La preziosa terra della Palestina al centro del conflitto con l’occupante israeliano
Il centro del conflitto con l’occupante, fin dall’epoca della prima invasione sionista della Palestina, ci sono la terra e la conseguente sofferenza del popolo palestinese, che ha subito continue e continue catastrofi fino ad oggi. Sin dalla sua costituzione, infatti, lo Stato di Israele si è presentato come uno Stato usurpatore.
Nella prima di queste di catastrofe, la Nakba (catastrofe) del 1948, più di 531 villaggi e città palestinesi furono distrutti e rasi al suolo, la maggior parte degli abitanti trovò rifugio nei campi profughi in Giordania, Siria e Libano, in cui mancavano le condizioni minime di sopravvivenza …
Queste catastrofi contro il popolo Palestinese non si sono mai fermate, provocando sempre più sfollamenti e sfratti forzati, causando l’espulsione di 800mila palestinesi dai loro territori occupati.
La guerra dei Sei Giorni del 1967 provocò ulteriori espulsioni e sfollamenti dalla terra palestinese, per questo viene considerata come la seconda grande Nakba, di cui il nostro popolo ha molto sofferto e di cui paghiamo ancora oggi le conseguenze, ancora più devastante della prima. Non a caso è stata descritta, dalla volpe della politica israeliana S. Peres, come la seconda vittoria dello stato di occupazione Israeliano dopo la Nakba del 1948.
Anche l’accordo di Oslo del 1993 è stato una Nakba nazionale e sociale che ha frammentato, la nostra terra occupata in Cisgiordania, in ghetti chiusi e isolati, non collegati geograficamente tra loro. Ha diffuso tra la nostra gente una grande illusione di poter avere finalmente uno Stato e un’autorità nazionale palestinese, per poi scoprire dopo 26 anni di negoziati che non abbiamo né uno Stato palestinese né una vera autorità nazionale.
Ci siamo trovati nelle mani di un’autorità che non ha alcuna forma di sovranità, una semplice autorità amministrativa, per giunta con condivisione del potere (tra Israele e Autorità nazionale palestinese), come dice il presidente dell’Anp, Abu Mazen, “Autorità senza potere”.
La situazione non è migliore nella Striscia di Gaza, dove, se esiste un’autorità palestinese, questa come la sua terra, il suo mare e la sua gente sono sotto un assedio ingiusto e disumano che Israele impone da oltre dodici anni in violazione delle norme internazionali.
L’occupazione doveva permettere, in base all’accordo di Oslo, di realizzare nella terra storica della Palestina uno Stato bi-nazionale o uno Stato a maggioranza palestinese vicino allo Stato israeliano.
Invece, la presenza palestinese è stata considerata come una “ghiandola cancerogena” che doveva e deve essere sradicata, magari anche giustificandola legittimamente.
Il progetto di giudaizzare la Galilea iniziò nel 1976, anno in cui l’occupante ha confiscato oltre 21mila dunum della terra di Galilea. Contro la confisca di tutta quella terra, il nostro popolo è sceso in strada per protestare e manifestare lanciando pietre e da ciò è nata la cosiddetta Giornata della Terra, il 30 marzo, che ancora oggi, ogni anno celebriamo come data importante in ricordo della difesa della terra palestinese.
La fiera reazione del popolo palestinese non ha però cancellato i piani e i programmi dello stato di occupazione, che non si sono fermati nemmeno per un momento. Gli occupanti, infatti, hanno continuato a controllare ed occupare la Palestina e la sua terra ed hanno proseguito nell’operazione di giudaizzazione. Massicce demolizioni di abitazioni palestinesi hanno avuto luogo a Qalanswa ed in tante altre città palestinesi mentre le costruzione di nuove case furono severamente limitate nei villaggi e nelle città palestinesi.
Il cosiddetto progetto “Praver” fu messo in atto per giudaizzare il Negev, la più grande area di terra in possesso del popolo palestinese. Del milione di dunum di proprietà di comunità arabe beduine, solo 100mila rimangono ora in possesso del nostro popolo arabo beduino e l’occupante cerca anche di controllarli. Perciò, sono numerose le comunità spogliate delle loro proprietà e terre.
