La prospettiva dell’Amazon Capitalism
- Una robusta introduzione al problema dell’Amazon Capitalism
Il libro collettivo del gruppo di ricerca Into The Black Box dal titolo Futuro presente. Il dominio globale del mondo secondo Amazon è una formidabile cassetta degli attrezzi, frutto di un seminario svoltosi presso l’Università di Bologna tra il 2021 e il 2022, per analizzare quello che viene definito Amazon Capitalism. L’impresa di Bezos, infatti, non è solo un negozio online in cui poter acquistare quasi ogni tipologia di merce o il principale rappresentante di servizi di consegna basati sullo slogan logistico just-in-time and to-the-point. Amazon contiene al suo interno molti più servizi. Si passa da Prime Video e Twitch a prodotti come Alexa e servizi informatici come Amazon Web Services. Senza contare gli altri investimenti di Bezos come il Washington Post nell’editoria o Blue Origin nell’industria aerospaziale. Amazon è quindi un attore economico ramificato in molte attività produttive che, sostengono i ricercatori di Into The Black Box, non si limita all’economia ma finisce per condizionare anche altre sfere come quella sociale e politica. Per questo motivo si parla di Amazon Capitalism di cui occorre indagare le caratteristiche. Infatti una simile società è capace di condizionare l’evoluzione del capitalismo esattamente come fanno imprese simili ad Amazon in altre parti del mondo, pensiamo ad Alibaba in Cina o MercadoLibre in America Latina.
C’è una sorta di egemonia di questi attori economici che consente di parlare di amazonizzazione della società. Questa tesi viene supportata da tre ipotesi. La prima riguarda la capacità delle aziende Big Tech di essere il punto di sintesi delle operazioni del capitale, concetto coniato da Sandro Mezzadra e Brett Neilson su cui torneremo meglio in futuri lavori. Si tratta di tesi che dimostrano come all’interno della teoria critica si siano sedimentate analisi secondo cui non è possibile concettualizzare in termini univoci il capitalismo contemporaneo e sono focalizzate sulla molteplicità dei processi di valorizzazione contemporanei. La diversità nei processi capitalistici ha sempre fatto parte del modo di produzione capitalistico. Era vero anche quando aveva la sua centralità la fabbrica perché esistevano altre figure e spazi del lavoro, spesso resi invisibili. Pensiamo al lavoro razzializzato e schiavile delle piantagioni nell’Ottocento o al lavoro sessualizzato di cura domestico. Tuttavia la fabbrica svolgeva il ruolo di perno e determinava l’assemblaggio delle diverse stratificazioni soggettive ed oggettive.
Questo ruolo da chi è ricoperto oggi? Esistono imprese capaci di tenere insieme, gestire ed espandere le diverse operazioni del capitale? Amazon, per esempio, riesce a tenere insieme logistica, produzione, estrazione dei dati, capitale finanziario, capitale industriale, sfruttamento del lavoro, magazzini, datacenter, corrieri e crowdworker articolandoli su diversi piani che spaziano dal metaverso allo spazio. Questo comporta che l’efficientamento di un segmento produttivo dell’azienda è legato all’espansione di altri segmenti. Amazon, dicono i ricercatori di Into The Black Box, riesce ad articolare da sola la molteplicità di forme del capitalismo contemporaneo e diventa un punto di vista imprescindibile per analizzare le diverse operazioni del modo di produzione capitalistico. La seconda ipotesi è che ci troviamo davanti ad una amazonizzazione della società tramite il trasferimento su larga scala di processi che si sviluppano dentro queste imprese. Un fattore di accelerazione in tal senso è stato il necessario lockdown per contrastare la pandemia da Covid-19 che ha favorito i processi di digitalizzazione con enormi vantaggi per quelle aziende del capitalismo delle piattaforme che sono porte di accesso per qualsiasi sito web, app o servizio informatico. I principi organizzativi di queste imprese, come i big data, il management algoritmico o l’esternalizzazione della forza lavoro, sono diventati le linee guida per la riorganizzazione dei processi di produzione e distribuzione su scala globale.
