La resistenza popolare antinazista in Unione Sovietica
(Prima parte)
di Luciano Beolchi
Chi ha qualche confidenza con la letteratura di divulgazione militare– assai diffusa e potente in tutti i paesi occidentali, Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Spagna, Italia e naturalmente Germania – sa che uno degli argomenti ricorrenti e apprezzati di quelle coloratissime riviste è l’esaltazione della Wehrmacht, della Blitzkrieg, delle armi e dei simboli che la rappresentano.
I libri storici divulgativi che gli vanno al seguito esaltano anch’essi efficienza e professionismo dell’esercito tedesco evitando accuratamente di accennare alla politica terroristica condotta in tutta Europa, in misura devastante in quella dell’est. Assoluta è l’interdizione di ogni riferimento a crimini di guerra e a crimini contro l’umanità come pure ai campi di sterminio e ai campi di prigionia che per i prigionieri russi erano identici ai primi. Si cancella il fatto che non furono solo le SS, ma tutti i reparti combattenti della Wermacht a macchiarsi di crimini atroci in ogni parte d’Europa, ma con ferocia decuplicata in Russia, garantiti per altro dall’esplicita direttiva dell’OKW che vietava alle autorità militari e civili di prendere provvedimenti contro militari accusati di reati contro civili.
Questa vasta platea di apologeti del nazifascismo, tra un’esaltazione e l’altra della guerra lampo e dei suoi generali, si lascia sfuggire il rammarico che se i tedeschi non fossero stati così duri con la popolazione civile – e qui si parla soprattutto dell’Est Europa e della Russia in particolare – probabilmente avrebbero potuto conquistare il sostegno della popolazione e vincere la guerra.
Su questo argomento, che pervade non solo tutta la pubblicistica bellicista filofascista, ma anche la letteratura cosiddetta obiettiva di marca anglosassone, a partire da storici rispettabili come Anthony Beevor (Stalingrado), Chris Bellamy (Guerra Assoluta), B.H. Liddel Hart (Storia militare della seconda guerra mondiale), Alan Clark (Barbarossa), (Harrison Salisbury (I 900 giorni), etc., si innestano due errori grossolani. In primo luogo si considera con sufficienza lo spirito patriottico del popolo russo così profondo e radicato nella sua storia; in secondo luogo, e questo è metodologicamente più grave si finge di ignorare che la crudeltà, le sevizie e il terrore non furono occasionali, ma accuratamente predisposte ed esposte pubblicamente da quando il Mein Kampf annunciava lo sterminio degli ebrei, degli zingari e degli slavi in quanto untermenschen, fino a quando si preparò e si attuò il Piano Barbarossa di assalto alla Russia. In tutto questo non c’è niente di casuale o di improvvisato e dunque di storicamente secondario o trascurabile, a partire dai quattro Eisantzgruppen, distribuiti all’interno dei territori russi occupati che non ebbero mai compiti militari, ma bensì quello di sterminare – ciascuno di loro- almeno 300.000 ebrei e comunisti nei primi sei mesi di guerra; e lo stesso vale per i battaglioni di collaborazionisti ucraini che entrarono in Russia al seguito della Wehrmacht il 22 giugno 1941, anche loro con l’unico compito di effettuare la pulizia etnica contro comunisti, ebrei, zingari e polacchi.
La pianificazione dell’assalto
Poiché la documentazione originale dell’OKW (Oberkommando der Wehrmacht) e OKH (Oberkommando des Heeres) risulta più attendibile di quella manipolata dagli autori anglosassoni non si meravigli il lettore se le note seguenti sono ricavate in gran parte da documenti tedeschi rielaborati dall’esercito americano in un pamphlet del 1956 di Eduard M. Howell[1].
Non si capisce la guerra partigiana nei suoi tempi, modi e risultati se non si parte da come era stato pianificato e venne poi attuato il regime d’occupazione e prima ancora dalle condizioni geofisiche che caratterizzano la vastissima pianura sovietica dal Mar Baltico al Mar Nero.
Questa pianura attraversata da poche strade e ferrovie – si calcolava per l’Unione Sovietica del tempo una densità ferroviaria di 17.5 chilometri di strade ferrate per 1000 chilometri quadrati pari a 1/10 della densità ferroviaria tedesca che era di 156 chilometri per 1000 chilometri quadrati. La densità stradale non era molto superiore e una sola era la strada di grande comunicazione sulla direttrice Mosca, Smolensk, Minsk, Varsavia.
