista dell’Unione Europea sul bilancio degli Stati membri e sul sistema sanitario in particolare, ha innescato una tendenza aziendalistica della gestione dei servizi sanitari per cui il rispetto “di vincoli di bilancio prevale su criteri di valutazione fondati sulla necessità e l’appropriatezza delle prestazioni per la tutela della salute dei cittadini e che, di conseguenza, pone il medico in posizione subordinata rispetto ai responsabili economico-finanziari della sanità. Il contenimento della spesa come obiettivo primario ha generato il perverso spostamento del costo di una parte non irrilevante di prestazioni appropriate dal bilancio pubblico ai budget privati delle famiglie, creando il presupposto di una sanità differenziata per capacità economica”.[5]
In conclusione: Autonomia differenziata a finanziamento decrescente e aziendalizzazione della Sanità pubblica – con una spinta politica cosciente, continua e determinata verso la privatizzazione sanitaria – sta producendo una forte discriminazione tra cittadini con la polarizzazione delle prestazioni sanitarie: ottime per i ricchi, pessime per i poveri.
NOTE:
[1] https://www.ordineinfermieribologna.it/2017/grecia-con-la-crisi-sistema-sanitario-a-picco.html
[2] https://www.balcanicaucaso.org/aree/Europa/Europa-infermieri-sempre-piu-rari-e-contesi-232407
[3] Qui un’inchiesta fatta da Report sul tema: https://www.youtube.com/watch?v=OvSlsHCpxdk
[4] Ibidem
[5] Report Censis 2024, https://www.censis.it/sites/default/files/downloads/SINTESI%20DEI%20PRINCIPALI%20RISULTATI%20DEL%20RAPPORTO%
1/8/2024 https://www.malanova.info/
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!