Questi processi ora si scontrano con la disarticolazione e riorganizzazione delle catene globali del valore ad opera della guerra in una fase storica contraddistinta anche da un’inflazione galoppante e dal rialzo dei tassi d’interesse delle banche centrali. Le conseguenti riduzioni dei salari reali, quindi anche dei consumi, e la minore predisposizione dei venture capital ad investire nelle tecnologie digitali hanno prodotto un clima competitivo che selezionerà le aziende in grado di sopravvivere rafforzando le tendenze verso il monopolio e spingendo gli Stati, impegnati in una lotta per la conquista di aree di influenza, a trovare accordi con queste imprese. La terza ipotesi riguarda la forma impresa di Amazon. Essa non può essere pensata solo in termini organizzativi o manageriali perché Amazon non è solo un attore economico ma anche un costruttore di ecosistemi che erodono lo stesso mercato. Finisce per penetrare nelle relazioni sociali e per influenzare forme e modi del vivere comune assumendo la forma di un dispositivo governamentale capace di plasmare e indirizzare le condotte individuali e collettive, esercitando di fatto un potere politico. Questo potere nasce dalla costante accumulazione ed elaborazione di dati su vasta scala. Una volta spiegate le caratteristiche dell’Amazon Capitalism, Into The Black Box nella loro introduzione parlano di come Amazon sia utile per spiegare le modalità con cui le moderne infrastrutture stanno superando la distinzione dicotomica tra infrastruttura reale e infrastruttura virtuale. Questo superamento non significa che non esistono più differenze tra un ponte e una piattaforma online ma che le infrastrutture tendono ad avere un carattere ibrido tramite un intreccio tra analogico e digitale su cui fa affidamento la politica, l’economia e in generale la società. Tornando ad Amazon per confermare questo mutamento, esso non è solo un marketplace o un agente logistico di consegna merci ma anche, tramite Amazon Web Services (AWS), un’infrastruttura materiale che serve il digitale. AWS comprende data center e hardware sparsi in tutto il pianete che mette a disposizione di altre imprese che altrimenti non avrebbero i mezzi per sostenere simili infrastrutture.
Allo stesso tempo AWS è un’infrastruttura digitale che serve il digitale come dimostra la piattaforma Netflix che usa AWS per distribuire i propri contenuti. Un discorso analogo vale per i magazzini che sono snodi di flussi materiali al servizio del digitale, in questo caso l’e-commerce che allo stesso tempo non potrebbe funzionare così bene senza la capillare rete di magazzini sul territorio. Questa nuova tipologia di infrastruttura ci porta anche a parlare di temi come la governance e il potere politico ma anche la concentrazione di capitali ad opera di queste imprese. Il tema si lega all’ambizione economica di Amazon di costruire un suo ecosistema espanso e gerarchico che nella sua espansione verso altri settori finisce per inglobare altre realtà capitalistiche oppure ne crea di nuove. Amazon, sostiene il collettivo, vuole essere il capitale, un capitale complessivo totale. Non è però capitale distruttivo bensì punta a farsi società tout court. Un altro argomento toccato dall’introduzione riguarda il legame tra Amazon e il presunto ritorno alla centralità della fabbrica. Non è esattamente così. L’errore che simili analisi compiono consiste nello schiacciare l’ecosistema Amazon unicamente sui magazzini ma sappiamo già che Amazon non è solamente la logistica e si rischia di dimenticare che intorno al magazzino ruotano diverse categorie di lavoratori come i driver, i quali si relazionano pochi minuti al giorno con il magazzino ma ne rappresentano una sua naturale estensione.
Un secondo punto da evidenziare è che Amazon non produce merci. Dentro i suoi magazzini non vengono create le merci ma vengono spostate e quindi al massimo si può parlare di un servizio prodotto come una merce. Bisogna abbandonare una visione unicamente descrittiva della fabbrica perché è troppo riduttiva. Indubbiamente dentro Amazon si fa ricorso ad una logica “da catena di montaggio” e molte modalità di organizzazione del lavoro ricordano le fabbriche fordiste del passato ma oggi la forma fabbrica ha una funzione e un peso diverso nei circuiti di valorizzazione del capitale. La fabbrica non è più al centro dei processi di valorizzazione del capitale e questo centro non è più localizzabile in unico punto perché la centralità si trova nel flusso, nella catena globale del valore di cui la fabbrica o il magazzino è solo un passaggio o un momento. Ovviamente tutto ciò non mette in secondo piano che qualcuno le merci le deve produrre. Quello che viene messo in discussione è che il luogo della produzione sia l’unico luogo cruciale. Il paradigma della fabbrica deve essere ricollocato dentro un contesto produttivo più ampio che ingloba una territorialità estesa e spazi-tempi transnazionali dove si trovano forme plurime del lavoro, pensiamo, nel caso dell’industria tech, a tutta la filiera che parte dall’estrazione delle materie prime e arriva al magazzino di Amazon, e diverse forme di organizzazione del lavoro. Infatti nei magazzini di Amazon si sommano neo-taylorismo, lavoro logistico, toyotismo e tecnologie di Industria 4.0. Into The Black Box, però, non rinuncia ad individuare i punti di applicazione di una contro-forza all’interno della catena del valore e la molteplicità delle forme del lavoro.