I fiumi, molto numerosi, scorrono da Nord a Sud rappresentando un ostacolo all’invasione anche perché il terreno non favorisce la costruzione di ponti. A parte l’enorme regione acquitrinosa delle paludi del Pryp’jat (oltre 150.000 Km2) numerose sono le zone paludose ai confini tra i Paesi Baltici, la Bielorussia e la Russia; mentre le enormi foreste rappresentano un ostacolo altrettanto impenetrabile delle paludi. Ciononostante l’Operazione Barbarossa nei primi quattro mesi riuscì quasi a raggiungere i suoi obiettivi che erano Mosca, Leningrado e il Caucaso.
Per Mosca e Leningrado il piano prevedeva che fossero rase al suolo e svuotate di tutti gli abitanti perché la Russia doveva diventare una colonia del Reich, al quale avrebbe dovuto fornire gratuitamente prodotti agroalimentari e materie prime. La produzione agroalimentare in eccesso – giacché la parte destinata alla Germania veniva prelevata a titolo gratuito – sarebbe stata venduta sul mercato internazionale e i profitti relativi si intendevano riservati alla nazione tedesca.
In quest’ottica, non aveva senso per il Reich dare da mangiare alla popolazione della grandi agglomerazioni urbane: la Russia andava ridotta a paese integralmente rurale, attraverso una guerra che fu condotta con metodi e finalità coloniali, distruggendo il sistema sociale ed economico pre-esistente esattamente come si era fatto in Africa e in Sudamerica e si tentò di fare in Cina, sostituendolo con un altro sistema di tipo schiavistico o semischiavistico.
Il destino previsto non era lo stesso per tutta l’Unione Sovietica. Per i Paesi Baltici, una volta effettuata la pulizia etnica che cominciò ad opera degli stessi baltici ancor prima dell’arrivo delle truppe tedesche, si prevedeva l’ingresso nel Reich tedesco a titolo di popolazione germanica.
Per il resto il territorio russo occupato andava suddiviso tra singoli stati indipendenti, ma con caratteri diversi tra loro, anche se beffardamente si usava per descriverli la qualifica di socialisti. Tutti questi territori andavano comunque “preparati” a svolgere le funzioni assegnate loro e quella preparazione era affidata agli Einsatzgruppen di Himmler incaricati di sterminare ebrei, comunisti. minoranze razziali come gli zingari e in genere quei ceti sociali che per cultura e per esperienza potevano rappresentare la classe dirigente di un popolo che invece doveva essere composto esclusivamente di braccianti, con un livello di istruzione minimo.
Dopo la preparazione fatta da Himmler e dalle sue SS sarebbe dovuto intervenire un regime commissariale che divideva la Russia europea in tre grandi aree i cui capi afferivano direttamente al Fuhrer. Tale piano fu definito nei suoi aspetti generali in due conferenze che si tennero il 21 e il 31 luglio 1940 a Berlino.
Il piano per la formazione dei nuovi stati non è sufficientemente chiaro anche perché non si andò oltre la configurazione intermedia basata sui Commissariati; comunque la Bielorussia avrebbe dovuto diventare un protettorato del Reich con legami progressivamente più stretti con la Germania.
L’Ucraina avrebbe dovuto diventare uno stato indipendente alleato della Germania; il Caucaso e la Transcaucasia sarebbero dovuti diventare una federazione di Stati caucasici sotto un proconsole tedesco, con basi militari navali e terrestri tedesche e sfruttamento diretto da parte del Reich dei giacimenti petroliferi. La Crimea sarebbe dovuta diventare territorio del Reich una volta che i coloni tedeschi ne avessero espulso Russi, tartari e ucraini. Un luogo di vacanze per cittadini tedeschi
Anche l’area Don-Volga avrebbe dovuto essere assorbita in una grande Germania. Restava ancora vaga la destinazione della Russia Centrale e di quella del Nord, nonché degli Urali.
Nella fase intermedia, che è quella che effettivamente si realizzò, il controllo dei territori fu esercitato da tre Commissariati che afferivano a Alfred Rosemberg[2] che il 17 luglio 1941 era stato nominato ReichsMinister per i territori orientali occupati. Il suo scopo politico, chiaramente espresso nella Conferenza del 21-31 luglio dell’anno precedente, era di eliminare ogni minaccia proveniente da Est e nel frattempo garantire il sostentamento delle truppe combattenti con le risorse locali, a costo di lasciar morire di fame la popolazione.
La struttura commissariale avrebbe dovuto garantire chiare, definite e univoche responsabilità, nelle mani appunto dei commissari, senza interferenza dell’esercito e con la sovrintendenza di Rosenberg. Senonché la posizione e le ambizioni di Himmler e di Goering minacciarono fin da principio la funzionalità di questo schema. Himmler aveva nei territori russi occupati la stessa autorità su tutte le forze di polizia, comprese quelle locali, che aveva in Germania[3], mentre Goering, nella sua qualità di ReichsMinister per il piano quadriennale, era la massima autorità del Reich per tutto ciò che riguardava le risorse umane e materiali da estorcere ai paesi occupati. Ben presto sarebbe entrato in lizza anche l’architetto Speer, responsabile degli armamenti e di tutte le risorse destinate alla guerra in corso.
