Colpisce con quanta determinazione e pervicacia tutto il sistema di potere che si sta costruendo a difesa delle politiche d’austerità racconti menzogne sulla fine della recessione. I media mainstream periodicamente diffondono le rassicuranti dichiarazioni di ministri, sottosegretari e lacchè vari che ci vorrebbero alla fine del tunnel, fuori ormai dalla crisi. L’Istat si è incaricata ieri di fornirci un’immagine del paese ben diversa dalla realtà di regime destinata al malcontento (…)
E’ ripresa l’emigrazione mentre, a dispetto della vulgata xenofoba, frena e non poco l’immigrazione da altri paesi. Negli ultimi cinque anni 100.000 giovani hanno lasciato l’Italia per cercare lavoro altrove. Nel 2013 sono stati cancellati 478.000 posti di lavoro, un pesantissimo -2,1 rispetto al 2012, ovvero il calo più consistente dell’ultimo quinquennio. Il dato sulla disoccupazione, peraltro sotto stimato, parla di 6 milioni e trecentomila senza lavoro. Sarebbero 3 milioni i nuclei familiari in cui nessuno dei componenti ha un lavoro.
La fotografia cioè di un processo che, lungi dall’essere finito, continua a produrre impoverimento e disoccupazione. Il paese sta rapidamente sprofondando grazie alle politiche criminali dei governi dell’austerità, all’immobilismo ed alla complicità del sindacato che sta accompagnando questi processi, senza contrastarli davvero. E l’attacco continua. La Confindustria ha presentato qualche giorno fa le sue proposte al governo. Da una parte incassano tutte le controriforme che hanno cancellato diritti e tutele, a partire dalla liberalizzazione del contratto a tempo determinato voluta dal governo Renzi e dall’altra rilanciano, chiedono tutto. La cancellazione del contratto a tempo indeterminato e di ciò che è rimasto a tutela dei licenziamenti previsto dall’ex art.18 dello statuto dei lavoratori. Chiedono di rivedere la legge 223 sui licenziamenti collettivi per non applicare più i criteri li previsti, cosa che impedisce loro la libera scelta su chi cacciare dalle imprese. Pretendono la formale cancellazione dei contratti nazionali sulla base di un’assurda, e vergognosa, tesi per la quale il costo del lavoro in Italia sarebbe troppo elevato.
Una vera e propria dichiarazione di guerra che sta passando clamorosamente sotto silenzio. Nulla dice la Cgil che ha appena finito un congresso parlando esattamente d’altro e che si appresta a costruire una piattaforma unitaria con Cisl e Uil alla disperata ricerca di legittimazione da parte del governo anziché rimettere al centro della propria iniziativa rivendicativa la condizione di lavoratori, pensionati, giovani e di aprire su questo un vero conflitto sociale. Un tentativo destinato a fallimento certo, per una ragione molto semplice. Quella strada non ha nessuna possibilità di successo nei confronti di un Renzi pronto a “farsi una ragione” delle richieste di Cgil Cisl Uil, specialmente dopo il suo trionfo elettorale, e nessuna volontà di produrre quel conflitto indispensabile a imporre altre scelte di politica economica e sociale. La salita di massa sul carro del vincitore non attenuerà minimamente l’impeto rottamatore Renziano, anzi, essa disarma ogni resistenza necessaria e rende solo il quadro più desolante. Un impeto inevitabilmente destinato a divenire una vera e propria valanga nel prossimo periodo. Che rischia di travolgere la stessa ragion d’essere di un sindacalismo in drammatica crisi di credibilità e affamato di risultati. Renzi, per il suo disegno reazionario, sfrutta la crisi del sindacato, i suoi errori e la sfiducia di massa che lo circonda. La Cgil, il vero obbiettivo della rottamazione, si è posta su una strada suicida. Quando il suo gruppo dirigente si renderà conto che così la Cgil non serve al governo, ai padroni, ne ai lavoratori, sarà troppo tardi.
Sergio Bellavita
Direttivo nazionale Cgil
29/5/2014 www.rete28aprile.it/
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