Focalizzarsi sui magazzini, quindi, potrebbe essere una strategia politica che nasce da maggiori potenzialità di conflitti al loro interno ma il collettivo invita alla prudenza perché a simili conclusioni può giungere unicamente lo sviluppo della lotta di classe e inoltre bisogna tenere conto che il magazzino non è la fabbrica, uno spazio chiuso dove avviene la cooperazione tra un numero fisso di operai, e i suoi lavoratori sono soggetti ad un alto turnover e ad una continua fluttuazione della forza lavoro. Un altro elemento che l’analisi di Into The Black Box fa emergere è la necessità di una riflessione politica capace di fare i conti con le trasformazioni emerse con il capitalismo delle piattaforme e le tecnologie 4.0. Le loro riflessioni li hanno portati a sostenere la tesi secondo cui oggi il rapporto tra circolazione e produzione è invertito e “comanda” la circolazione sulla produzione. Non significa che il problema della produzione delle merci è venuto meno ma che nell’ambito dell’Amazon Capitalism le esigenze della fluidità della circolazione, del just in time and to the point, dettano i ritmi, gli standard e i modelli dell’apparato produttivo. Tutto ciò ha modificato radicalmente anche il lavoro delle macchine, ha reso centrale internet come logistica dei dati per organizzare tutto il processo e ha trasformato le forme del comando tramite l’automazione del management, pensiamo al lavoro comandato dall’algoritmo di cui abbiamo parlato approfonditamente altrove. Amazon, allora, risulta essere il punto di convergenza di una serie di tendenze di lungo periodo che si sono evolute fino a produrre una fusione tra internet company, logistics company, potere infrastrutturale ed economico. Oltre allo sfruttamento del lavoro vivo Amazon mette sul tavolo la questione dello spossessamento del lavoro vivo tramite l’estrazione di dati. Come una miniera sottrae della terra ai contadini per estrarre materie prime dal sottosuolo, Amazon si installa sopra la cooperazione sociale di migliaia di utenti delle sue piattaforme per estrarre dati. Questa tesi è facilmente verificabile monitorando la crescita di AWS che si sta orientando sempre di più verso lo sviluppo dei servizi informatici implementati innanzitutto per coordinare e gestire i servizi logistici, consentendo in questo modo la sperimentazione di soluzioni tecnologiche sempre più avanzate nella raccolta, elaborazione e vendita dei dati.
Questa infrastruttura si migliora costantemente grazie ai dati accumulati tramite le interazioni degli utenti sul portale di e-commerce o gli altri servizi di Amazon ma allo stesso è l’esistenza di questa infrastruttura digitale a consentire l’estrazione di dati e l’integrazione di servizi finanziari come la possibilità di pagare a rate i propri acquisti su Amazon. Per il collettivo di Into The Black Box si tratta di azioni coerenti con la finanziarizzazione dei consumi e l’espansione della finanza nella riproduzione sociale che produce un soggetto indebitato su cui esercitare potere governamentale rispetto alle sue future condotte. Quello che accade nel concreto è che le attività individuali e collettive dei lavoratori, consumatori e utenti di Amazon vengono continuamente codificate per essere spossessate con l’obiettivo di interpretare, finanziarizzare, profilare, anticipare e indirizzare i comportamenti sociali, le preferenze di consumo e anche gli stili di vita. In società come Amazon la cooperazione sociale e l’organizzazione d’impresa finiscono per condizionarsi a vicenda.
Queste imprese non potrebbero esistere senza processi di cattura della cooperazione sociale composti da una miriade di interazioni individuali e collettive che prendono vita ogni giorno e che vengono amplificate dalle piattaforme. Into The Black Box sostiene che Amazon, però, non si limita a trovare gli strumenti migliori per catturare queste informazioni ma prova a indirizzare modi e obiettivi delle interazioni mentre cerca di assimilare sempre più pattern comportamentali, simbolici e valoriali etero-diretti. Lo spossessamento non si ferma più all’esterno dei processi produttivi ma finisce per penetrare nei pensieri e nei desideri producendo forme di vita. Ne consegue che non possiamo pensare alle dinamiche di spossessamento come esterne a quelle di sfruttamento del lavoro vivo. Sfruttamento e spossessamento sono diverse strategie che agiscono insieme per accumulare valore ma anche per produrre soggettività. Un’ultima domanda che emerge in questa introduzione è un invito alla riflessione su quali tipologie di conflitto possono emergere in un regime produttivo dove l’estrazione di dati è la fonte maggiore di accumulazione e, di conseguenza, quali rivendicazioni possiamo portare avanti in un simile scenario. Una risposta a queste domande prevede certamente una riconsiderazione del conflitto tra capitale e lavoro dentro forme di produzione che integrano sempre di più automazione, finanza, estrattivismo e sfruttamento.
