La salute bene comune. Anzi no
Un affollato ascensore di un ospedale fiorentino. Nella discesa verso il pianoterra un signore di circa 50 anni ha cominciato a inveire contro chi gli aveva comunicato che l’intervento chirurgico di cui aveva urgente bisogno era stato fissato per il giugno 2020, tra un anno. “E quando sono andato a chiedere spiegazioni di un’attesa così lunga mi hanno chiuso la porta in faccia”. All’uscita dall’ascensore, il signore – forse incoraggiato da un mio cenno di attenzione – si è soffermato a parlare della sua situazione. Da oltre un anno gli è stata diagnosticata una sindrome del tunnel carpale: vari interventi terapeutici – da infiltrazioni di cortisone a cicli di agopuntura – non hanno sortito alcun effetto. Ultimamente i dolori alla mano destra sono diventati insopportabili. Dolori che unitamente alla perdita della forza e della sensibilità gli impediscono di svolgere il proprio lavoro, quello di operaio orafo.
La decompressione del tunnel carpale (carpal tunnel decompression) in Inghilterra, a seguito della riforma Cameron del 2012, è entrata a far parte di trattamenti con basso valore clinico (low clinical value treatments). Rientrano in questa categoria una vasta gamma di interventi chirurgici: dalle ernie alla cataratta, a vari interventi osteo-articolari. Ciò consente alle strutture dei medici di famiglia (Clinical Commissioning Groups – CCGs) – a cui la stessa riforma ha assegnato una diretta responsabilità finanziaria riguardo ai costi dell’assistenza – di limitare l’accesso dei propri pazienti alle cure ospedaliere. I comportamenti restrittivi dei CCGs – come rileva un articolo del BMJ [1] – sono molto variabili, creando così una situazione di iniquità assistenziale tra diverse aree del paese a cui si è dato il nome di postcode lottery (una lotteria basata sul codice postale, per cui i cittadini hanno differente accesso ai servizi a seconda del medico che li assiste e del luogo dove abitano). Il Royal College of Surgeons, la società scientifica dei chirurghi, ha fatto notare che quelli che vengono classificati dal governo inglese come low clinical value treatments sono in realtà interventi di provata efficacia, e che il ritardo nella loro esecuzione può produrre danni alla salute dei pazienti. In un successivo articolo il BMJ[2] ha calcolato che nel 2017 i CCGs hanno rifiutato circa 1.700 richieste di interventi di protesi d’anca e di ginocchio. Il presidente dell’Associazione degli ortopedici britannici ha osservato che alcuni CCGs hanno imposto delle restrizioni “draconiane”, aggiungendo che: “L’accesso all’assistenza sanitaria in differenti parti del paese sembra essere determinato non da fattori clinici, ma da motivazioni finanziarie”.
Le restrizioni nell’accesso ai servizi del NHS, hanno prodotto, come prevedibile, un notevole sviluppo del mercato assicurativo privato (vedi Private Health insurance in the UK). Perfino la British Medical Association (BMA, proprietaria altresì del BMJ) offre polizze sanitarie al suo staff, suscitando la reazione sdegnata di uno degli autori di punta della rivista, Des Spence, general practitioner di Glasgow. Scrive Spence: “I private medical schemes sono offerti ai dipendenti da molte organizzazioni come il General Medical Council e il quotidiano “The Guardian”, storico difensore del NHS. E non è accettabile la giustificazione che rivolgendosi al privato si riduce la pressione sul NHS, che può così dedicarsi ai ceti meno abbienti. No: quando importanti istituzioni si allontanano dall’assistenza “standard” ciò mina le fondamenta del NHS. Solo chi ha influenza ha il potere di assicurare che le liste di attesa siano tenute sotto controllo e che il NHS debba rendere conto a tutti i cittadini. Ognuno deve avere l’interesse che il NHS sia al lavoro per tutti. Supportando la medicina privata, la BMA perde legittimazione e credibilità quando si pone in difesa del NHS. La medicina privata, inoltre, offre cure non necessarie, abusa nell’overdiagnosis e non sottostà alla supervisione e al controllo del NHS. I medici che lavorano sia nel settore pubblico sia in quello privato sono in potenziale conflitto d’interessi nel mantenimento delle liste d’attesa. Ancora molti della destra politica (e, pare, anche “The Guardian”) sembrano ciechi su queste conseguenze. Come può la BMA sostenere la pratica privata?”[3].
L’irruzione dei meccanismi di mercato nella sanità inglese era un effetto voluto dalla riforma introdotta nel 2012, come pure le sue conseguenze (vedi il Big Bang dell’NHS): estesa privatizzazione dei servizi, smantellamento delle infrastrutture pubbliche, più attenzione al business e ai profitti che alla salute dei pazienti. Il governo conservatore ha ottenuto l’approvazione della riforma in parlamento (nonostante le dure critiche provenienti dall’intero mondo della sanità); i conservatori hanno poi rivinto le elezioni nel 2014 consolidando il loro progetto, in attesa che la situazione si aggravi con l’incombente Brexit[4].
