La sanatoria: tra truffa, fallimento e attese incessanti
Era il marzo 2020. Poco dopo l’inizio del lockdown in Italia, le frontiere tra i vari paesi europei venivano chiuse, e iniziavano a circolare annunci allarmati relativi all’imminente carenza di manodopera agricola. Confagricoltura dichiarava che sarebbero mancate circa 200.000 persone per la raccolta.
Dalla Romania, dalla Bulgaria e dalla Polonia, alcuni dei paesi principali di provenienza dei lavoratori e delle lavoratrici stagionali comunitari (le stime parlano di 110.000 persone dalla Romania e circa 12.000 da Bulgaria e Polonia)[1], coloro che ogni anno si recavano in Italia durante il periodo di raccolta e ripartivano dopo la sua fine non sarebbero potuti venire. Chi era già qui, si era invece affrettato a partire per non rimanere bloccato in Italia, al tempo il primo Paese europeo ad essere.
A questi si aggiungevano le centinaia di migliaia di persone (stimate a 560.000 di cui una buona fetta, circa 100.000 vittime dei decreti sicurezza[2]) già presenti in Italia ma prive di permesso di soggiorno che permettesse loro di lavorare in regola.
Finalmente, si ammetteva pubblicamente e senza troppi giri di parole che i lavoratori e le lavoratrici stranier*, stagionali e non, svolgevano un ruolo fondamentale nel settore dell’agroindustria, come in quello del lavoro domestico.
Allo stesso tempo, migliaia di persone considerate irregolari iniziavano a sprofondare in una condizione di marginalità e precarietà estrema, a causa delle restrizioni al movimento, della chiusura dei posti di lavoro, dell’impossibilità di spostarsi per andare a lavorare per paura di essere fermati, segnalati, detenuti, multati, dell’impossibilità di dimostrare la presenza di un rapporto di lavoro in assenza di contratto.
Improvvisamente, con la pandemia si iniziava a discutere del fatto che centinaia di migliaia di persone senza permesso di soggiorno non potevano essere assunte regolarmente, e dunque non avrebbero potuto essere propriamente utili alla sussistenza del Paese, in un momento in cui gli scaffali dei supermercati dovevano necessariamente essere riforniti, senza alcuna vergogna nel discutere di esseri umani come macchine esclusivamente funzionali alla produzione.
Nonostante le richieste di una sanatoria generalizzata (con il lancio della campagna Siamo qui – Sanatoria Subito[3]) che includesse tutte le persone prive di permesso di soggiorno, indipendentemente dalla condizione lavorativa e che garantisse così l’effettivo accesso ai diritti fondamentali, tra cui quello alla salute, in un momento di crisi sanitaria senza precedenti, l’allora ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, iniziò a farsi portavoce di una sanatoria, in favore dei lavoratori agricoli stranieri presenti in Italia, già impiegati senza contratto o con l’intenzione di instaurare un nuovo rapporto di lavoro ma impossibilitati a causa del loro status giuridico.
Tra dibattiti in TV, proclami scambiati per testi di legge, annunci e ripensamenti, il 19 maggio veniva infine approvato il DL 34/2020, che all’articolo 103 prevedeva le procedure di emersione. Annunciando in diretta l’approvazione del provvedimento la Ministra Bellanova si commuoveva, ricordando il suo passato da bracciante, e affermando che grazie a questa legge centinaia di migliaia di persone fino ad ora ‘invisibili’ sarebbero tornate ad essere visibili, sarebbero riemerse, uscite dai ghetti, e sarebbero tornate ad essere persone, lavoratori e lavoratrici con dignità e diritti[4].
Ma una volta pubblicato il testo del decreto[5], è stato fin da subito evidente che il numero di persone che sarebbero effettivamente riuscite ad accedervi tra i braccianti sarebbe stato veramente ridotto.
I settori inclusi nella sanatoria erano quelli dell’agricoltura e del lavoro domestico.