- Mai dimenticare l’inchiesta
2.1 Amazon Web Services: la miniera d’oro di Amazon
Amazon Web Services (AWS) è una piattaforma di cloud computing e cloud storage nata nel 2006 a Seattle. Assieme ad altre quattro compagnie del pianeta, ovvero Microsoft Azure, Google Cloud Platform e Alibaba, controlla l’infrastruttura digitale capace di offrire il 71% dell’offerta globale di servizi cloud. AWS è la prima azienda in ordine cronologico di questo tipo ed è il più grande ecosistema cloud mai esistito. Le connessioni offerte dall’impresa mettono in contatto i continenti di tutto il pianeta e i suoi vettori, chiamati zone e regioni, hanno finito per determinare la tipologia specifica di tutte le principali infrastrutture create successivamente da tutte le altre aziende simili. Amazon, quindi, è un elemento centrale di un’economia basata sulla gestione e la conservazione di dati. Il 60% dei dati messi in rete in tutto il mondo risiede nei cloud che hanno però delle articolazioni materiali fatte di architetture e sistemi fisici aventi fino a 7 livelli accesso oltre ad una protezione armata 24/7.
I dati prodotti dagli utenti vengono processati da server tenuti in piedi da gruppi di continuità, sistemi di ventilazione e raffreddamento, sistemi antincendio, gruppi elettrogeni e connessioni di reti esterne. AWS è suddivisa in regioni, cioè cluster composti da più data center posizionati ad una distanza non superiore ai 100 Km. I data center che compongono la regione si chiamano zone di disponibilità. Si viene quindi a creare una rete di zone che consente all’impresa di offrire flessibilità, sicurezza e scalabilità ai clienti intenzionati ad eseguire applicazioni e database su cloud computing. Le zone permettono il partizionamento di applicazioni su più architetture per poter rispondere efficacemente ad eventuali problemi elettrici, geologici e ambientali che possono danneggiare i sistemi. Ogni regione possiede una autonoma capacità di alimentazione, raffreddamento e sicurezza fisica. L’offerta di più zone di elaborazione e stoccaggio di dati è supportata da una distribuzione che sfrutta a proprio vantaggio una certa tolleranza ai guasti, garantendo architettura a reti ridondanti e latenza minima, autosufficienti e sempre connesse.
Questa strategia distributiva è stata copiata da tutte le altre imprese concorrenti ed è approvata dalla certificazione più sviluppata nell’ambito della sicurezza sullo stoccaggio e la gestione dati, ovvero la Tier4. Un punto di forza di AWS risiede nella proprietà delle reti a invarianza di scala. Si tratta di distribuzioni con nodi capaci di crescere tramite la capacità di rispondere a tante tipologie di attacco che spaziano da eventi casuali a tentativi di hackeraggio e scioperi. Questa proprietà, come abbiamo evidenziato analizzando il libro Conflitto di classe e sindacato in Amazon. Da New York a Passo Corese, è valida anche per la distribuzione dei magazzini di Amazon. Un’altra tipologia di archivio e gestione dei dati è la zona locale. Esse sono un nuovo ordine di infrastruttura che fornisce servizi specifici in base alla distanza dall’utente o alle strutture fisiche del cliente. Si tratta delle architetture on premise.
Le zone locali sono situate in prossimità dell’utente finale e riescono a gestire carichi di lavoro molto sensibili alla latenza. Pensiamo solamente a tutti quei settori protetti da una conformità rigida di posizione fisica dei dati come la sanità pubblica oppure i servizi finanziari e governativi. AWS, a causa di tutto ciò, è riuscito a penetrare nell’economia, nella società e nelle istituzioni. Gestisce i carichi di lavoro di imprese molto diverse tra loro come Siemens, Volkswagen, Netflix, Nasa o il Ministero dell’Interno francese. AWS in Italia ha partnership sia con imprese private che con enti pubblici. Per quanto riguarda la prima categoria, troviamo Ferrari, Enel o Musixmatch. Nella Pubblica Amministrazione italiana AWS fornisce i suoi servizi alla SIAE, al Dipartimento della Protezione Civile, al CNR, alla Corte dei Conti, a comuni come quello di Torino, al DanteLabs che si occupa di sequenziamento del genoma umano e addirittura all’INAF. Nel settore dell’energia lavora con Alperia, A2A, Ansaldo Energia, AMIU e Iren. AWS è penetrato anche nell’istruzione e nella ricerca. Offre servizi essenziali a molte università italiane come il Politecnico di Torino o di Milano oppure alle Università di Trento e Padova. Amazon è riuscita ad andare anche oltre la digitalizzazione delle banche dati della ricerca inserendosi nel business della didattica a distanza. AWS fornisce le infrastrutture per lo streaming dei meeting di Zoom e in Italia, tramite collaborazioni con Argo Software e Madisoft, partecipa al funzionamento, con il Software Nuvola, dei registri elettronici della scuola primaria e secondaria. Un caso eclatante di cui parla Into The Black Box è la scelta, nel 2015, da parte della Corte dei Conti di spostare i propri servizi dentro un cloud ibrido di proprietà di AWS. La Corte ha scelto di effettuare un taglio di costi fissi pari a 40.000 euro per l’hardware scegliendo di pagare un abbonamento ad AWS per gestire le proprie risorse. In questo modo AWS ha gli strumenti per consentire alla Corte di accedere ai propri dati che riguardano i conti di tutti gli enti pubblici italiani.
