La ritirata dell’Italia dal Global Compact for Migration
L’Italia non firmerà il Global Compact for Migration, un documento non vincolante alla cui stesura ha contribuito, una bussola per indicare in quale direzione procedere per far sì che la mobilità umana sia fattore di sviluppo, e avvenga in un contesto sicuro, ordinato e regolare. Ci avviciniamo sempre di più alle posizioni del gruppo di Visegrad, nella stolta convinzione che la questione migratoria possa gestirsi rinchiudendosi in casa propria e sottraendosi agli impegni internazionali.
L’Italia non sarà a Marrakech il 10-11 dicembre 2018, e non firmerà il Global Compact for Safe, Orderly and Regular Migration¹ promosso dalle Nazioni Unite nel 2016, sconfessando gli impegni presi dal Ministro degli Esteri e solennemente ribaditi dal Presidente del Consiglio all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lo scorso settembre. Il nostro paese, dopo aver partecipato alle discussioni preliminari e alla stesura del documento, rifiuta di sottoscrivere questo accordo non vincolante, che pur generico e forse utopistico in alcuni suoi punti, è un impegno di civiltà, una bussola per indicare in quale direzione occorrerebbe procedere per valorizzare la mobilità umana come fattore di sviluppo e per conseguire il lontano obbiettivo di una “migrazione sicura, ordinata e regolare”. Nel documento si indicano 23 obbiettivi, quasi tutti in qualche forma già presenti negli accordi, nei trattati e nelle convenzioni internazionali che l’Italia ha sottoscritto nel tempo. Il rifiuto di firmare l’accordo è stato espresso rudemente dal Ministro dell’Interno nello stesso giorno in cui è stato approvato il Decreto Sicurezza che elimina la protezione umanitaria, taglia le risorse agli SPRAR, restringe ulteriormente la coperta corta dei diritti dei migranti. Il Presidente del Consiglio, qualche minuto dopo, si è affrettato a fare la consueta vuota dichiarazione raccontando agli Italiani che è sembrato opportuno “parlamentarizzare” la questione prima di procedere oltre. La ritirata dell’Italia è peraltro coerente con la posizione del Governo (o meglio della Lega, cui comunque i Cinque Stelle “si adeguano” volentieri) nei riguardi delle migrazioni: suscitare timore e avversione, ma sfruttarne i vantaggi, nella consapevolezza (inespressa) che senza migranti l’economia e la società subirebbero incalcolabili danni.
Nel gruppo dei non firmatari l’Italia è in compagnia degli Stati Uniti di Trump, dell’Australia (che relega profughi e richiedenti asilo in un’isola di “concentramento”), dell’Austria del Cancelliere Kurz, dell’Ungheria di Orbán e degli altri paesi di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia).. Non è da escludere che prima del 10 dicembre, altri paesi, Svizzera in testa, decidano di non firmare. Lasciamo da parte le considerazioni etiche o umanitarie che arricchiscono il documento, ma che sono invise all’attuale maggioranza come chiacchiere vuote o pericolose. Questa, nella sostanza, è convinta che le migrazioni siano una questione di natura nazionale e che ogni paese debba regolarsi secondo i propri interessi, così come vengono interpretati dai Governi in carica. Ne segue che ogni accordo internazionale sui principi, sulle regole o sulle politiche è guardato con sospetto, come un vincolo da evitare, da aggirare, o da rompere.
Pensare di gestire i fenomeni migratori in proprio, isolandosi dal contesto internazionale, è pura follia. E’ impossibile gestire la pressione migratoria dal Sud del mondo senza accordi tra paesi di partenza e paesi di arrivo, senza un mix intelligente di aiuti economici, senza rafforzare i rapporti politici, culturali e sociali, senza attivare canali migratori legali, rifiutando regole e normative comuni, trascurando i diritti dei migranti. Più nel concreto, il Governo ci sospinge verso est, sulle posizioni di Visegrad, il cui isolazionismo è per noi dannoso, vista la contrarietà di questi paesi alla condivisione dei costi derivanti dall’accoglienza dei richiedenti asilo, e la loro indisponibilità ad ogni meccanismo di redistribuzione dei migranti.
La “parlamentarizzazione” annunciata dal Presidente del Consiglio significa, probabilmente, l’affossamento o il rinvio della firma dell’accordo, magari a epoche indefinite. Sul piano pratico immediato, firmare o non firmare non cambia nulla, perché il documento, come già detto, non è vincolante. Sul piano simbolico invece cambia molto, e cambia in peggio.
30/11/2018 www.neodemos.info
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