Ma la cupidigia dell’occupante è insaziabile, infatti, Israele ha annunciato che ci sono più di 40 villaggi palestinesi, che però esistevano prima della costituzione dello stato di occupazione, che sono considerati villaggi non riconosciuti per cui non saranno forniti i servizi di base di acqua e di energia elettrica. Fra questi, il villaggio di Al-Araqib demolito per ben 145 volte.
Negli ultimi tempi il progetto “Praver” ho ripreso vigore sotto il “rimorchiatore” e la “ferocia” delle forze dell’estrema destra sionista, che controlla oramai tutte le articolazioni dello Stato di occupazione e la società sionista affogata nel razzismo e nell’estremismo.
Con l’arrivo di Trump alla guida degli Stati Uniti, l’obiettivo di cancellare la causa del popolo palestinese, le questioni di Gerusalemme e dei rifugiati sono apparsi evidenti nel cosiddetto Deal of the Century of America, il progetto del secolo nordamericano (i cui principali strumenti sono stati rivelati dal Bahrain Economic Workshop tenuto dall’Amministrazione degli Stati Uniti a Manama il 25 e 26 giugno). Trump e il suo team hanno preparato questo progetto trasferendo l’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme e riconoscendo Gerusalemme come capitale dello stato occupante, nonché cercando di cancellare e risolvere la questione dei rifugiati prosciugando le fonti finanziarie dell’UNRWA e riconoscendo lo status di rifugiato solo alla prima generazione, quella dei nonni, non ai figli e ai nipoti.
Israele ha sfruttato la posizione americana e il progetto del secolo per accelerare la giudaizzazione della città attraverso il sequestro di beni immobili e proprietà nella città di Gerusalemme e lo spostamento di interni quartieri, dove abbiamo assistito a una nuova catastrofe nella demolizione di oltre una decina edifici residenti nell’area di Wad Al-Homms e nelle aree classificate “A” e “B” sotto il controllo civile e di sicurezza dell’Autorità Palestinese, secondo l’Accordo di Oslo.
La politica di occupazione israeliana dimostra che Israele è uno Stato che si pone al di sopra del diritto internazionale, che non si preoccupa di osservare nessuna legge o convenzione. La comunità internazionale, in considerazione della presenza e strapotere americano e dei paesi coloniali occidentali nella maggior parte delle istituzioni e degli organismi internazionali, viene messa a tacere così come il diritto internazionale. Ecco perché Israele protetto, da parte del bullismo imperialista nordamericano e occidentale, ha potuto demolire sedici edifici nella valle dell’Homms, sotto i pretesti di sicurezza e vicinanza al muro di separazione
Gli abitanti questi edifici, oggi sono ospitati da amici e parenti, come gli abitanti delle oltre 1.500 abitazioni palestinesi demolite da Israele dal 2006 a oggi.
Per il ministro israeliano Erdan e per l’opinione pubblica israeliana il luogo colpito dalle demolizioni non ha molta importanza cioè se prima o dopo il Muro, se nella Area A o B o C, nonostante la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja fin dal 2004 ha dichiarato illegale il Muro costruito da Israele per confinare i Territori palestinesi e rubare ulteriore terra palestinese.
Ciò che a questo punto i Palestinesi chiedono è un intervento internazionale volto a fermare le demolizioni di queste case in Wad Al-Homs (Sur Baher) dal momento che la Corte Suprema Israeliana, che era stata interpellata dai proprietari delle abitazioni palestinesi, ha respinto il loro ricorso ed ha votato a favore delle demolizioni in quanto le costruzioni erano avvenute, secondo il giudizio della Corte, senza le autorizzazioni del comandante militare locale. In più, secondo la Corte, le abitazioni costruite al confine del Muro rappresentano una possibile base di copertura per gli aggressori e quindi un pericolo per lo stato d’Israele.