Rimanevano tagliati fuori, senza nessuna motivazione accettabile, i settori dell’edilizia e del turismo, anch’essi noti per l’elevata presenza di rapporti di lavoro nero e di lavoratori e lavoratrici stranieri impiegati. Il provvedimento, improntato all’emersione dei rapporti di lavoro irregolari e non all’emersione delle persone con status giuridico irregolare, prevede due canali di emersione.
Il primo, segue il meccanismo classico già adottato nelle sanatorie del 2002, 2009 e 2012, ossia la possibilità per i datori di lavoro di presentare una richiesta alle Prefetture per regolarizzare i lavoratori con i quali intrattenevano un rapporto di lavoro in nero o con i quali avrebbero voluto stabilire un nuovo rapporto. Come già evidenziato in passato, questo meccanismo favorisce la subordinazione alla volontà dei datori di lavoro, alimenta lo sfruttamento e le truffe. Per riuscire ad ottenere un permesso di soggiorno, i lavoratori e le lavoratrici si trovano costretti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro e ad effettuare il pagamento di cifre esorbitanti, fino a 5000 euro al fine di presentare la domanda.
Il secondo canale, innovativo e potenzialmente positivo se concepito in maniera differente e non caratterizzata da tutte le folli restrizioni imposte nel decreto-legge e nei successivi decreti di attuazione e circolari, prevedeva la possibilità per coloro che avevano un permesso di soggiorno scaduto dopo il 31 ottobre 2019 (ancora ci si interroga sul perché di questa data arbitraria) e che avevano precedentemente lavorato in uno dei settori tra agricoltura, lavoro domestico e di assistenza. Tuttavia, il lavoro doveva essere provato attraverso una serie di documenti, elencati nel decreto di attuazione tra cui: “contratto di lavoro, cedolino di paga, estratto conto previdenziale, modello unilav di assunzione, etc.”[6]. Documenti che suppongono l’esistenza di un rapporto di lavoro regolare, e dunque in completo contrasto con l’obiettivo del decreto, cioè far emergere il lavoro nero.
A maggio, due nostre attiviste si recano a Foggia per cercare di individuare (qui il racconto[7]) chi tra gli abitanti dei ‘ghetti’ tanto evocati durante i dibattiti relativi alla sanatoria, sarebbe riuscito ad accedervi, ed in particolare a questo secondo canale. La Ministra Bellanova aveva infatti illustrato questo secondo meccanismo di emersione come dedicato a coloro che, viste le condizioni di estremo sfruttamento, di caporalato e di lavoro alla giornata, non sarebbero mai riusciti a trovare un datore di lavoro disposto a presentare la richiesta a nome loro. Nei giorni passati nell’insediamento di Borgo Mezzanone, gli abitanti ascoltavano fiduciosi i proclami della Ministra con la speranza che finalmente questo decreto li avrebbe aiutati ad uscire da una condizione di irregolarità ormai protrattasi eccessivamente e dalla quale non vedevano altre via di uscita.
Tuttavia, se per alcuni questa speranza si è concretizzata, per la maggior parte con il passare dei mesi è sbiadita, lasciando spazio alla delusione di aver creduto ancora una volta che il Paese che tanto ne apprezza la forza lavoro a basso costo avesse anche avuto l’intenzione, finalmente, di considerarli come esseri umani con una dignità, specialmente durante una pandemia globale durante la quale il loro lavoro era ancora una volta risultato essenziale alla sopravvivenza del Paese stesso. Ma purtroppo, la loro vita, la tutela dei loro diritti e la possibilità di accedere all’assistenza medica, non è ancora ritenuta essenziale.
In questo gioco malato, i caporali continuano a svolgere il ruolo di intermediari tra lavoratori e datori di lavoro, in questo caso però per l’accesso alla sanatoria. Chiedono 2000, 3000, 4000 euro, per presentare la domanda, a volte senza neanche dare una ricevuta a prova della presentazione. E anche quando la ricevuta c’è, in realtà non garantisce affatto il buon esito della sanatoria, tra aziende fasulle e mancanza dei requisiti propedeutici per la presentazione da parte dei datori di lavoro.
