LA SALUTE E’ ANCORA UN DIRITTO IN ITALIA?
La stagione sociale che stiamo vivendo, tanto più se guardata dal versante dei diritti alla salute e alle cure è per molti versi disastrosa. Tanto più disastrosa proprio perché non è alle viste un qualche tentativo di riscossa politico-sociale in grado non solo di arginare il degrado, ma anche di rilanciare politiche di welfare decenti (che detto per inciso sono pure quelle in grado di sviluppare un effettivo moltiplicatore economico).
In rapida successione, con balbettanti o finte reazioni di chi deve “governare” le scelte sui territori, abbiamo potuto assistere a veri e propri bombardamenti (ancora in atto) di atti controriformatori: contro il lavoro, con riordini regionali che distruggono ogni territorialità, con liste d’attesa abnormi, servizi messi in ginocchio da anni di blocco del turn over, con regioni incapaci di governare e con in più continui tagli lineari ai fabbisogni della popolazione. Le ultime due perle, come noto, riguardano l’ennesimo attacco al finanziamento del Fondo Sanitario Nazionale e il decreto sull’”appropriatezza prescrittiva”, in cui si passa dalla centralità del malato, dal valore della persona alla centralità dei vincoli amministrativi ai quali tutti i medici dovranno sottostare pena la possibilità di penalizzare i malati e i medici con sanzioni pecuniarie.
In un tale contesto di scivolamento verso il basso di tutto il comparto si muovono, con rifermento alla specifica realtà piemontese, delle figure, degli uomini e delle donne, delle famiglie che in qualche modo da sempre sono abituate a fare i conti con la pervicace negazione dei diritti. Sono questi gli anziani cronici e non autosufficienti, una “categoria” che, al di fuori di una fugace attenzione guadagnata all’epoca della Giunta Bresso con assessori di riferimento Valpreda e ancora di più (per le scelte fatte) Artesio, non ha avuto minimamente risposte adeguate. Oggi meno di ieri, chissà forse per un mero calcolo politico (sono in molti, ma non in un numero rilevante in termini di possibili consensi persi…).
Quale è dunque la situazione in Piemonte per i malati cronici? Occorre da questo punto di vista ricordare intanto che vi sono oltre trentamila anziani malati cronici in lista d’attesa non presi in carico dal Servizio Sanitario Nazionale (in Italia sono in tutto circa 200.000). Basta pensarci un attimo, oltre a quelli che ognuno conosce all’interno dei servizi, per farsi venire alla mente altri casi nelle famiglie di amici o vicini di casa: insomma il tema c’è, tocca nell’intimo, da vicino ed è in qualche modo conosciuto, ma non “riconosciuto” dalla politica e dai decisori pubblici.
Alcune associazioni che si occupano di questi temi e della difesa dei diritti di queste persone hanno promosso ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato contro le delibere della Regione Piemonte – emesse dalla Giunta Cota e ahimè confermate dalla Giunta Chiamparino – sulle liste d’attesa e sulle prestazioni sociosanitarie domiciliari che l’attuale amministrazione regionale, come del resto la precedente considera, secondo me illegittimamente fuori dai Livelli Essenziali di Assistenza. Detti ricorsi si sono accompagnati, in una eco crescente e significativa, a quelli di una ventina di Consorzi e dello stesso Comune di Torino.
Ciò che si vede, ciò che riferiscono le famiglie delle persone malate che si rivolgono ai servizi è un triste panorama di negazione dei servizi, con le suddette famiglie costrette a far da sole, scoraggiate e impoverite sempre di più. Una situazione inaccettabile proprio perché il diritto esiste, è forte, è codificato chiaramente con tanto di percorsi che devono essere attuati senza tirare in ballo il solito frusto argomento della scarsità di risorse e degli obblighi familiari a curare i malati.
Le liste di attesa oggi somigliano sempre di più a liste di abbandono. Il malato cronico infatti non ha l’autonomia di vita di chi, continuando la propria vita normalmente, aspetta una visita o un intervento. Un anziano che ha visto l’Unità di Valutazione Geriatrica da anni e che non è più in grado di fare più nulla da solo, nemmeno di esprimere le sue esigenze, aspetta ancora di essere chiamato – aspetta cioè l’erogazione di un diritto che dovrebbe essere esigibile…- mentre i suoi parenti sono di fatto incollati alla sua malattia, alle spese onerose che essa impone. Aspettano, aspettano di fatto invano, speranzosi in quella frase vuota e foriera di illusorie sofferenze : “ sarà cura del Servizio contattarla quando l’intervento sarà erogabile”. Come si vede c’è la programmazione, questa si, della frustrazione, visto che non è fissato alcun limite di tempo. Persino per i pazienti gravissimi servono 90 giorni per la richiesta e 90 per la presa in carico. Sono numeri, tempi che si commentano da soli..