Jamie McGoldrick, Gwyn Lewis e James Heenan, a nome di tre agenzie dell’Onu in un documento dichiarano: «Demolizioni e sgomberi forzati sono alcune delle molteplici pressioni che generano il rischio di trasferimento forzato per molti palestinesi in Cisgiordania».
Inoltre, la demolizione delle case, «stabilisce un precedente che consentirà alle forze israeliane di distruggere un numero molto elevato di edifici palestinesi che sono situati nelle immediate vicinanze del Muro. Data la vastità delle distruzioni e i tanti civili coinvolti, le demolizioni sono una nuova ‘catastrofe’ per il popolo palestinese».
Oggi rispetto il passato, il numero di demolizioni a Gerusalemme est tocca numeri molto elevati e in futuro la situazione sicuramente peggiorerà.
Di questo è colpevole anche il silenzio della comunità internazionale. Israele maschera il suo piano di demolizione dei Territori palestinesi e di ulteriore separazione di Gerusalemme dalla Cisgiordania dietro il pretesto della sicurezza e la comunità internazionale lo lascia fare.
Netanyahu ha intensificato la politica di demolizioni ed ulteriore occupazione di terra palestinese non solo perché spalleggiato dall’amministrazione Trump ma ha anche approfittato dei cambiamenti in atto all’interno del sistema politico israeliano, con il passaggio della società israeliana sempre più verso l’estrema destra. Inoltre, questo è stato possibile per i mutati orientamenti della Corte Suprema, che in passato è stata accusata di essere una delle roccaforti più importanti della sinistra sionista,in seguito, però, alla nomina di giudici con orientamenti più sionisti all’interno della Corte Suprema, le sue decisioni sono cambiate.
Quali motivazioni e circostanze hanno spinto Netanyahu a provare a completare la giudaizzazione di Gerusalemme nella zona diWad Al-Homs, trasformandola nella città biblica di David, modificando così i suoi dati demografici e la sua natura culturale? Oltre allo scenario internazionale che applaude al progetto del secolo americano, ha giocato un ruolo anche l’attuale instabilità politica interna testimoniata dall’incapacità di Netanyahu di formare un governo dopo le ultime elezioni del9 aprile scorso e con nuove elezioni il prossimo 17 settembre. Netanyahu o l’eventuale suo successore, insomma la lobby di Likud, sta cercando di vendersi ai coloni come vero leader degli insediamenti grazie anche all’incapacità degli altri partiti religiosi di destra di coalizzarsi in una sola lista.
Pertanto, dopo il successo del trasferimento dell’Ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme e il riconoscimento di Donald Trump di quest’ultima come capitale dello stato occupante, Netanyahu continua ad applicare questa politica sul territorio separando la città di Gerusalemme dai suoi dintorni palestinesi.
Infatti, rientra nel Progetto del secolo di Trump, non ostacolato seriamente dai Paesi arabi, che hanno preso parte alla Conferenza del Bahrain, l’esclusione della città di Gerusalemme e degli insediamenti dal tavolo dei negoziati.
Così la politica israeliana di demolizione delle case dei palestinesi in Cisgiordania, in particolare a Gerusalemme, è oramai quotidianità. I bulldozer non si fermano mai, quasi quotidianamente sono in azione per demolire le case delle famiglie Palestinesi. Quest’azione è sempre stata fondamentale per la strategia politica dell’occupazione israeliana. Questa volta però si è trattato di decine di demolizioni a Gerusalemme, sia avanti che dietro il Muro dell’apartheid, in particolare nell’area A, sotto controllo Palestinese. In base all’accordo di Oslo del 1993 tra Israele e Olp, il territorio sarebbe dovuto essere sotto controllo palestinese.
Un disastro che mette completamente in discussione l’ipotesi di avere due stati e lo statuto di città santa di Gerusalemme.
Gerusalemme oramai risulta quasi separata dalla Cisgiordania, tramite espropri demolizioni ed insediamenti di nuove colonie nell’intera aera C la quale rappresenta 67% della Cisgiordania.