Lo schema militare tedesco assegnava alle truppe combattenti la responsabilità della zona di combattimento (Gefechtgebiet) e un’area di retrovia (Koruek) di cui era responsabile ciascun comandante che operava al fronte. Il Koruek tedesco corrisponde alla Communications Zone dell’esercito americano e deve assolvere tutti compiti di logistica, di rifornimento e di sicurezza che garantiscono l’operatività delle truppe di prima linea. Per fare questo l’esercito tedesco si basò su specifiche strutture di sicurezza che erano le FeldKommandaturen, uffici regionali di sicurezza; sulle KreiskKommandaturen, uffici di sicurezza nelle aree rurali e Orst Kommandaturen per garantire sicurezza nelle piccole città e agglomerati urbani. Per la normale attività di polizia e per garantire la sicurezza delle comunicazioni si valeva della Feld Gendarmerie, ossia della polizia militare.
Questa era una prima linea con cui di confrontavano le formazioni partigiane; dietro di loro, nei Commissariati, agivano forze di sicurezza che non dipendevano più dalle gerarchie di prima linea.
A questo scopo erano state destinate 9 divisioni che furono denominate SicherungsDivisionen. La loro missione era “la sicurezza, lo sfruttamento del territorio e l’amministrazione militare” alle spalle della prima linea. Ad ognuno dei tre gruppi di armate era stato assegnato un Quartier Generale per le retrovie e tre divisioni di sicurezza.
Ogni divisione di sicurezza fu rinforzata con un reggimento di fanteria e un battaglione di artiglieria. Almeno sei di questi reggimenti che dovevano costituire le unità d’allerta avevano esperienza di combattimenti in Polonia e in Francia. Il resto della divisione era fatto da Landeschutzen, truppe territoriali con piccoli complementi di segnalatori radio-operatori, genieri. Oltre alle unità dell’esercito, a ogni divisione di sicurezza era assegnato un battaglione motorizzato di Ordsung Polizei (ORPO). Lo staff e l’equipaggiamento di queste divisioni riflettevano l’origine raccogliticcia delle divisioni stesse. Gli ufficiali erano ufficiali della riserva privi di esperienza o ufficiali anziani, scarsamente addestrati e all’oscuro di tecniche di spionaggio e controspionaggio. Solo i reggimenti d’allerta erano adeguatamente equipaggiati e armati, per gli altri poteva accadere che tutte le armi individuali fossero francesi o belghe o cecoslovacche. Tutti i veicoli erano di marca straniera senza pezzi di ricambio e a volte senza gomme.
Tre reggimenti di fanteria e nove battaglioni territoriali avevano solo le biciclette, mentre cinque battaglioni erano motorizzati. L’addestramento era scarso. Il primo compito era la sorveglianza degli aeroporti, magazzini, strade, depositi, la sorveglianza e l’evacuazione di prigionieri di guerra. Loro compito era di reprimere tutte le manifestazioni di resistenza attiva o passiva della popolazione civile.
I territoriali erano specialmente addestrati a compiti di sorveglianza, ma anche di attaccare e rastrellare i villaggi e di fermare i convogli e vigilare il traffico. Erano in grado sostanzialmente di appoggiare ma non di eseguire operazioni di attacco su larga scala. Oltre a queste truppe furono arruolate come in tutti i paesi occupati polizie collaborazioniste e collaborazionisti civili, di cui tratteremo nella seconda parte.
Resistenza sovietica e prime formazioni partigiane
Contrariamente a quanto sostiene la letteratura occidentale già citata, la resistenza sovietica all’aggressione tedesca fu, a detta degli stessi tedeschi, accanita, forsennata e fanatica fino dai primi mesi. Il che non significa necessariamente efficace, come vedremo
I tedeschi parlano di accanita difesa della fortezza di Brest Litovsk (giugno-luglio 1941), di dura difesa della sacca di Minsk (30 giugno-10 luglio1941) e della sacca di Smolensk (16 luglio-10 agosto 1941), di accanita resistenza al lago Ilmen, di forte resistenza incontrata dal Gruppo di Armate Centro in marcia verso Mosca, (dal 9 agosto in avanti), di violenti contrattacchi subiti dall’armata corazzata di Guderian diretta verso Kiev (6 agosto 1941).[4] Di due mesi di resistenza accanita in occasione dell’assedio di Odessa (agosto-ottobre 1941). Di un anno intero di assedio di Sebastopoli (estate 1941-estate 1942). Tra l’ottobre 1941 e il gennaio1941 seguì la battaglia di Mosca, prima importante vittoria offensiva dell’Armata Rossa, che registrò un contrattacco su Smolensk, (novembre 1941) da parte di un nemico che veniva definito dai tedeschi deciso e ostinato e che li fece arretrare di oltre 100 chilometri[5], mentre battaglia dura fu definita quella del 25 novembre 1941 lungo il canale Mosca-Volga.