Tra questi, M., senegalese, in Italia da circa un anno, decide di pagare 2500 euro per provare a regolarizzare la propria posizione. Arrivato a Foggia dalla Francia dietro suggerimento e false promesse di un conoscente, prova a seguire la strada della sanatoria, l’unica apparentemente a disposizione in quel momento per ottenere un permesso di soggiorno. Lo rincontriamo a gennaio, dopo sette mesi dalla presentazione della domanda, non ha ancora avuto alcuna risposta, nessun aggiornamento, neanche un pezzo di carta che provi che questa domanda è stata effettivamente stata presentata. 2500 così, come se chi lavora in campagna e vive nelle baracche non fosse già stato derubato abbastanza in termini di lavoro non pagato, di diritti negati, di dignità.
Come lui, altre migliaia di persone hanno pagato somme esorbitanti, sono state raggirate poiché disposte a tutto pur di ottenere quel permesso a rimanere, quel permesso ad esistere.
Alla conclusione della sanatoria, il 15 agosto, le domande presentate attraverso la prima procedura erano 207.542, di cui 30.694 in agricoltura (il 15%) e 176.848 per il lavoro domestico (l’85%). Le richieste invece presentate attraverso la seconda procedura sono state 12.986.
Tuttavia, se sul sito del Ministero dell’Interno è possibile trovare tutti i report relativi alla presentazione delle domande, aggiornati fino al 15 agosto, non c’è traccia dell’andamento che sta avendo oggi, dopo più di sei mesi dalla chiusura, la procedura di emersione.
Delle 207.542 domande presentate alle Prefetture, quante ne sono state lavorate? E delle domande presentate direttamente alle Questure quante sono state accettate? Quante persone sono effettivamente uscite dalla condizione di ‘invisibilità’ ottenendo un permesso di soggiorno?
Risponde a queste domande il report pubblicato dalla campagna Ero Straniero[8], con dati ottenuti grazie ad accessi agli atti e alle informazioni fornite dalle realtà che hanno seguito le procedure di regolarizzazione nei vari territori.
Delle 207.542 domande presentate alle Prefetture, al 16 febbraio, sei mesi dopo la chiusura della sanatoria, soltanto 13.244 persone sono state convocate in Prefettura (il 6%) e 10.701 hanno richiesto il rilascio del permesso di soggiorno.
In più di 40 città, le Prefetture non hanno ancora iniziato le convocazioni.
Tra queste, la Prefettura di Roma non ha ancora iniziato a convocare nessuno. Sono in attesa che il Ministero invii del personale dedicato a trattare le pratiche della sanatoria, ma non è chiaro quanto sarà necessario aspettare perché arrivi. La Prefettura di Foggia, su 1312 domande presentate, ha convocato solo 20 persone, l’1,5%. A Milano sono state convocate 16 persone alla settimana e sarebbero necessari 30 anni (!!) a questo ritmo per convocare tutte le persone che hanno presentato la richiesta alla Prefettura di Milano, 26.144. Per questo, ma anche per richiamare l’attenzione su una molteplicità di forme di esclusione di chi continua ad essere considerato straniero nonostante sia cresciuto in Italia o ci vivada molti anni, a Milano è stata creata la campagna Non possiamo più aspettare, che è scesa in piazza il 1 marzo [9].
Per quanto riguarda invece le richieste presentate attraverso la seconda procedura, su 12.986 istanze presentate, sono stati rilasciati 8.887 permessi di soggiorno temporaneo. Un terzo delle richieste, già limitate dall’elevato numero di ostacoli all’acceso, non sono dunque andate a buon fine.
Emblematico il caso di B., la cui domanda è stata rigettata dalla Questura di Grosseto perché al momento di presentazione della domanda risultava in corso un rapporto di lavoro. Ma nel mentre B., richiedente asilo del Gambia, aveva ottenuto un rigetto alla propria richiesta di asilo da parte del Tribunale e dunque era diventato a tutti gli effetti irregolare. Tuttavia, la Questura ha rigettato l’istanza poiché considerato ‘troppo regolare’. O quello di A., precedentemente titolare di un permesso per motivi umanitari, perso a causa dei decreti sicurezza, che si è visto rigettare la richiesta da parte della Questura di Roma poiché la data di scadenza del permesso era 3 giorni antecedente a quella contemplata dal decreto. Un sistema in cui tre giorni possono cambiare l’esistenza di una persona, la sua possibilità di vivere regolarmente e avere dei diritti in un Paese non può che essere profondamente malato fin nelle fondamenta.