L’Onu ha preso posizione, ma in generale le reazioni della comunità internazionale sono state modeste. L’Unione europea non è andata oltre la diffusione di un comunicato in cui critica le demolizioni e il rispetto delle leggi internazionali e di difesa dei diritti politici ed umani. Netanyahu prosegue ed accelera la politica di occupazione sfruttando anche le crisi palestinesi, quella della Striscia di Gaza oramai esanime dopo 12 anni di assedio con una situazione umanitaria al collasso, mentre l’Autorità palestinese in Cisgiordania soffre una grave crisi finanziaria aggravata dal problema della successione al presidente Abu Mazen. Inoltre, nonostante la posizione unitaria dei palestinesi di respingere il Progetto del secolo, i palestinesi non sono ancora in grado di porre fine alle loro divisioni, che Netanyahu sfrutta strategicamente.
Così, la demolizione delle case e la pulizia etnica a Gerusalemme non si ferma. Ogni giorno ci sono avvisi di demolizione, ogni giorno demoliscono una due case e così si effettua lo sfratto forzato e la pulizia etnica in tutti i quartieri ed i villaggi vicini . Wadi Yassul, Rababah, Batin Hawi, Bustan a Silwan, Kubanieh, Umm Harun e Karam Ja’uni, SceKh Jarrah, sono zone in cui ci sono state più di cinquemila case palestinesi demolite dal 1967 e più di ventimila altre case hanno avuto avviso di demolizione. Queste zone sono etnicamente rase al suolo, nel silenzio e nella complicità internazionale, in un’epoca in cui l’America di Trump e le sue bestemmie “odiose” contro le leggi e le convenzioni internazionali, continua ad avere due pesi e due misure non riconoscendo lo spoglio della terra ai palestinesi e dei loro diritti e tollerando che l’occupante israeliano si ponga al di sopra del diritto internazionale e continua a rubare terra palestinese.
L’espulsione e lo sfollamento non si fermarono ai confini dei territori palestinesi occupati, ma si estendono anche in Libano e in Siria (Yarmouk) , nei campi profughi palestinesi, in cui non solo nel passato ci sono stati tentativi di espulsione di abitanti (basta ricordare cosa è successo a Sabra e Chatila)), ma anche tuttora. Basta ricordare l’ingiusta decisione del ministro del lavoro libanese che non ha riconosciuto ai palestinesi il diritto di accedere ai permessi di lavoro. Questa decisione rispecchia ciò che è accaduto nel seminario economico del Bahrain per sistemare i rifugiati della nostra gente nei loro paesi o farli emigrare.
Il ministro del lavoro libanese è pienamente consapevole del fatto che il nostro popolo palestinese è ospite del Libano e che non sta cercando di insediarsi. Inoltre i libanesi sanno che il popolo palestinese partecipa alla costruzione, alla ricostruzione e allo sviluppo del Libano.
Il popolo palestinese in Libano ha il suo stato giuridico e politico di rifugiati, vive in condizioni estremamente difficili e gli viene negato il lavoro per quanto riguarda 73 professioni. La decisione del ministro libanese è condizionata dalle situazioni e dalle forze internazionali, le quali vogliono far esplodere l’arena libanese accedendo dalla porta del conflitto palestinese-libanese, oltre ad attuare il piano di reinsediamento e sfollamento dei rifugiati in Libano.
Ciò che sta accadendo a Gerusalemme nella Wad Al-Homs, nel Negev e a Beirut, è lo stesso e ciò rappresenta le basi fondamentali del progetto americano, che mira a liquidare la causa palestinese.
Quindi noi dobbiamo accelerare e liberarci concretamente da tutti gli impegni di Oslo ( a cominciare dal porre fine al coordinamento della sicurezza), e, dobbiamo porre fine alla divisione e ripristinare l’unità nazionale sulla base di un programma di resistenza costante , continua e determinata che diffonde il suo eco nell’intera regione e nel mondo intero, solo così riusciremo a stimolare un no corale al piano americano di Trump che mira a liquidare la causa palestinese.
Oraney Ali Moh’d Thaher
6/8/2019 https://left.it
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