E tuttavia, a causa della superiore strategia tedesca, le perdite russe furono immense: nei primi quattro mesi furono fatti prigionieri 2.200.000 soldati sovietici. Le perdite tedesche irrimediabili dei primi due mesi (al 13 agosto 1941) ammontavano a 389.000 uomini e secondo valutazioni dell’OKW, al 24 agosto le divisioni di fanteria avevano perso il 40% della loro capacità offensiva e le forze corazzate il 50%. All’inizio dell’attacco alla battaglia di Mosca l’esercito tedesco contava 756.000 perdite, di cui 200.000 caduti di cui 8000 ufficiali (generale Halder). Ne aveva avuto 110.000 in tutte le precedenti campagne del 1939-1940.
Organizzazione della resistenza nei territori occupati
La resistenza partigiana fu in parte spontanea, ma in misura rilevante organizzata dal Partito Comunista con larga partecipazione di iscritti al partito e al Konsomol.
Il 3 luglio 1941 Stalin aveva fatto il suo primo discorso al popolo sovietico dall’inizio dell’attacco. Il discorso è quello che comincia con “Compagni, cittadini, fratelli e sorelle… e fa con un lungo riferimento proprio all’importanza della lotta partigiana alle spalle del nemico. “In caso di ritirata forzata delle unità dell’Armata Rossa tutto il materiale rotabile deve essere evacuato; al nemico non deve essere lasciato un singolo motore, non una sola libbra di grano o un litro di combustibile. I contadini del kolchoz e dei sovchoz devono portare via le bestie e trasferire il loro grano ai depositi statali perché sia trasportabile nelle retrovie. Tutti gli oggetti di valore, inclusi i metalli non ferrosi, il grano e il carburante che non può essere portato via deve essere distrutto senza eccezione. Nelle aree occupate dal nemico devono essere costituite unità partigiane, a cavallo o a piedi; devono essere organizzati gruppi di sabotatori per combattere il nemico e sviluppare la guerra partigiana dappertutto, far esplodere ponti e strade, danneggiare le linee teleferiche e telefoniche, dar fuoco alle foreste, ai depositi e ai trasporti. Nelle regioni occupate le condizioni devono diventare insopportabili per il nemico e i suoi complici…”.[6]
Fin dalle prime informazioni l’Alto Comando tedesco si convinse che Stalin e la Stavka intendevano promuovere una guerra partigiana su larga scala sotto la direzione del Partito e del NKVD
I tedeschi e la popolazione
La violenza e le atrocità che caratterizzarono dall’inizio l’occupazione tedesca derivano da ordini precisi e metodici, a partire dall’OKWl fino ai Comandanti d’armata e di divisione e a tutti i comandanti locali.
Particolarmente significativa la disposizione generale: “In ogni caso di resistenza alle forze di occupazione germaniche, quale che siano le singole circostanze deve essere interpretato come di origine comunista. Al fine di troncare sul nascere queste macchinazioni bisogna prendere al primo accenno le più drastiche contromisure, in modo da mantenere l’autorità delle forze di occupazione e evitare un’ulteriore diffusione. A questo proposito si ricordi che nei paesi in agitazione una vita umana non conta nulla e l’effetto deterrente si ottiene solo con una severità fuori dall’ordinario. La pena di morte per 50-100 comunisti dovrebbe essere considerata una ragionevole riparazione per la vita di ciascun soldato tedesco. La maniera in cui la sentenza viene eseguita deve essere tale da aumentare l’effetto deterrente. Un atteggiamento opposto, quello cioè di imporre punizioni relativamente morbide e di accontentarsi dell’effetto deterrente di ulteriori future più severe misure non si accorda con questi principi e di conseguenza non dovrebbe essere seguita”.[7]
L’OKH si distinse nell’allargamento della definizione di partigiano, qualifica che comportava una sola alternativa: fucilazione o impiccagione.
Il prigioniero di guerra era definito combattente o non combattente a seconda dello stato di belligeranza (fonte: Der Chef des Heeres Justizwesens – Capo del servizio giuridico dell’esercito).[8] Il 3 luglio il servizio giuridico emanava la seguente direttiva:
“I soldati in uniforme, con o senza armi, sono considerati belligeranti legittimi. Quelli in abiti civili, con o senza armi, in considerazione dell’età e dell’aspetto possono essere considerati prigionieri di guerra. Civili o in abito civile o mezzo militare con armi, sono considerati guerriglieri”. Più precisamente (18 luglio 1941): “Tutti coloro che non indossino l’uniforme o insegne riconoscibili dalle forze opposte, saranno considerati guerriglieri” i.e.: fucilati o impiccati.