Queste informazioni dimostrano quanto sia pervasiva la presenza di un’azienda privata nella vita di milioni di persone attraverso la creazione di un paesaggio fatto di connessioni, archivi e monitoraggio dentro il settore pubblico e privato finendo per produrre quelle che Into The Black Box chiama le strade su cui si giocheranno le sfide del futuro. Siamo davanti ad un’azienda che finisce per occuparsi della consegna di merci a domicilio come della conservazione dei dati sul genoma degli esseri umani e che non sappiamo ancora bene come fronteggiare. Come possiamo forgiare strumenti di controllo e limitazioni contro Amazon? Sono sufficienti le attuali legislazioni nazionali e internazionali? Come possiamo salvaguardare interessi e diritti pubblici quando ci si confronta con architetture che vogliono diventare assolute?
2.2 I lavoratori
In circa vent’anni Amazon ha moltiplicato sia la sua capitalizzazione di mercato che il numero dei suoi lavoratori. Nel 2001 l’azienda in borsa raggiungeva i 4 miliardi di dollari mentre nel 2021, anche sull’onda della pandemia del 2020, il valore delle vendite è aumentato del 38% rispetto all’anno precedente, arrivando a quota 1680 miliardi di dollari. Nell’agosto del 2022 Amazon è la quinta impresa più grande del mondo con una capitalizzazione complessiva di 1430 miliardi. Il reddito netto, generato in larga parte da AWS, è aumentato dell’84% dal 2019 al 2020, passando da 11588 miliardi a 21331 miliardi, e del 56% dal 2020 al 2021, arrivando a quota 33364 miliardi. Un simile incremento si registra anche nel numero dei lavoratori assunti da Amazon che partono da 17000 dipendenti nel 2007 per arrivare a 1600000 lavoratori nel 2021. Gli aumenti maggiori si verificano durante la pandemia. Dal 2019 al 2020 sono aumentati del 62%, passando da 800.000 a 1300000 dipendenti. Sono numeri sottostimati perché non tengono in considerazioni i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori indiretti, cioè coloro che sono impiegati in aziende legate ad Amazon. Anche dal punto di vista dei dipendenti complessivi, Amazon è la quinta azienda a livello mondiale nel 2020.
La maggior parte di questi lavoratori è impiegata negli USA, circa un milione di lavoratori nel 2021, soprattutto in California, 170000 nell’ultimo quarto del 2021. L’espansione globale della forza lavoro di Amazon si ripercuote anche in Italia. Circa dieci anni fa apriva il suo primo magazzino a Castel San Giovanni, vicino Piacenza, con i suoi 150 lavoratori. Oggi Amazon impiega 14000 lavoratori a tempo indeterminato in oltre 50 siti nel nostro paese. Nel decennio 2011-2020 è l’azienda privata ad aver assunto di più in Italia, in media 24 lavoratori a tempo indeterminato alla settimana, e in particolare durante la pandemia. Nel solo 2021 ha assunto 4500 persone e in tre anni ha raddoppiato i suoi lavoratori a tempo indeterminato. Secondo Keystone Strategy, nel 2021 Amazon ha creato, con i suoi investimenti, 85000 posti di lavoro di cui 50000 nella rete di venditori terzi che si relazionano con Amazon e 34000 in aziende che offrono servizi ad Amazon. I suoi ricavi in Italia passano da 4,5 miliardi nel 2019 a 7,25 miliardi nel 2020 mentre la contribuzione fiscale è di 345 milioni nel 2020, cioè meno del 5% del fatturato.
Nel 2021 i ricavi arrivano a 8,75 miliardi mentre le tasse pagate a quota 751 milioni. Il trend positivo si interrompe nel 2022 con un calo del fatturato e della forza lavoro impiegata. Fa eccezione AWS che cresce del 28%. La flessione riguarda tutte le aziende del capitalismo delle piattaforme che hanno basato il loro sviluppo sulle previsioni ottimistiche sul futuro figlie del periodo della pandemia. L’inizio dei licenziamenti di massa in Amazon è una frattura nella sua reputazione di Top Employer costruita negli anni con contratti di ingresso pari a 1680 euro lordi al mese per un operatore di magazzino, cioè l’8% in più rispetto al CCNL della logistica e dei trasporti. A tutto ciò bisogna aggiungere benefit come sconti su Amazon, assicurazione integrativa contro gli infortuni o il programma di formazione Career Choice. Questa retorica fatta di alti stipendi e benefit si è sviluppata in maniera parallela alle prime mobilitazioni contro Amazon. A questo punto Into The Black Box si domanda cosa significa lavorare per Amazon.