Se i numerosi ostacoli esistenti nell’accesso a questa seconda procedura
(permesso di soggiorno scaduto successivamente al 31 ottobre 2019 e presenza di rapporti di lavoro dimostrabili antecedenti a tale data) hanno limitato l’accesso a moltissime persone, si aggiungono ora i problemi relativi alla conversione del permesso temporaneo. Infatti, per convertirlo in permesso per lavoro subordinato, è necessario presentare un contratto di lavoro in uno dei settori previsti e anche la disponibilità di un alloggio. Come in un percorso ad ostacoli, orientato alla negazione di diritti, alla demoralizzazione e allo sfinimento, oltre a che la sottrazione di contributi a vario titolo (è stato stimato che al netto delle spese relative alla gestione della sanatoria, lo Stato ha incassato 30.8 milioni di euro)[10].
Tra le varie assurdità, per convertire il permesso di soggiorno temporaneo in permesso per lavoro subordinato è necessario allegare un’attestazione rilasciata dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro che certifichi che il contratto di lavoro presentato sia effettivamente in uno dei settori previsti. Non solo viene richiesta un’attestazione che certifichi un’ovvietà, ma le modalità di richiesta di questa attestazione sono state rese note solo il 23 novembre 2020[11].
Kafkiana è la vicenda di C. che, avendo presentato la richiesta di conversione ad ottobre subito dopo aver ricevuto il permesso temporaneo, non ha potuto allegare questa attestazione poiché non erano ancora state comunicate le modalità di richiesta. Una volta inviata la domanda a gennaio, l’Ispettorato del Lavoro di Foggia ha risposto con un preavviso di rigetto poiché la richiesta non risultava conforme alle modalità previste, in quanto il permesso era già scaduto e la Questura di Campobasso aveva riportato come tipologia di permesso anziché “EMERS.2020” come previsto nella circolare, la dicitura “attesa occupazione”. A poco è servito mostrare, attraverso la ricevuta di presentazione, che si trattava di un errore della Questura e che il permesso era stato ottenuto attraverso la procedura di emersione. In una pagina di risposta articolata, il funzionario responsabile emetteva il rigetto al rilascio dell’attestazione, contro il quale era possibile presentare ricorso al TAR.
Sembra assurdo dover presentare ricorso per il rilascio di un’attestazione già di per sé inutile, spendere tempo, soldi ed energie per l’incapacità di usare il buon senso e la volontà di accanirsi così, senza motivo.
Dopo sette mesi dalla chiusura della presentazione delle domande della sanatoria, tutto appare tragicamente immutato ed immobile. I braccianti per cui era stata inizialmente concepita, continuano a vivere nei ghetti e a morire per a causa delle condizioni di vita e lavoro indegne[12].
Insieme a loro, i lavoratori e le lavoratrici del settore domestico, sottoposte a condizioni di lavoro e sfruttamento non meno drammatiche anche se meno evidenti poiché all’interno delle case, rimangono in un limbo, in attesa di conoscere l’esito della loro richiesta di avere riconosciuti i propri diritti chissà ancora per quanto.
Pensare migrante
[2] https://www.ismu.org/comunicato-stampa-xxv-rapporto-ismu/
[3] https://www.meltingpot.org/+-Siamo-qui-Sanatoria-subito-+.html
[4] https://tg24.sky.it/politica/2020/05/13/ministro-bellanova-sanatoria-migranti-
[5] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/05/19/20G00052/sg
[6] https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2020/05/29/20A03026/sg
[9] https://www.facebook.com/Nonpossiamopiuaspettare/
[11] http://www.dottrinalavoro.it/wp-content/uploads/2020/11/ML-INLcir18-2020-emersione.pdf
5/3/2021 https://www.intersezionale.com
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