In ogni caso, proseguono le direttive: “Gli abitanti delle città e dei villaggi che aiutavano tali persone erano trattati con le stesse regole”. Fucilati o impiccati.[9]
Il 25 luglio lo stesso servizio giuridico aggiungeva: “I soldati sbandati nelle retrovie, in uniforme o in abiti civili dovevano essere avvisati di consegnarsi alla più vicina autorità germanica”. Se non lo facevano entro una certa data (prima il 15 agosto, poi il 31, poi il 5 settembre) sarebbero stati fucilati o impiccati.
Tutti i paracadutisti andavano fucilati o impiccati, come pure i commissari politici. Ugualmente ogni soldato russo nelle retrovie che dopo il combattimento che lo aveva isolato tornasse a combattere sarebbe stato trattato come un guerrigliero: fucilato o impiccato.[10]
In generale, dopo un primissimo tempo in cui si offrivano 3.000 rubli a chi forniva informazioni s’imboccò pienamente e completamente la strada del terrore di massa.
In questa prima fase i reparti addetti alla sicurezza dei territori occupati[11] si limitavano a occupare le maggiori città, a sorvegliare strade e ferrovie sulle vie di rifornimento del fronte, i depositi e i ponti importanti mentre i reggimenti di allerta venivano utilizzati per “ripulire” le sacche accerchiate o per far fronte a tentativi massicci di insurrezione.
Le unità di sicurezza furono quasi subito appoggiate in Ucraina da forze locali che costituirono Unità ucraine di sicurezza fin dal mese di agosto numerose unità partigiane cominciarono a interrompere le comunicazioni a Sud del Pryp’jat.
Lo stesso accadde in Estonia con la formazione di Schutzmann-schaff Abterlung, battaglioni di 330 uomini con un ufficiale tedesco in comando e sottoufficiali tedeschi in subordine.
Il 25 luglio 1941 i tre Paesi Baltici furono staccati dalla giurisdizione militare e trasferite al Reichkommisariat Ostland. I gruppi di Armate Nord e Centro fornivano al Reich Kommissariat una Divisione ciascuno. Il 1° settembre il Reichkommissariat Ukraine assunse giurisdizione sull’Ucraina Occidentale e il 20 si estese fino al Dnepr.
Male addestrate e con mezzi insufficienti le unità di sicurezza tedesche combatterono i partigiani in maniera disordinata e anarchica e con “l’uccisione non necessaria di un gran numero di civili”.[12] Quello su cui tutti erano d’accordo era che per stroncare la resistenza occorreva instaurare il regno del terrore. Alla richiesta di rinforzi da parte dei comandi delle truppe d’occupazione, l’OKW rispose: “Le truppe disponibili per mettere in sicurezza le regioni conquistate dell’Est saranno sufficienti – considerata la loro vasta estensione – solo se la potenza occupante elimina ogni resistenza, non legalmente punendo il colpevole, ma invece diffondendo quel tipo di terrore che è l’unica maniera per togliere alla popolazione ogni desiderio di opporsi… I comandanti devono trovare il modo di tenere i loro distretti in ordine impiegando le necessarie draconiane misure e non richiedendo nuove forze di sicurezza”.
In settembre, come abbiamo visto, arrivò la disposizione di uccidere 50-100 persone per ogni tedesco vittima delle resistenze. I tedeschi che nella loro propaganda continuavano a presentarsi come i liberatori disseminavano l’Ucraina di stragi, di divieti, di ordini, di requisizioni. I primi campi di concentramento furono aperti e riempiti dalla popolazione civile a Sud di Leningrado, mentre restavano sotto gli occhi di tutti i prigionieri di guerra sovietici che morivano di fame per strada perché per loro non c’era né cibo né acqua. Ai cittadini era fatto divieto di fornirgliene, pena la fucilazione sul posto
È evidente che in questa fase uno dei bersagli del movimento di resistenza furono i collaborazionisti e in particolare quelli che rifornivano i tedeschi anche a partire dai kolchoz che i tedeschi pretendevano continuassero a lavorare nelle condizioni precedenti per nutrire il loro esercito.