Il lavoro in questa impresa è fortemente condizionato dalla presenza di tecnologie che organizzano le attività dei lavoratori in collaborazione con l’intelligenza artificiale. La coordinazione tra attività umana e macchinica permette un controllo dei corpi esteso temporalmente e spazialmente. Si produce un monitoraggio estensivo, costante e automatizzato dei movimenti dei lavoratori attraverso il frequente utilizzo da parte dei manager di dispositivi di misurazione della produttività che genera una valutazione algoritmica. I controlli capillari, anche fuori dai magazzini, portano ad una intensificazione dei ritmi e dei carichi di lavoro. Per questo motivo si parla di taylorismo digitale che si traduce in una prestazione lavorativa priva di margine di autonomia per il lavoratore mentre si delega all’azienda la gestione dei turni e degli orari, con pause brevi e turni molto lunghi. Questo modo di lavorare porta ad un costante innalzamento degli obiettivi di produzione. La retorica padronale sulle ottime condizioni di lavoro in Amazon si scontra con una realtà fatta di lavoro accelerato e controllato. Tutto ciò sta producendo delle crepe sempre più grandi che prendono la forma delle prime proteste dei lavoratori contro Amazon in tutto il mondo. Negli USA Amazon Labor Union ha ottenuto un primo storico successo nell’aprile del 2022.
Da notare che in queste lotte si è prodotta una saldatura tra lavoratori della logistica e tech workers. In Europa c’è stata la sindacalizzazione dei lavoratori di Amazon in Germania e in Polonia. Ci sono state importanti mobilitazioni contro Amazon da parte dei lavoratori tessili in Cambogia e in Bangladesh che hanno partecipato alla campagna #MakeAmazonPay contro il Black Friday del 2021 perché sono stati bruscamente licenziati dall’azienda durante la pandemia, nel primo caso, perché hanno deciso di lottare contro la concorrenza sleale sulla vendita di prodotti freschi nel secondo caso. Questi dati, dice Into The Black Box, mostrano come Amazon si regga sullo sfruttamento su larga scala di forza lavoro marginalizzata, con una ricattabilità che aumenta in base al proprio genere, alla propria razza e alla propria classe. Un secondo elemento è la centralità del lavoro vivo in Amazon nonostante tutta la retorica sulla piena automazione dei magazzini e la robotica. Si tratta di un dato centrale per spiegare le nuove forme di mobilitazione e resistenza.
Ci sono state molte mobilitazioni anche in Italia, a partire dal primo sciopero nazionale contro Amazon del 22 marzo 2021 indetto dai sindacati confederali durante la terza ondata della pandemia per sostenere la contrattazione collettiva di secondo livello nell’ultima parte della filiera di Amazon, ovvero il segmento che riguarda i driver. Altre mobilitazioni sono state promosse dai sindacati di base e tutte si sono articolate attraverso manifestazioni, picchetti, scioperi, blocchi, attività di denuncia e divulgazione di materiale informativo. Lo scontro tra sindacati e Amazon ha prodotto un primo accordo a Piacenza nel 2018 che non ha generato dei miglioramenti effettivi delle condizioni di lavoro e nel settembre del 2021 la firma da parte di Amazon Logistica del Protocollo per la definizione di un sistema condiviso di relazioni industriali con il supporto dei sindacati confederali presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che è stato ratificato nel febbraio 2022 con un accordo tra Assoespressi e Confetra con i sindacati confederali. Into The Black Box conclude il ragionamento sull’Italia affermando che dalle loro analisi emerge come l’azienda sia entrata nel nostro territorio nazionale accomodandosi sulla già presente legislazione sul lavoro. Ha trovato una nazione che ha rinunciato alla programmazione industriale e all’intervento pubblico in economia preferendo un’economia basata sulla povertà dei lavoretti e la flessibilità del lavoro somministrato. L’azione egemonica di Amazon si è così dispiegata attraverso l’accreditamento come il datore di lavoro migliore possibile nel peggiore degli scenari contingenti e di medio periodo.
- La classe operaia cyborg
Possiamo iniziare a trarre delle conclusioni. Le inchieste sul lavoro in Amazon portano alla luce il fatto che il lavoro nei magazzini e quello nelle strade ad esso connesso è difficile da automatizzare visto che richiede riflessione, capacità di risoluzione dei problemi e trasporto di scatole e pacchetti di varie dimensione che sono impossibili da standardizzare per una macchina. Un discorso simile vale per altre branche del lavoro amazonico, come il crowdworking di Amazon Mechanical Turk. L’obiettivo di Amazon, sostiene Into The Black Box, quindi non è automatizzare totalmente il lavoro ma fondere la tecnologia con il lavoro umano per trasformare i lavoratori in robot industriali. Il cyborg diventa una realtà quotidiana del mondo del lavoro dove l’uso delle tecnologie digitali si è strettamente fuso con lo sfruttamento della forza lavoro. Ciò implica varie tecniche, da forme di gamification che rendono i magazzini degli enormi Tetris ad alta velocità fino ad arrivare alla dotazione dei lavoratori con armature robotiche che non solo guidano chi lavora ma diventano il loro supervisore. Nuove forme di comando della forza lavoro, come la sorveglianza tramite telecamere a intelligenza artificiale o l’uso dei big data che sostituiscono il management, si fondono con le classiche strategie di razzializzazione, precarizzazione, politica anti-sindacale e ricorso a bacini di forza lavoro impoverita per ottenere il massimo controllo possibile. Questo modello di organizzazione del lavoro diventa progressivamente egemonico nella logistica e si sta estendendo in altri settori e luoghi di lavoro. Un simile processo però non nega la molteplicità delle modalità con cui prende forma e non necessariamente porta ad una progressiva omogeneizzazione.