A fronte di questa situazione occorre ribadire con forza che esistono metodi per accedere alle prestazioni, alla continuità di cura esattamente perché esistono i diritti (e non perché qualcuno se lo inventa o lo nega). Come è abbastanza noto (e se non lo è occorre ulteriormente darsi da fare per informare e formare le persone attraverso un’ azione che è anche politica) esiste la possibilità di una lettera di opposizione alle dimissioni e domanda di continuità terapeutica. Essa permette ai malati e alle loro famiglie di avere immediata prosecuzione delle cure sanitarie e socio-sanitarie di cui, ricordiamolo ancora una volta, hanno pieno diritto (per cui si sono pagate tasse, contributi, e per cui si è chiamati a pagare il 50% della retta).
Come tutti gli altri malati, anche gli anziani non autosufficienti o con demenza hanno un diritto fondamentale (sancito pure dalla Costituzione) alla salute e alla tutela garantita dal Servizio Sanitario Nazionale. Tale diritto non è stato messo in discussione neanche dalla sentenza del Tar di quest’anno (che pure, negativamente, ha confermato le delibere che istituiscono le liste d’attesa). In effetti in essa ad un certo punto si ricorda che “il SS assicura la presa in carico di tutti gli anziani non autosufficienti attraverso progetti semiresidenziali e domiciliari e consente a qualsiasi anziano non autosufficiente di accedere alla struttura residenziale ove questa venga giudicata la più appropriata”. E’ chiaro che il criterio per accedere a cure alternative (domiciliari) è la disponibilità e idoneità dei familiari (che devono sostenere gli oneri insieme al SSN), solo marginalmente viene tirata in ballo la gravità del paziente.
In secondo luogo occorre ricordare che le cure sociosanitarie domiciliari sono una occasione che la Regione Piemonte ha voluto e vuole mancare. Essa insiste nella inaccettabile (contrastante con le leggi nazionali) idea che il contributo a casa delle ASL per le prestazioni svolte dai familiari o dai “badanti” non sono di rilievo sanitario, lo considera assistenza ai poveri e non cura ai malati. Eppure, anche qui la sentenza del TAR è stata chiarissima dicendo che “il dilemma se le prestazioni non professionali debbano essere o meno ricomprese nella generica definizione del decreto che definisce i LEA (prestazioni di aiuto infermieristico e assistenza tutelare della persona) non può che essere risolto in senso positivo”. La scelta politica, sbagliata e da criticare in radice, della Regione Piemonte e della Giunta di Chiamparino è stata quella di fare ricorso contro la definizione riportata qui sopra, considerandole illegittime.
Ecco, credo che considerare anche questo problema così scottante tanto più perché nasconde in sé una sofferenza continua e sorda all’interno di una più ampia battaglia contro lo smantellamento del SSN e del welfare in generale sia decisivo. Fino a non molto tempo fa il PD si era scagliato ferocemente contro le decisioni in questo campo dell’allora Giunta Cota. Ora a parti invertite si dispone a fare la stessa cosa, accampando al solito, più o meno esplicitamente, la questione delle risorse insufficienti. Le risorse devono essere trovate laddove esistono e in ogni caso devono essere distribuite con criteri di priorità sempre nel rispetto delle disposizioni costituzionali. Occorre garantire i Livelli Essenziali sanitari e sociosanitari per tutte/i le/i malate/i, a maggior ragione se si trovano in una situazione di incapacità, di mancanza di indipendenza, di debolezza estrema. Nella campagna “i Soldi ci sono” che il PRC sta mettendo in piedi va immessa anche questa tematica, per molti versi molto piemontese ma con possibili rivendicazioni universali. Può essere un nostro modo per stare a fianco, per dare una mano a tutti quei soggetti che da tempo, inascoltati, lottano per ottenere giustizia e diritti certi. Da questo punto di vista è giusto dare la giusta pubblicità agli ultimi giorni utili per firmare la petizione promossa, tra gli altri, dal CSA di Torino (www.fondazionepromozionesociale.it).
Alberto Deambrogio
7/12/2015 da Agenzia Stampa PRC Piemonte
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L’immagine: il numero di novembre del periodico cartaceo Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org
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