È con rammarico e non senza nascondere un certo dispetto che l’autore del citato opuscolo dell’esercitoamericano riconosce che con un piccolo sforzo in più e anticipando di qualche mese il cambio di tattica che operarono, a suo dire, nel 1942 i tedeschi sarebbero riusciti probabilmente a conquistare i cuori e le menti dei nativi – come li chiama lui – e a sconfiggere la resistenza. Questa elaborazione di documenti militari tedeschi fu pubblicata nel 1956, in piena guerra fredda e pagina dopo pagina l’autore si lascia andare al rammarico: perché quella guerra si poteva anche vincere. Gli Einsatzgruppen, lo sterminio degli ebrei, degli zingari e dei comunisti si sarebbe sempre potuto attribuire ai corpi militari e alle polizie deviate, alle SS, all’SD, all’ORPO. Magari al solo Himmler come si era fatto con Rohm e le sue SA. L’importante è tenere ben distinta l’attività dell’esercito – dura, ma pulita – da quella degli “altri” di cui a scanso di equivoci non si parla affatto.
Anche l’esercito bruciava i villaggi, impiccava e fucilava i civili; anche l’esercito rinchiudeva la popolazione e poi dava fuoco agli edifici? È vero, lo faceva anche l’esercito ma si dava da fare per spiegarne le ragioni; e se usava metodi feroci e raccapriccianti era solo perché le cose si devono fare per bene; e se bisogna terrorizzare – perché quello era l’ordine e lo scopo dell’ordine – certe modalità sono addirittura protocollari.
Il costante riferimento alla Convenzione dell’Aja e di Ginevra scompare quando si parla di lavoro forzato, di riduzione in schiavitù, di deportazioni di massa di civili, di violenze e rapine di ogni tipo di cui danno conto i documenti tedeschi. Tornano a far bella mostra di sé quando si parla della deportazione staliniana dei tartari di Crimea che a migliaia si erano arruolati coi tedeschi e che avevano venduto quando non torturato i partigiani; e che alla fine furono deportati in 184.000. Non viaggi di piacere sicuro, ma a loro fu concesso di farli in treno e non a piedi e per contare i morti, arrivando alla cifra di 30000 deceduti bisogna lasciare passare un anno e mezzo e una devastante epidemia di tifo, quando in tutta l’URSS imperversavano il tifo e la denutrizione; e non era stato Stalin a procurarli.
Alle origini della resistenza sovietica
La risposta popolare all’invasione fu immediata e, stando agli stessi documenti dell’esercito di occupazione, la resistenza non aspettò l’arrivo dei tedeschi per organizzarsi. Stando alle informazioni in possesso dell’esercito di occupazione, la resistenza si organizzò nel modo seguente
1) Battaglioni di annientamento. Il 10 luglio il movimento partigiano fu creato ufficialmente e messo sotto l’autorità del 10° dipartimento dell’Amministrazione Politica dell’esercito che era la sezione dell’Amministrazione Centrale di propaganda politica dell’esercito, diretta dal generale Mechljs , a sua volta sotto il controllo diretto del Comitato Centrale del PCUS. Tutte le unità partigiane dovevano essere portate sotto il comando di Mosca il più presto possibile. Un ordine simile fu trasmesso attraverso il Partito a tutte le aree che erano sotto minaccia di attacco da parte dell’esercito hitleriano. L’ordine – del 10 luglio 1941- proveniva dal Consiglio dei Commissari del Popolo e dal Comitato Centrale ed era indirizzato a tutte le amministrazioni perché si costruissero unità partigiane nelle fabbriche, nel sistema dei trasporti, nelle fabbriche collettive e in quelle di Stato. I battaglioni di annientamento e di distruzione erano organizzati dall’NKVD e comprendevano membri del Partito Comunista e del Konsomol, operai, membri della Riserva dell’Armata Rossa e volontari. Ciascuna unità era formata da un centinaio di uomini e donne, almeno i l90% dei quali erano membri del Partito o del Konsomol.
Alla testa di ogni battaglione c’era un ufficiale della riserva o un dirigente locale del Partito. Compito dei battaglioni di annientamento era distruggere tutte le risorse produttive, i magazzini, le riserve che non si era riusciti a portare a Est e che l’Armata Rossa non era riuscita a distruggere ponti e ferrovie e mantenere i collegamenti, in particolare tra partigiani e Armata Rossa. Dovevano armarsi e nutrirsi con le sole proprie forze. Nessuno aveva una divisa completa. Per quanto fossero armati come unità dell’esercito non erano addestrati militarmente e non era previsto che fossero impiegati in prima linea. Normalmente vivevano alla macchia. Alla fine del mese di luglio 1941 la 285a Divisione di sicurezza (tedesca) riportava che nell’area di sua competenza aveva identificato una cinquantina di questi battaglioni.[13]
Le organizzazioni del Partito Comunista passavano in clandestinità già in previsione dell’arrivo del nemico: una parte dei dirigenti e dei quadri più conosciuti si spostò a Est, una parte passò direttamente in clandestinità secondo le indicazioni date dal centro.