Questa tendenza vale per tutta la platform economy e non è esclusivo del solo lavoro organizzato dalla piattaforma ma è qualcosa che si estende al più ampio processo di piattaformizzazione innescato. Le piattaforme, infatti, vanno intese come assemblaggi ecosistemici che non solo riorganizzano il lavoro e i suoi processi ma li trasformano. Con questa chiave di lettura possiamo intendere Amazon come spazio politico capace di integrare principi del fordismo-taylorismo, del toyotismo, del just in time e produce segmentazione della forza lavoro, genera comando e ordine, raccoglie dati e crea un nuovo campo di esperienza del lavoro vivo e nuove forme di soggettivazione. Su questo tema Into the Black Box interviene per sostenere una tesi molto forte: Amazon non è un approfondimento della tecnologizzazione lavorativa. Partendo dal fatto che il lavoro umano non è così facilmente distinguibile da quello delle macchine concrete e astratte, viene letto come l’estensione del lavoro e del corpo nelle architetture dell’intelligenza artificiale e del machine learning. Il corpo del lavoratore non finisce con la pelle perché i device espandono il lavoro in una configurazione tecno-mediatica che esiste solo in relazione. Siamo davanti al divenire-cyborg che investe pratiche economiche, somatiche e politiche ma anche aspetti molto umani come il linguaggio.
Pensiamo, partendo dalla tesi della centralità del linguaggio nel lavoro moderno di Marazzi, allo sviluppo da parte di Amazon dell’app Say I, cioè un’applicazione di traduzione vocale che migliora le sue performance grazie alla sua gratuità e ai migliaia di utenti che la utilizzano. Tutto ciò le consente di evolvere e affinarsi e di conseguenza l’intelligenza artificiale che si occupa delle traduzioni diventa più performativa. Il lavoro gratuito di una moltitudine di persone permette ad Amazon di migliorare questo suo strumento in un contesto in cui la figura del lavoro e del consumo tendono a sovrapporsi a danno della prima. Un altro esempio in tal senso viene da Alexa, un sistema di intelligenza artificiale basato su tecnologia cloud e utilizzato come assistente vocale. Si tratta di un software a cui possiamo accedere tramite smartphone o dispositivi domotici come gli smart speaker Amazon Echo. La loro enorme diffusione nelle nostre case contribuisce a ridurre il parlato ad una serie di codici e di conseguenza industrializza la parola sia nel lavoro che nella vita quotidiana. Per Into The Black Box Alexa porta alla diffusione di un agire tecnicizzato coerente con l’esigenza di chiarezza e brevità del messaggio. In questo modo viene impoverito il linguaggio tramite la sua meccanizzazione accelerata dai sistemi informatici. Questi processi sono anche funzionali alla logica del just in time. La parola, infatti, ha bisogno di tempo ed è eterogenea mentre Amazon ha bisogno di risparmiare tempo e affettare la complessità. La riduzione meccanica del messaggio tramite l’utilizzo di centralini automatici minimizza la parola e il contatto fisico ma in questo modo si apre ad una radicale ambivalenza. Da un lato Alexa ci porta in un mondo fatto di ordini e comandi che nel lavoro si traduce in una macchinizzazione dei pezzi di conoscenza del lavoro vivo e in una forza lavoro dalla parola dimidiata e isolata. Dall’altro lato apre ad una semplificazione dell’universo socio-tecnico tramite il superamento della dicotomia uomo-tecnica. Questo significa favorire una democratizzazione dell’accesso alle nuove tecnologie. A questo punto occorre tornare alla dinamica antagonista propria dello sviluppo che produce tutto ciò, ovvero il conflitto tra la continua spinta verso l’autonomia del lavoro vivo dal capitale e quella per la sua espropriazione.