Nel dicembre 2011, mentre la riforma Cameron era ancora in discussione, Martin McKee e David Stuckler, tra i più accreditati analisti di politica sanitaria, pubblicarono sul BMJ un articolo – “The assault on universalism: how to destroy the welfare state”– che denunciava la manovra del governo conservatore: smantellare il National Health Service, colpire al cuore l’universalismo e, alla fine, distruggere l’welfare state perché “come Naomi Klein ha descritto in molte differenti situazioni, quelli che si oppongono al welfare state non sprecano mai una buona crisi”[5]. La “buona crisi” finanziaria del 2008 colpì anche l’Italia, e anche in Italia il Servizio sanitario nazionale entrò nel mirino di coloro che considerano l’welfare state un fattore che interferisce con le dinamiche del mercato, un costo da contenere e non un elemento di sviluppo, di benessere e di coesione sociale. Ma, a differenza di quanto è avvenuto in Inghilterra, nessuna riforma fu messa in cantiere per minare i principi fondanti – l’universalismo e l’equità – del SSN: troppo complicato e troppo poco popolare. In Italia è stata invece utilizzata la ben nota regola di Noam Chomsky: “Questa è la tecnica standard per la privatizzazione dei servizi: togli i fondi, assicurati che le cose non funzionino, fai arrabbiare la gente, e lo consegnerai al capitale privato”. In Italia dal 2010 al 2019 tutti i governi che si sono succeduti alla guida del paese si sono esercitati con questa tecnica ottenendo strepitosi risultati. “Nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al SSN poco più di € 37 miliardi, di cui circa € 25 miliardi nel 2010-2015 per la sommatoria di varie manovre finanziarie e € 12,11 miliardi nel 2015-2019 per la continua rideterminazione al ribasso dei livelli programmati di finanziamento”[6]. C’è una sostanziale continuità tra l’attuale e i precedenti governi: se nel 2014 il governo Renzi si distinse per un taglio di 2 miliardi e mezzo di euro al budget della sanità, il presente governo giallo-verde ha inserito nel DEF 2019 una clausola di salvaguardia, che prevede il blocco di 2 miliardi di euro di spesa pubblica in caso di deviazione dall’obiettivo di indebitamento netto, destinato a colpire la sanità (vedi qui).
Questa enorme, programmata, persistente sottrazione di finanziamento pubblico ha prodotto – unitamente al blocco degli investimenti pubblici e all’imposizione di nuovi ticket – il disastro che è sotto gli occhi di tutti: spopolamento di medici e infermieri, tempi di attesa sempre più lunghi, inaccessibilità dei servizi, diseguaglianze nella salute sempre più marcate. Come in Inghilterra, l’inefficienza del SSN ha favorito il settore privato e ha dato un forte impulso al mercato assicurativo privato (vedi Tutti pazzi per il secondo pilastro).
In questi giorni giornali e telegiornali dedicano ampio spazio alla questione della carenza di medici negli ospedali, acuita nel periodo delle ferie: se ne parla per lo più come una sorta di calamità naturale, a cui si deve far fronte – come nei terremoti – con l’esercito (vedi proposta della Regione Molise di far intervenire i medici militari). Nessuno parla delle cause reali, della responsabilità politica di chi in questi anni ha bloccato il turnover del personale e non ha saputo e voluto affrontare per tempo il largamente previsto esodo pensionistico dei medici dipendenti pubblici (non solo ospedalieri) e dei medici di famiglia. Mai come in questi tempi il nostro servizio sanitario ha sofferto una crisi così acuta. Perché la crisi colpisce il cuore del sistema,il suo capitale umano, provocando sovraccarico di lavoro, stress, burn-out e fatica cronica, acuendo la conflittualità e il rischio di errori, aumentando la spinta al contenzioso legale e alla medicina difensiva (vedi attacco al capitale umano).
Le principali vittime di questa crisi sono i cittadini: milioni di persone che – come il signore incrociato per caso nell’ascensore di un ospedale – non riescono a trovare nel SSN una risposta adeguata ai loro bisogni di salute. A costoro in questi anni – da destra e da sinistra – è stata instillata l’idea che la salute è un costo e non un diritto, che il SSN non è sostenibile, che un sistema universalistico, come quello fondato nel 1978, è un lusso che non ci possiamo permettere, che – alla fine, per sicurezza – è meglio ricorrere a un’assicurazione privata.
Milioni di cittadini senza risposta ai loro bisogni di salute. E anche senza rappresentanza politica.
Bibliografia
- Iacobucci G. GPs Put the Squeeze on Access to Hospital Care. BMJ 2013; 347, doi: https://doi.org/10.1136/bmj.f4351.
- Iacobucci G. Nearly 1,700 Requests for Knee and Hip Surgery Were Rejected in England Last Year. BMJ 2018; 362, doi: https://doi.org/10.1136/bmj.k3002.
- Spence D. The BMA and Its Staff’s Private Health Cover. BMJ 2013; 347, doi : http://dx.doi.org/10.1136/bmj.f5199, p. f5199
- Godlee F, Kinnair D, Nagpaul C. Brexit will damage health. BMJ 2018; 363: k4804
- McKee M, Stuckler D. The assault on universalism: how to destroy the welfare state BMJ 2011; 343:1314-17
- Gimbe. 4° Rapporto sulla sostenibilità del SSN. Roma, 11 Giugno 2019.
24/6/2019 www.saluteinternazionale.info
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