Nonostante l’allerta data con qualche anticipo, non erano dotate di un numero adeguato di armi e soprattutto mancavano quasi totalmente di apparecchi radio, di servizi sanitari e di esperienza militare. Altri gruppi si formarono più o meno spontaneamente in genere dal Komsomol, ma senza contatti e istruzioni precise del partito.
- Unità sbandate dell’esercito. Nei primi mesi di guerra, quando intere armate furono circondate e prese prigioniere nonostante l’accanita resistenza di cui abbiamo detto, centinaia di migliaia di soldati non accettarono di darsi prigionieri e si sbandarono, in genere conservando le armi personali, ma in maniera disordinata e senza collegamenti. Lo scopo iniziale di tutti quanti era di ricongiungersi ai reparti combattenti, ma la linea del fronte si allontanava rapidamente di centinaia di chilometri e diventava impossibile raggiungerla, sicché i reparti sbandati si trasformarono in bande partigiane. Molti di quei soldati sbandati costituirono nel prosieguo un asse portante della resistenza specie quando col tempo riuscirono a unirsi alle formazioni locali, collegando la loro esperienza e capacità militare alla conoscenza dei luoghi e della gente del posto. Furono le formazioni per quanto improvvisate che preoccuparono di più i comandi tedeschi anche se erano rimaste isolate dopo essere sfuggite all’accerchiamento. Presenti soprattutto nei settori settentrionale e centrale del fronte, costituivano tanti piccoli centri di resistenza, la cui completa eliminazione risultava pressoché impossibile, su un terreno difficile e scarsamente mappato e senza potersi valere di un’intelligence adeguata. Fino dai primi giorni di luglio la tenace resistenza di questi gruppi a rastrellamenti creò varie situazioni difficili. Fino dal terzo giorno della campagna il gruppo d’Armate Centro riportava che guerriglieri e sbandati dell’Armata Rossa attaccavano i rifornimenti, ma anche formazioni delle divisioni di sicurezza. E ancora prima del 1° luglio le unità di frontiera del gruppo d’Armate Nord venivano attaccate da tutte le parti da “elementi rossi lasciati indietro”. L’attività di queste formazioni era ancora sporadica e disorganizzata, ma l’OKW se ne preoccupò al punto di trasferire carri francesi alle divisioni di sicurezza in modo che se ne servissero contro i banditi.
- Paracadutisti e unità infiltrate. Al fine di effettuare attività di sabotaggio e informazione piccoli gruppi di paracadutisti vennero lanciati alle spalle del gruppo d’Armate Sud. (Non si segnalano operazioni simili alle spalle dei gruppi d’Armate Nord e Centro). Questi gruppi erano formati da 6-8 persone e furono lanciati dietro le linee nemiche fin dalle prime settimane. Non erano né attrezzati, né addestrati. In generale, come paracadutisti avevano fatto un solo lancio dalla torre di addestramento. I lanci erano imprecisi e le unità faticavano a ricomporsi. Anche l’addestramento come sabotatori era sommario. Per questo motivo e per il numero ridotto di lanci, l’intera operazione fu vista dai tedeschi come un esperimento e un tentativo disperato concepito a caldo nei primi giorni della battaglia.
Altri agenti furono infiltrati attraverso le linee, specie nel settore Nord. Nella maggior parte dei casi si trattava di membri del PC (“funzionari”, dicono i documenti tedeschi) il cui compito era di organizzare unità partigiane operando attraverso le cellule locali del Partito Comunista e gruppi informali di cittadini pro-sovietici. Si formarono così un numero consistente di unità partigiane e fu stabilito una sommaria rete di comunicazione. Queste formazioni partigiane comprendevano da 60 a 80 uomini, suddivisi in gruppi di 10. Erano diretti da dirigenti locali del partito, membri della guardia di frontiera, del NKVD e dirigenti dei kolchoz, dei sovchoz e delle altre aziende collettivizzate.
22 organizzazioni del genere erano state identificate dietro il gruppo d’Armate Nord fin da prima del 13 luglio.[14] Il compito di queste unità era soprattutto di creare una decisa riluttanza della popolazione a collaborare con l’invasore oltre a compiere attività di sabotaggio.
- Sabotatori dell’NKVD. L’NKVD lasciò dietro di sé parecchie migliaia di uomini con compiti di sabotaggio. Anche se ottennero dei risultati clamorosi – per quanto se ne sa, tanto l’attentato al comando rumeno di Leopoli, che l’esplosione della Cattedrale di Kiev sarebbero dovuti alla loro azione di sabotaggio– non riuscirono a dare continuità e stabilità al loro lavoro: soprattutto non riuscirono a collegarsi al movimento clandestino di resistenza che si stava raggruppando nelle foreste, nelle paludi e sulle montagne.