Questo discorso spinge Into The Black Box ad indagare meglio l’economia di piattaforma a partire dal Marx dei Grundrisse. Per il collettivo al suo interno si cela una doppia faccia insita nelle tecnologie che contengono sia una stratificazione di lavoro morto che elementi di general intellect. Le tecnologie sono sia strumenti di oppressione nel loro uso capitalistico che potenzialmente strumenti di liberazione tramite possibili contro-utilizzi. Dobbiamo domandarci quale potrebbe essere un uso alternativo di una macchina come Amazon non orientata al profitto. Per fare una simile operazione dobbiamo andare oltre l’immaginario che crede di poter realizzare simili obiettivi cambiando segno al comando di questi strumenti. In breve, non basta impadronirsi degli strumenti tecnologici diventandone controllori e non controllati per trasformare il capitalismo delle piattaforme in tecnologie di liberazione. Approfondendo il tema, per Into The Black Box occorre rinunciare all’idea di un soggetto che controlla lo strumento perché il rapporto con l’oggetto tecnico non si svolge più secondo le modalità del mondo industriale e si va definendo come un’ecologia complessa e stratificata. Il nostro sforzo deve essere orientato ad imparare a conoscere la macchina nella sua realtà reticolare senza pensarsi come il possibile padrone delle macchine ma come co-agenti di un mondo che co-evolve. Questo discorso non esclude la necessità di organizzare i cyber worker per creare agglomerazioni di contro-forza per incidere sui processi. Quello che per il collettivo occorre fare è approfondire un movimento in cui il farsi-potere del lavoro vivo è capace di muoversi su un continuum tra riappropriazione e abolizione strutturale di un modo di vivere e produrre.
Amazon è un modello di sovrapproduzione di merci e oggetti che finisce per sottrarre risorse da destinare alla riproduzione sociale e per questo motivo va combattuto ma senza rinunciare all’elemento di abbondanza di Amazon che deve però essere tolto alla prospettiva di una crescita infinita orientata al profitto per essere integrato dentro un’economia non più basata sulla scarsità ma sull’abbondanza. L’analisi dell’Amazon Capitalism non può essere completa senza parlare di come cambiano le soggettività dei lavoratori. L’ipotesi di Into The Black Box è che oggi si debba parlare di soggettività circolante quando ci si relaziona alla forza lavoro di Amazon. L’idea rimanda alla continua circolazione dei soggetti e del lavoro. Si tratta di una risposta all’esistenza di una working class mobile, distribuita e che vive in simbiosi con una forte dimensione tecnologica. Inoltre il concetto serve a complessificare l’idea, da approfondire in futuro, di circulation struggles di Joshua Clover. Queste lotte si riferiscono al blocco metropolitano o delle infrastrutture promossi da movimenti come Black Lives Matter o i No TAV ma andrebbero estese anche al settore della logistica e alle piattaforme digitali in generale. Si può così identificare una produzione di soggettività in filiera che finisce per intersecare molti aspetti e intrecci dentro la sfera della circolazione definita in senso ampio. Il soggetto circolante pone due temi sul tavolo, quello dell’organizzazione sistemica e del comune. Per quanto riguarda il capitalismo delle piattaforme, dice Into The Black Box, siamo davanti ad un modello che è diventato ecosistema in cui il cervello è la finanza, la superficie è quello dello scambio delle merci e il sotto è il codice, degli algoritmi, del web e della produzione di dati.
Per quanto riguarda quest’ultimo livello possiamo dire che lavora su una materia prima immediatamente sociale perché i dati non esistono senza interazione, i dati sono una relazione e non una proprietà. Manipolare i dati porta a schemi di cooperazione che finiscono per organizzare le relazioni sociali. Perciò, per andare oltre la dicotomia pubblico contro privato occorre capire che realtà come Amazon si fanno società. In questo processo Amazon deve continuamente indirizzare, confinare e verticalizzare per i suoi scopi la produzione e circolazione dei dati. Per riuscire in questo intento Amazon deve impoverire le capacità umane viventi per mezzo della distruzione di potenzialità e immaginari altri. Siamo davanti ad una battaglia sulla società che va oltre lo scontro tra pubblico e privato. L’elemento circolatorio della soggettività va ricondotto anche alle caratteristiche tecniche della composizione di classe contemporanea. Le piattaforme spingono per rafforzare l’aspetto fluttuante della forza, il continuo turnover, l’investimento sul lavoro potenziale a cui possono attingere dai bacini di forza lavoro metropolitani. Per quanto riguarda gli aspetti politici, il cambiamento continuo di lavoro esprime anche un desiderio di flessibilità e autonomia che impone di immaginare una capacità di articolazione continua su più livelli. Non si tratta di trovare il punto centrale ma di interconnettere, estendere e consolidare trame e infrastrutture di conflitto in piattaforme politiche. La soggettività circolante va anche pensata come un vasto insieme di comportamenti soggettivi già in atto. Pensiamo allo spazio di tensione interno all’idea di turnover dove emerge l’interesse del lavoro vivo non a rimanere il più possibile dove lavora ma a circolare in più settori. Qui si aprono ampi spazi per nuove sperimentazioni oltre le forme di lotta tradizionali per i sindacati.
16/12/2024 https://www.legauche.net/
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