Primi risultati
I primi risultati furono magri ma ciò che più contava è che le popolazioni dei territori occupati non si sentissero sole e abbandonate.
L’attacco al trasporto su rotaia fu micidiale fin da giugno: tra il 22 giugno 1941 e il 16 settembre 1941 furono attaccati con successo 447 treni, gallerie e ponti[15].
Il movimento partigiano diventa autonomo
All’inizio dell’autunno (1941) la direzione del movimento partigiano fu trasferita dall’NKVD (gen. Mechljs) al comando Generale del Movimento Partigiano sotto la direzione del Comitato Centrale del Partito Comunista. Il primo comandante fu il maresciallo Vorošilov.
Il 30 maggio 1942, si costituì in piena autonomia il Quartier Generale del Movimento Partigiano sempre sotto la direzione del PCUS, che contestualmente si applicò con buoni risultati alla ricostituzione del PC clandestino nelle zone occupate.
Al comando del Quartier Generale fu messo Ponomarenko, già primo segretario del PC di Bielorussia con un breve intervallo, tra settembre e novembre 1942, in cui il Comando fu trasferitoa Vorošilov. Con lui il Movimento Partigiano ebbe un ultimo scivolone, perché Vorošilov, sul modello jugoslavo, intendeva trasformare il Movimento Partigiano in un esercito di liberazione che combattesse il nemico in battaglie frontali e avesse il compito primario di liberare il territorio e eliminare le forze avversarie.
Prevalse invece l’indicazione strategica già più volte ribadita: individuare il nemico, minare la sua rete di trasporti, dare fiducia nella popolazione, fornire informazioni sui movimenti del nemico, distruggere le sue riserve, impedirgli le ritirate.
In settembre 1942, Ponomarenko riprese il comando del Movimento Partigiano e il Movimento Partigiano ottenne i suoi più clamorosi successi con la guerra dei binari.
Luciano Beolchi
[1] , Edgar M Howell., The Soviet Partisan movement 1941-1944, studio preparato nel 1956 a cura dello Special Studies Division dell’Esercito Americano.
[2] Eduard M. Howell, The Soviet Partisan Movement, ed. American Army, 1956, pag. 44 n.
[3] Oltre a disporre degli Einsatzgruppen – i reparti di sterminio- che rispondevano solo a lui.
[4] 11 luglio 1941. Raggiunta Kiev, contrattacchi violenti.
[5] La storiografia russa aggiunge quanto ostinata la difesa della fortezza di Brest-Litovsk. Il 21 settembre l’offensiva viene fermata a Leningrado.
[6] Eduard M. Howell, The Soviet Partisan Movement, ed. American Army, 1956, pag. 46.
[7] Questa direttiva fu emanata dall’OKW. L’Ober Kommando der Heeres (OKH) che era il comando supremo dell’esercito tedesco nominalmente subordinato all’OKW (Ober Kommando der Wehrmacht) ma in realtà, dopo il 1941, l’OKH assunse la guida delle operazioni sul fronte orientale e l’OKW mantenne quella sul fronte Occidentale.
[8] Eduard M. Howell, The Soviet Partisan Movement, ed. American Army, 1956, pag.. 59.
[9] Queste direttive, secondo l’opuscolo, ricadevano tutti nei limiti della Convenzione di Ginevra del 1929, relative ai prigionieri di guerra “Rules of Land warfare”.
[10] The Soviet Partisan Movement, pag. 59.
[11] Nelle Fuehrer directives and other top level directives of the German Armed Forced, 1939-1945 (in OKW-WFST) c’è un ordine concernente la legge marziale nell’area dell’Operazione Barbarossa “Per offese compiute da membri della Wehrmacht contro la popolazione indigena”, il procedimento non era obbligatorio anche se lo sarebbe stato in base alla legge militare germanica. Quegli atti dovevano essere perseguiti solo se lo richiedeva la disciplina militare.
[12] Eduard M. Howell, The Soviet Partisan Movement, ed. American Army, 1956, pag.. 54.
[13] Considerando lo scarso numero delle divisioni di sicurezza – in tutte 9 – l’area di competenza di ciascuna poteva essere di 100.000 km2 o più.
[14] Rapporto politico dell’amministrazione per la propaganda politica del fronte Nord Occidentale: Eduard M. Howell, The Soviet Partisan Movement, ed. American Army, 1956, pag. 44
[15] Dati forniti da The Soviet Partisan Movement, pag. 60. Il movimento insurrezionale comunista nei territori occupati. Der Chef des Ober Kommando der Wehrmacht.
24/4/2024 https://transform-italia.it/
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